Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
RIFERITO A "L'INIZIO CHE FU LA FINE"
DI VITO LOLLI
http://nazariopardini.blogspot.it/2016/04/vito-lolli-linizio-che-fu-la-fine.html
LA SCUOLA DEL DUE
Percorsi della comunicazione autentica
La
vita del popolo di ogni luogo e tempo, finché il popolo c'è stato, è stata
costellata di figure di sapienti, di plurilaureati alla scuola della vita
(donne e uomini, s'intende), pur essendo dei semianalfabeti. Costoro hanno
lasciato un segno indelebile nella loro vita familiare, nella loro piccola
comunità, nella ristretta cerchia delle persone che li hanno frequentati,
esercitando un'influenza, politica in
senso lato, sicuramente circoscritta, ma molto più concreta di quella
esercitata dai tanti insipienti (spesso ahimè delinquenziali) di cui è cosparsa
la politica in senso stretto. Personaggi che nei casi migliori hanno lauree da
spendere, e comunque curriculum,
referenze, attestati da sbandierare, comprovanti la loro presunta superiorità sul resto del consesso umano. Non è certo
questo il caso dei veri Sapienti, come Epimenide o Ferecide, o come in epoca
moderna Thich Nhat Hahn o Gandhi, tutti citati da Vito Lolli nell'articolo Il Sapiente di poche parole, pubblicato
in questo blog l'11 marzo scorso.
In
questi casi (ma potremmo aggiungere quelli di Nelson Mandela, di Martin Luther
King, di Maria Teresa di Calcutta, ed altri) il pubblico apprezzamento
corrisponde realmente ad una superiore
levatura morale, per usare le parole che Vito ha (ironicamente?) speso
parlando de 'U Pazanu. Vorrei
tuttavia osservare due cose: a) non è la vastità dei consensi a fare la
differenza, dal momento che la fama del Sapiente non fa seguito a suggelli
elettorali; b) l'impatto di personaggi del genere non è mai politico in senso
stretto, ma nel senso che punta in modo prioritario al miglioramento etico dei
cittadini, e conseguentemente, in modo più larvato che esplicito (anche se a
volte esplicito), al governo della cosa
pubblica o comunque ad azioni di natura collettiva. Il che, ovviamente, è
molto scomodo e finisce quasi sempre per essere controproducente
(politicamente), condannando al pubblico ludibrio quei personaggi e punendoli
finanche con la morte (si pensi a Socrate e a Cristo), anziché adottarli come
esempio. Il biasimo, dunque, al posto del consenso; il rigetto al posto
dell'accoglienza e dell'ammirazione.
Si
dirà che il potere di intervento della Sapienza nella vita pubblica è molto
sottile e non sempre equivale a un diretto ed esplicito riconoscimento. Sono
d'accordo, ma ciò non fa che confermare le distanze tra Politica e Sapienza. E'
certamente vero che tutto ciò che si rivolge alla polis è politico (e in tal senso anche il messaggio di Francesco
d'Assisi lo è), ma c'è un modo diretto ed un modo indiretto di interessarsi
della cosa pubblica. La Sapienza, che
è solo un altro nome della Spiritualità, agisce indirettamente e di riflesso
nella vita politica, a meno che non si pensi alla formazione di un partito spirituale, il che sarebbe
ridicolo. Mi si potrebbe chiedere a questo punto: ma dove sta la Sapienza, o la
Spiritualità, di un uomo semplice e senza pretese come 'U Pazànu? A mio parere, non sta tanto nell'invito ad essere lasciato in pace (anche se è proprio questo, in
fondo, il preambolo di ogni meditazione spirituale), ma sta soprattutto nel suo
dire di non aver mai fatto sapere nulla
al cuore. Ci troviamo in pieno nirvana,
a mio parere. Buddha non parla forse di liberazione del cuore dalle passioni e
dalle impurità?
Grandissimo
ed umilissimo Pazanu! Senza nulla
togliere all'immenso Maestro orientale che da millenni influisce, e continuerà
ad influire sulla cultura mondiale! Quanti Pazani
sono vissuti al mondo, e quanti ancora ne vivono e ne vivranno, depositari
di una sapienza intramontabile che esercita il suo influsso nella polis, nell'ambiente circostante, a
prescindere dalla loro consapevolezza? Il Sapiente è tale per se stesso, la
platea non conta. E non per questo egli è escluso dalla comunicazione. La
comunicazione c'è, ma si svolge su un altro piano: quello delle profondità
dell'Essere, e non quello superficiale della dea Ragione. La Sapienza, come
l'Istinto animale, è il frutto di un''intelligenza che vive, non di un'intelligenza che si astrae dalla vita, come appunto quella razionale. Il Mito,
l'Arte, la Poesia, appartengono alla stessa sfera. Non sono costruzioni
dell'intelletto, ma vengono all'intelletto dalla Creazione universale. Il
Mitopoieta le ascolta dentro se stesso, così come il Sapiente estrae il suo
sapere dai propri abissi interiori.
