LU BUCATU
Lo sa’, sera,
que mm’ha raccontatu nonna?
Mm’ha raccontatu dde còme se facea,
a li tempi sei,
lu bucatu.
A sentilla, dde ‘iscore
me cce so’ ‘ncantatu:
ajo ‘olutu sapì
tutti li particolari.
“A li tempi mei
-
mm’ha
ittu -
li panni se laaanu co’ le mani:
a fforza dde struscia’, dde sbatteli
e ‘ntigneli ‘n Turanu; (*)
quann’era sera po’,
li metteamu ne lu ‘ncrinaturu,
sopre ce sse spannea ‘n pannozzu
e ce sse reordaa
un sicchiu dde cene
e unu dde acqua che bollea.
La matina,
quanno te resbejai,
‘lli panni profumaanu
più dde ‘n fiore
e ‘oppo che l’aii risciacquati,
eranu più bianchi nzinente dde la nee.”.
Que bbo tte ‘ice:
a la fine dde la storia
me so’ sentitu più pulitu pure io…
e ‘llu profumu,
che sapea dde anticu,
mm’è parsu pe’ ddaero
dde sentillu.
(*) il Turano, fiume della valle reatina
TRADUZIONE
IL BUCATO
Lo sai, ieri sera,
cosa mi ha raccontato
nonna?
M’ha raccontato come
facevano il bucato
ai tempi suoi.
Sentendola parlare
sono rimasto
affascinato:
ho voluto sapere
tutti i particolari.
“Ai tempi miei
-
m’ha
detto -
i panni si lavavano con
le mani
a forza di strofinare,
di sbatterli
e intingerli nell’acqua
del Turano;
quand’era sera poi
li mettevamo sul tavolo
inclinato,
ci stendevamo un panno
e ci rovesciavamo
un secchio di cenere
e uno di acqua che
bolliva.
La mattina,
quando ti svegliavi,
quei panni profumavano
più di un fiore
e dopo averli
risciacquati ancora
erano più bianchi
persino della neve.”.
Cosa debbo dirti:
finita la storia
mi sono sentito più
pulito anch’io…
e quel profumo,
dal sapore antico,
mi è sembrato veramente
di sentirlo.
‘NA
BRUTTA MMALATIA
Quanno guardo lu Sòle,
quanno ll’affisso,
oppo ‘npochittu
non ce ‘edo più:
è còme, se lu Sòle
mme icesse:
“Abbassa l’occhi,
stajo troppu su”.
Saccio dde troppa
ggente, ma però,
che soffre dde ‘na
brutta mmalatìa:
piuttostu dd’abbassalli
se cecherìa!
Ha capitu?
E lo pejo, lo sa que è?
Che chi commanna so’
propiu issi…
che non ce ‘idu.
TRADUZIONE
UNA
BRUTTA MALATTIA
Quando guardo il Sole,
quando lo fisso,
dopo un po’
non ci vedo più:
è come se il Sole
mi dicesse:
“Abbassa gli occhi,
sto troppo in alto”.
So di tanta gente,
tuttavia,
che soffre di una
brutta malattia:
piuttosto che
abbassarli
si cercherebbe!
Hai capito?
E il peggio, sai cos’è?
Che chi comanda sono
proprio loro…
che non ci vedono.
LU
MUTILLU
Quantu ji ha dda
piace’!
Quantu se la tè dda
cuntu
‘lla bbicicretta,
lu Mutillu!
Me lu recordo
dda quann’ero
piccirillu.
Ecco sotto passaa:
su e jo, su e jo…
senza straccasse mai;
facea lo fume
co’ ’lla bbicicretta
lu Mutillu.
Mo l’ajo reistu,
sempre co’ la stessa
bbicicretta;
era ‘npezzittu che no’
lu ‘edeo più
e a ddi’ la verità
mm’ha fattu ‘n certu
effettu:
mm’ha smossu entro,
mm’ha resbejatu!
Ecco se que mm’ha
fattu.
Oppo ddice che non sa
‘iscore…
bbasta sentillu!
Sapissi quante cose
Mm’ha ‘ittu stamattina
lu Mutillu!
TRADUZIONE
L’OMINO
MUTO
Quanto deve piacergli!
Quanto tiene da conto
la bicicletta
quell’omino!
Lo ricordo
che ero ancora un
bambino.
Passava sotto casa:
su e giù, su e giù…
non si stancava mai;
con quella bicicletta
l’omino muto.
Oggi, dopo tanto tempo
l’ho rivisto,
sempre sulla stessa
bicicletta,
e a dir la verità
è stato un po’ diverso:
mi ha scosso dentro,
mi ha fatto
risvegliare!
Ecco cos’è successo.
Poi dicono che non sa
parlare…
basta ascoltarlo!
Sapessi quante cose
m’ha detto stamattina
l’omino muto.
NOTA
Il dialetto Sabino è un volgare dell'Italia centrale appartenente ai dialetti italiani
mediani e parlato dalle popolazioni della provincia di Rieti e di parte di quella dell'Aquila e Roma. Comprende la
Valle del Velino, la Valle del Salto (Cicolano), fino a tutta la provincia di Rieti, inoltrandosi in parte di quella di Terni.
E’ nostro dovere tutelare le
particolarità linguistiche da un punto di vista culturale, e soprattutto etimo-storico. Come si evince da questi scritti di Sandro Angelucci la loro
caratteristica saliente è la spontaneità; lo stretto legame che vincola la
parola ad una storia carica di humus come quella dei Sabini. E qui l’autore
aggiunge quel pizzico d’ironia sapida e salace, energica e un po’ tagliente, tipica
della generosità vernacolare. D’altronde lo scopo era di mettere in evidenza le
carenze e le mancanze di certi aspetti di una situazione sociale locale, o umana in genere; ma,
nel vernacolo odierno, di ripescare, soprattutto, tradizioni atavico-popolari,
come quelle semplici e umili della civiltà contadina, spesso messa a confronto con
tempi meno umili e carichi di disvalori. Sandro Angelucci è
conosciuto come uno dei più grandi poeti contemporanei e al contempo un
autorevolissimo critico letterario. Ma le sue prime esperienze poetiche sono
state sul vernacolo. Ed essendo reatino, non poteva rimanere indifferente al
suo linguaggio colorito, penetrante, satirico, ma pure patetico, caloroso e
vibrante. D’altronde uno dei doveri principali dell’uomo è quello di non
attendere impotente che il sipario si chiuda sulla propria memoria:
E lo pejo, lo sa que è?
Che chi commanna so’ propiu issi…
che non ce ‘idu.
Nazario Pardini
Scrivere in dialetto e' roba passata, oggi ai ragazzi insegniamo le lingue straniere (pensa io conosco benissimo oltre l'italiano parlo la lingua inglese, francese e spagnuolo argentino di okammar!) meno male la traduzione rende idea al testo? Simona
RispondiElimina