Da Saffo a Anacreonte
Agape di
vino e poesia
DA PREMIO RABLAIS 1998 |
Vedevamo il
corimbo luccicare
al sole
pregno di sapore egeo
dalla
lucida spiaggia. Un fresco refolo
(all’ombra degli ulivi è il lauto pranzo)
ci arrivava
ceruleo. Attraccò
la
cantatrice. In rossa seta avvolta
dai
barbagli del porto naturale
verso di
noi incedette. Accompagnava
il dolce
suo profumo di lavanda
dell’isola
di Lesbo un auleta
avvinto
allo strumento impreziosito
con icone
divine. Si sedettero.
Le coppe
gli riempimmo di buon vino
delle crete
di Candia. Ora il convivio .
fu
finalmente degno sia di Saffo
che
d’Anacreonte in quel concerto
di suoni
monocordi e di evasione
tra terra
ed infinito. Ed iniziarono
tra
l’assenzio rosato di marina
ormai al
calare ed i riflessi d’oro
sui
luccicanti coppi: “Le mie vigne
perdevano
il colore vespertino
di una
stagione estrema nel perlaceo
scolore
della luna. Era soffuso
il palpito
di brezza sopra il seno
voglioso di
carezze e impallidiva
ancor di
più nel cielo il corpo vago
ai nostri
abbracci.” “Come si potrebbe
pensare ad
un banchetto senza canto,
senza il
suono del flauto così querulo
ma subito
propizio con il suono
a dare
gioia all’anima.” “Volevo
che tutto
il mio sentire si spegnesse
nella notte
soffusa e che l’immagine
non
guastasse la luce. Era la morte
ch’io
bramavo nell’attimo superbo
della gioia
di eternare l’amore.
La poesia e
il canto il grande dono
furono
degli dei per il deforme
involucro
dell’anima. Nessuno
pronuncerà
di certo il verbo furono
per i miei
versi. Aleggiano con piume
leggere
dell’Olimpo in questo incontro.
Moriranno
gli eroi, le bellezze
di
cortigiane effimere e procaci,
ma un
cantico se eccelso volerà
oltre gli
spazi frali degli umani.
E se restò
il ricordo di un’achea
bellezza o
ancor di più di gesta eroiche
di un teucro
si deve al grande aedo.
Il
luccichio del mare accompagnato
dai trilli
lamentosi dei colimbi,
il
frangersi dell’onda sulle rocce
logorate
dagli anni, le tempeste
che
spruzzano la bava della schiuma
sui volti
scolorati e poi i riposi
delle
bonacce sulle vele ai porti
saranno
giuste note che stasera,
incise in
poesia, legheranno
il convivio
all’eterno.” “Che piacere
il gusto, o
Anacreonte , del tuo vino
spremuto
dalle vene di quei dorsi
a
strapiombo sui gorghi. Già i tuoi vecchi
ne gustarono
il timbro e certo agli avi
riconoscenza
dobbiamo che tra
i colùbri e
le serpi sradicarono
sterpaglie
e rovi per si fulvo nettare.”
“Che
accompagni divina la poesia!
Fine non
avrà mai sui nostri suoli
l’unico
mezzo d’eternare l’uomo.”
E chiuse
Anacreonte: “Dei crepuscoli
ancora
canteremo se i convivi
si terranno
nei campi o dei meriggi
per le
vendemmie. è allora che apriremo
il seno
alle cantine e gusteremo
le
liquorose annate ormai invecchiate.
Per noi si
farà vino anche il tramonto
quando
d’autunno il colle denso esala
di grappoli
afrorosi già di tino
lungo le
strade. Tra le pietre brune
evadranno
le vigne e si faranno
i pampani
vermigli ai sogni d’oro
se l’animo
brioso coglierà
del nettare
il sapore giovanile
a
rinverdire gli anni. Brinderemo!
Ricolmi i
coppi antichi degli avi
di rosso o
di trebbiano paglierino
saranno
forza ipnotica. Alzeranno
i venti
nelle valli metafisiche
dei sogni.
Sveglieranno i fumi d’Eros
a spegnere
gli affanni e gli abbandoni
dal tavolaccio
povero. Alzeremo
di cantina
il bicchiere già macchiato
dall’ultima
stagione. E sarà amore
il
cantiniere eterno che l’oblio
negli agri
aromi caccerà di grume.”
Nazario Pardini
Caro Nazario, lo sai che, pur essendo una tua fervente ammiratrice, non amo commentare le tue poesie perché non possiedo la terminologia adatta ad elogiarle. Ma questa volta non posso esimermi dal farlo.
RispondiEliminaOltre la tessitura metrica di una perfezione esemplare - che neppure gli slittamenti del blog riescono a rovinare - anche tutto il linguaggio risulta estremamente scorrevole e di ampio respiro, eppure di una modernità assoluta senza tutti quegli sdilinquimenti ottocenteschi che i poeti legati alla forma spesso hanno. Bellissime anche le traduzioni.
Non temere: la duttilità del tuo canto estremamente prolifico "volerà /oltre gli spazi frali degli umani".
Carla Baroni
Grazie amica; sei sempre estremamente gentile e generosa verso un "maledetto" toscanaccio. Quanto a melodia mi sono allenato con le tue opere...
RispondiEliminaNazario
Il grande Nazario riesce a far partecipe anche me, che sono refrattario verso l'armonia dei simili, ad amare il canto - qui niente affatto sdolcinato - di chi, attraverso le mollezze dei simposi, tenta di volare "oltre gli spazi frali degli umani". Il fatto è che l'armonia dei contrari s'insinua ovunque, anche dove non ti aspetteresti di trovarla mai. Non è a senso unico, perché il mare in tempesta ed il mare in bonaccia sono lo stesso mare: "il frangersi dell'onda sulle rocce / logorate dagli anni, le tempeste che spruzzano la bava della schiuma / sui volti scolorati e poi i riposi / delle bonacce sulle vele ai porti / saranno giuste note che stasera, incise in poesia, legheranno / il convivio all'eterno...". Grande saggezza e grande poesia.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie, carissimo amico, del tuo perspicace commento, rispettoso del tuo pensiero filosofico, e generoso verso la mia invenzione poematica.
EliminaNazario