martedì 4 luglio 2017

ADRIANA PEDICINI LEGGE: "SCATOLA NERA" DI CHIARA MUTTI

RECENSIONE
Scatola nera
di Chiara Mutti
Fusibilia edizioni
ISBN 978-88-98649-30-3
Euro 13,00
A cura di Adriana Pedicini

La poesia –ma forse non voleva-/mi è colata come lava sul cappello/ma non sono che rivoli d’acqua/agitato corso del mio sonno..

(3 gennaio 2012)

Adriana Pedicini,
collaboratrice di Lèucade

Ma cos’è la poesia: è fantasia, armonia di ritmi? Soffio di voci, schegge di vita reale, immagini, metafore? Echi di nostalgia, geometrie di ricordi? intrighi di pensieri che si dipanano in parole chiare o meno chiare, se non addirittura nel non detto?
Forse tutto questo, insieme.
Inoltre vi è una poesia che nasce dal sentimento e si esteriorizza in pensiero/immagini/parole. Vi è una poesia che nasce esclusivamente dal pensiero e non sempre offre una fioritura di sentimenti, ma una somma di meditazioni sulla realtà visibile e sul trascendente.
A noi scavare e portare alla luce i possibili sentimenti.
È possibile, dunque, notare, dall’analisi delle tematiche e delle strutture formali della silloge poetica di Chiara Mutti, questo duplice impegno, questo doppio approdo, a cui la Poetessa giunge al termine di un percorso lungo di meditazione e studio, di confessione e riflessione, iniziato quando ancora era tutto confuso alla coscienza
venivano così i pensieri/come le croste secche alle ginocchia/ un po’ prurito, un po’ dolore/ che se le togli troppo presto/ la ferita comincia a sanguinare/.
E ancora..(e sembra di sentire il Gregor kafkiano delle Metamorfosi)..
tutte le cose/ si affacciavano malferme/come le ombre che zampettano sui muri.
(in Venivano così i pensieri).
Complessi  teoremi di coscienza” che fin dalla primissima giovinezza intravedono il dramma del tempo che fugge, mentre l’opera pietosa della memoria annoda voci che si affastellano come conquiste da dimenticare nella direzione verso porti nuovi, verso bianche spiagge spettrali in cui desiderio e coscienza  sono rette parallele destinate a non incontrarsi mai. (L’anima)
Tali suggestioni troviamo in La notte, in cui l’anima trova se stessa, e quella compiuta consapevolezza di sé che le fa sembrare eterno l’attimo che fulmineamente trafiggendoci “ci nasce”, in maniera contrapposta rispetto al raggio di sole di Quasimodo. Notare l’incipit della poesia  (si sta così la notte..sospesi nel riverbero sottile) e il richiamo a Soldati di Ungaretti : “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, nonché a un’antica tradizione letteraria che da Omero, attraverso l’Eneide virgiliana (VI libro) arriva fino a Dante (III canto dell’Inferno).
D’altro canto è ravvisabile, nel silenzio notturno,  la solitudine (echi saffici) sottolineata da una luna non più complice
Brilla la luna impietosa/nuda/si offre in tutto il suo chiarore/attraversata appena dalle ombre
mentre maliziosa
scopre ella impudica/ quel che nascosto dovrebbe restare/ nel buio della notte/E non mi dona il sonno/
 (Luce lunare)
 Ancor di più nella poesia “Non mi lascio toccare” con parole incisive ed essenziali sottolinea il distacco rispetto a chi pone il suo metro di giudizio non nella virtù nell’apparenza, che si esaurisce nei confini dell’hic et nunc, annaspando in quell’effimero vuoto di un presente senza radici  e senza prospettive di futuro. (lettura integrale).
Tale scelta si rivela pur sempre un tentativo di dare significato alla vita, ad un viaggio la cui meta è sconosciuta
Umano, troppo umano/del cuore/ questo voler andare/ dove?
Lo stesso viaggio, che è poi la vita, non è peraltro esente da dolore...
Questo cieco infilarsi/dentro il gozzo/di speranza/dove sgorga di miele e fiele/ la goccia che è la vita....e arranca nel silenzio della luce/ il senso del domani/ del giorno dopo ancora e poi/ del sempre (Umano)
Ma c’è sempre “un oltre che ci avanza”