E' da
qui che nasce la comunicazione autentica. Il Sapiente ed il Poeta sanno che il dialogo con se stessi è il primo anello
della catena relazionale, saltando il quale va in pezzi l'intera catena e la
comunicazione diviene inautentica. Il vero dialogo nasce nell'orizzonte
duale dell'Essere, dualità che non è un arbitrario sdoppiamento. Si è Uno in
Due, o Due in Uno: è questo il mistero dell'Essere, di ogni singolo Essere.
Mistero che il razionalismo ha sempre rifiutato. E il razionalismo è qualcosa
di più della filosofia. Forse, più che la causa, la filosofia è la conseguenza
di quello schematismo che da sempre insulta ed osteggia il mistero. La
filosofia non era ancora nata quando Adamo fu cacciato dall'Eden per avere
ottenuto la Conoscenza (Discriminazione) del Bene e del Male. E'
il razionalismo a produrre quello strappo, ed il suo insorgere nella cultura
classica, attraverso la filosofia, testimonia la decadenza di quel sentire
spirituale autentico da cui nascono Sapienza e Poesia.
Ha
ragione Lolli nel dire che la trasformazione fece dimenticare al linguaggio la
sua ragion d'essere, così che esso "divenne autonomo, si fece dapprima
competizione dialettica e poi esercizio retorico, fino a chiudere l'esperienza
conoscitiva nel labirinto logico ove la verità è l'apparenza di un discorso che
fila, seduce e convince ma si riduce a niente". Sottoscrivo in toto l'assunto, con l'aggiunta che
non soltanto Gorgia e Protagora (ovvero i Sofisti) furono il risultato di
quella trasformazione, ma la stessa cultura orfica lo fu, stante l'accusa
rivolta da Platone ad Orfeo di essere per l'appunto un Sofista e di usare le parole per persuadere anziché per esprimere
la verità. Si tratta di imbrogli della mente che mente, di menomazioni entrambe
monistiche: da un lato la riduzione della Dualità al solo campo del Molteplice,
dall'altro la sua riduzione al solo campo dell'Uno. Da un lato il labirintismo
tragico proprio del Sofismo; dall'altro l'essenzialismo proprio di ogni metafisica;
da un lato la babele linguistica e dall'altro il silenzio estatico.
Esperienze
entrambe della non-comunicazione, della separazione radicale dell'Uno dal Due,
laddove il Due non è altro, e non vuole essere altro, che l'avventura dell'Uno.
La superficie pretende la profondità, e viceversa, ma i due piani sono
paralleli e non vanno confusi tra di loro. Conversare è possibile, impossibile
è la mutazione di stato. La Sapienza scaturisce dal dialogo tra spirito e
ragione, tra il divino e l'umano dell'uomo stesso, tra le sue voci interiori e
la sua sfera razionale. Nessun rapimento, nessuna estasi. Ma nessun fallimento,
nessuna disperazione esistenziale. Equilibrio, Buon senso. Vero Sapiente è chi
conserva integro il Due dentro se
stesso, guardandosi dal mandare a morte la Dualità per favorire una menomata
visione dell'Uno. Il Due non è un
inganno della mente, ma è il modo stesso in cui l'Uno si manifesta, sdoppiandosi nel relativo. Fortunatamente gli
orizzonti della Sapienza esulano da quelli della Cultura, per cui la Sapienza
continuerà sempre a vivere indisturbata, come ha sempre fatto, al di là delle
lugubri convinzioni del razionalismo culturale.
Franco Campegiani
Questa devo raccontartela, caro Franco.. La prima lettura di questo tuo articolo l'ho fatta abbastanza tardi e quando sono arrivato alla fine, ormai in anestesia totale, ho letto "... lugubri convinzioni del Nazionalismo culturale...". Ho fatto un salto sulla sedia dicendo "E mo'? Che c'entra il nazionalismo con Franco?" Ho impiegato qualche minuto ad accorgermi che era "razionalismo".. Poi, lo stramazzo definitivo.
RispondiEliminaIl senso dell'articolo lo assumo in toto come parallelo dell'argomento che stiamo seguendo, auspicando come Angelucci un interesse più largo.
Vito
Come puoi constatare, caro Vito, l'interesse non c'è. Forse noi siamo degli extraterrestri, che però hanno a cuore le sorti della terra (e della poesia), mentre i terrestri... lasciamo stare. Sono felice che tu abbia compreso il senso del mio articolo. Equidistanza dall'ascesi e dal materialismo. Sta qui, a mio parere, il territorio del Mito e della Sapienza.
RispondiEliminaFranco