un oltre irraggiungibile e tuttavia di eterno ritorno...un fiore, un bambino, una preghiera e tutto ricomincia.
Lo leggiamo anche nella poesia metafora Treno notturno...il tempo che passa, la vita che ci trascina via
un movimento pigro e ingordo/ che c’inganna e ci frantuma/ e raglia e finge di sparire/: è l’eterno ciclo del ritorno/.
...la stazione all’alba/cielo rosa/che trafigge il cuore.
Sicché nessuna certezza è possibile e già il nascere è segno del morire
 questo peso di specchio nella culla/è il riflesso/che ci fa già morti . (Passi)
..il morire, che è già nell’alternanza gioia-dolore, già nel “giro di chiglia” per venti tempestosi  che disorientano lo sguardo e annullano l’orizzonte. Unica certezza il nulla e tuttavia, agognato, il “gelido” sguardo finale”, quello della luce dell’ultima ora.
Tutta la vita dunque si risolve in un’attesa, di cose e di segni, di sentimenti e di rinascita, dopo i rigori dell’inverno, ma neppure il tempo di avvedersene ed è già sera (Melodia dell’Inverno).
Vivo esalando l’attesa....senza sapere quando/ e perché/ancora adesso, e troppo presto, è sera.
 Ma soprattutto la vita è un perenne gioco di equilibrio su una corda troppo sottile, stonata, malferma a volte perfino inesistente o ben serrata nel subconscio che non vale a chiarire i perché.
Non posso parlare alle cose/ che non conosco (L’equilibrio)
Se credessi.....
Potrei forse frugare negli angoli/di questa scatola nera/trovare le note/di qualche vecchio motivo
L’unica salvezza  è non precipitare nell’abisso e assistere quasi  in una perpetua  “aspettazione” ai passi del tempo e alla natura che muore e prepotentemente rifiorisce di vita, mentre già si preannuncia una nuova fine.
Ciò ch’era ancora virgulto/solo ieri solo ieri/era appena nato/oggi esplode nel sole....mentre inizia nel fiore sbocciato/ la secchezza del seme. (Temporale)
Può darsi che si tratti di incapacità di fronteggiare il dolore, il “nostro pane quotidiano”,
un figlio infausto/che non manchiamo un giorno/di allattare
che si sublima illusoriamente nella suprema vanità di esistere, in realtà si risolve nell’inutilità di essere granello di sabbia sulla soglia dell’infinito, varcata la quale non è concesso il ritorno.
Bagliori del conclusivo lume/esalano di noi, noi/ terra rivoltata a vanga/umido trapasso di radici
E ancora
In fretta –troppo in fretta-/maledetto sole/per restare/al sopraggiungere del nulla. (Fuochi fatui)
.e noi sulla soglia/ignorati,sostiamo/in procinto perpetuo di entrare
 (La somma)
 Il tempo fugge, a nessuno è dato di tornare
Di qui passarono/uomini e uomini/e dei/forse agli dei/-a volte-/è concesso tornare
Metafora del senso dolente dell’ineluttabile scorrere della vita nel ragno che tesse nuove tele e continuamente le disfa.
Qui tra mondo e mondo/i ragni tessono/e disfano/le proprie tele.
(Uomini e dei)
Secondo i canoni della classica virtù ma senza lo stesso entusiasmo, a parer mio, la Poetessa nella poesia Il sogno tenta una consolazione, cioè l’esser “contenti sui”, non aver desideri, sapersi accontentare.
Ricordiamo il pensiero ciceroniano: contentum suis rebus esse maximae sunt certissimaeque divitiae
Se sapessimo esimerci/dal desiderio/e bastare a noi stessi/come la notte all’alba/quale male mai/ potrebbe farci soffrire?
 Ma la vita, quella oltre l’esser desti o dormire, quella dov’è, la si può raccontare?
Ma ancora cosa/di quanto amore/potrei scrivere qui, che non sia/ l’esser desti o dormire
(Il sogno)
Infine la poetessa operando uno scavo interiore, ne fa scaturire una confessione spesso dolente, ma sempre controllata, una confessione che traspare anche dalle riflessioni, dalla configurazione della realtà raffigurata  come aderenza o distanza o eco di uno stato d’animo.
Ritorna infine frequentemente nelle poesie, diversamente dichiarato, il motivo della incomunicabilità, della solitudine in cui ognuno è destinato a vivere, tranne per  brevi attimi di amore che si dileguano come neve al sole anche se di attimi sono costellate tante storie.
Alchimia di molecole sospese
Ella allora ritrova il suo senso perduto nel fiorire delle immagini e delle ombre più care e fissa per sempre sulla pagina i segni e i simboli di una verità soggettiva, di una realtà femminile scoperta , fragile, delusa.
Per quale strada volevamo avviarci/ non lo sapremo mai..tu sfogliavi carta/ Ora so/ Tu riflettevi i pensieri/nel rumore dei fogli.
(Bazar)
La memoria che offre la capacità prodigiosa di rivivere gli attimi dà alla Poetessa la coscienza della nostra vita, fatta di sogni e di trepido struggimento, ma anche di speranze e disillusioni, derivanti dal senso stesso del nostro fluire nel tempo “ che confonde l’oggi con ieri” e toglie al domani al gioia dell’attesa.
Era forse la tua voce/ quel lontano lamento?..Tu non hai che parole d’ossa/..non sai quale mistero ti ha visto/..Solo un velo di terra/ è rimasto
(Il lume)
È Un assalto di mondi che furono/ e che ora non sono, un istante futuro/ per arcano motivo già visto./ Ah quel respiro che offusca/ lo specchio/ e che cosa faremmo noi/, cosa non daremmo/ per lasciare le nostre impronte/ lì proprio lì... per sempre
(Mondi)
Una realtà esistenziale, colta nelle immagini-simbolo delle varie liriche,si sviluppa dunque, di verso in verso, come in una storia, in una conclusa vicenda, ove la speranza e il dolore sono configurazioni di un moto perenne del quale l’essere umano, se afferra il suono, ignora angosciosamente il significato.
La caratteristica precipua di Chiara Mutti è nello snodarsi del poiein, caratterizzato dal frequente utilizzo di verbi che disegnano la struttura tematica-fonica, lo stile, la personalità dell’autrice, ma altresì ne dichiarano la partecipazione alle problematiche esistenziali e sociali attraverso diagnosi senza terapia, denuncia senza soluzioni, preziosa registrazione di consapevoli ironie su ciò che siamo, unitamente a ciò che avremmo voluto essere e non siamo.
Tuttavia è suggestivo il tono pacato con cui canta la luce e l’ombra della vita, innalzando il suo mondo individualizzato ad una visione di valore universale.
 Forse influenzata dalle scelte stilistiche dei nostri maggiori dell’ermetismo, Chiara Mutti dimostra un musicale impiego della metafora, la sinteticità analogica, e l’accostamento rapido delle immagini.
Appaiono ricorrenti vocaboli-tema caratteristici di una diretta corrispondenza tra la realtà interiore e le cose che assumono valori di simboli di un mondo intimo, mentre valgono a tradurre in ritmo alcuni miti propri del romanticismo..
Se nella prima parte rilevante è la resa del sentimento che risulta però talvolta velato dall’evasività e dal simbolismo e quasi si offre ad ambivalenze, raggiunge l’acme nella parte centrale (le due poesie lunghe) dopo di che abbiamo le poesie più brevi, in cui ogni parola è densa come un grumo di anima e non si presta a interpretazioni arbitrarie, ma esprime una componente della sua realtà spirituale. Allora il sentimento è l’invisibile soffio che fa vibrare di umanità le sillabe e crea un dettato ritmico aderente al moto lirico, una tonalità dolente e insieme, distaccata, che rende la confessione appena sussurrata.
E l’incertezza esistenziale si affaccia all’anima col respiro delle onde (Le onde) ma manca il superamento di una concezione, il desiderio o bisogno di attingere l’eterno di una realtà transitoria che è al fondo di tutte le coscienze, manca lo slancio passionale dell’amore che forse è evidente solo in qualche lirica, se si accetta il simbolismo(D’amore e spade) (L’alba).
Tuttavia l’impressione che abbiamo ricavato dalla lettura di Scatola nera è quella di composizioni di perfetto equilibrio strutturale, di personale ritmo musicale, vibrante di delicata e dolente interiorità.

Adriana Pedicini


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