Giannicola Ceccarossi. Canti e silenzio. Cantos y silencio.
Ibiscos – Ulivieri. Empoli. 2017.
Pgg. 70. € 12,00
Già ho avuto
occasione di scrivere sulle varie sillogi di Ceccarossi, analizzando la sua
poetica, il suo modo di ricerca umana, eistenziale, naturistica, aggrappato
alla vita e ai dilemmi che la stessa comporta. E credo sia utile leggere alcuni
lacerti delle mie recensioni antecedenti, prima di dare uno sguardo alla sua
ultima avventura letteraria: “Canti e
silenzio. Cantos y silencio”.
A proposito
di “Aspetterò l’arrivo delle rondini”
ebbi a scrivere:
<<(…)
L’autore ha bisogno di coinvolgere la natura,
farla complice, per ritrattare la sua interiorità; e gli impulsi diventano,
così, più meditati in questa traduzione, argine a possibili esondazioni. Una
metamorfosi quasi fisica. Un allegorismo suadente e accattivante, che non ha
niente di eccessivo e complicato, ma che ci arriva, mediato, quale luce che
nella speranza del poeta tornerà a dipanare le ombre. In Aspetterò
l’arrivo delle rondini tutto sembra risolversi in ombra e luce,
in buio e foschia. Ma anche se un tramonto segna una fine, come gioia di pochi
istanti, in Ceccarossi sembra dominare la speranza di un ricordo infinito.>>
In “Casa di riposo”:
<<(…)
Che cosa di
più umano, di più sintonizzato alle corde dei nostri sentimenti che una persona
cara, con tutto il suo bagaglio di solitudini e di rimpianti, in una casa di
riposo. Ceccarossi ne sa fare un poema con un dire che mai scade in una lamentatio. Tutto
si fa lirico e struggente. Sono le piccole cose, i piccoli movimenti a
innervarci tristezze, i recuperi memoriali, gli stati d’animo: lavarsi,
vestirsi, inginocchiarsi in preghiera, le lenzuola, la solitudine, la
solitudine, la solitudine, la fatica a ricordare, il desiderio dei figli. E
tutto si dilata alla sfera dell’essere, del vivere, e del concludersi. Sì!, gli
affetti, le vicinanze, le sofferte occasioni, le conquistate speranze: tutto
avrà fine, improrogabilmente:
Quanto tempo
mi rimarrà?
Ancora
qualche anno
Tra gente
estranea
Fantasma tra
fantasmi… (Pp. 23)
(…)>>.
In “Dove l’erba trasuda narcisi”:
<<(…)
Questo
l’autore. È il suo un volo che lo ri/vuole a terra, lì, proprio lì, dove il
profumo delle piante selvatiche o il colore delle sere iridee contornano fiumi
larghi che esondano in campi di girasoli. Prende forza da qui la poesia del
Nostro. Da questa madre terra che, pur tenendoci stretti nella sua morsa, ci
gratifica con la sua generosa offerta di respiri di allodole, e erbe che
trasudano narcisi. Ma, quantunque preso da questo amore sviscerato per la vita
ed i suoi doni, il poeta è cosciente, anche, della precarietà e della fuga
inarrestabile di un tempo che tutto fagocita, e tutto consuma:
Si svolge il
gomitolo dei giorni
e il cuore
corre corre
Corre
all’impazzata
E mi
brucia…
(…)>>.
In “La memoria è un grano di sale”:
<<(…)
Un canzoniere
d’amore. Un “poema” che brilla di luce propria e che fa del sentimento dei
sentimenti un motivo di vita, un gioco di ossimorici contrasti: speranza,
delusione; nostalgia abbandono; amore e morte; fughe e ritorni.
Ma è lo
sguardo del Poeta, quello zeppo di luce, di fulgore per tutto ciò che in lui
vive, a vincere sul tutto; a fare della natura un palpito che grida con
dolcezza la voglia dell’oltre:
Mentre tutto
riluce
la pioggia
rasenta le bordure dei platani
l’allegria
degli uccelli invade il cielo
e già oltre è
il mio sguardo (E in
questo luogo).
E tutto sarà
chiaro con le ombre che si dileguano. E d’argento si faranno le stagioni:
(…)
Ma quando le
cicale
canteranno le
ombre che si dileguano
e che
argentano le mie stagioni
allora – e
solo allora –
saprò dove
vanno a morire le nuvole
E sarò con
loro (Allora – e solo allora -)>>.
Nel “Fu il vento a portarti”:
<<Non attendere che il favònio
sfilacci petali di parole
Il sole ti lascerà un fiore
nel palmo della mano (III).
35 composizioni brevi, concise, apodittiche, che con i loro
versi morbidi, si uniscono come perle di una stessa collana. Un canzoniere
d’amore ma di un amore pieno, dolce, incorporeo, totale, che volge lo sguardo
ad una universalità senza limiti, ad un terreno che si fa sublime con giochi di
sospiri e di tocchi di figure retoriche appropriate e significanti disposte a
rivelare una passione gentile e delicata che tanto sa di Vita nova
dantesca. Amore; erotismo spirituale; estensione, sperdimento, gentilezza,
dolcezza, grazia, melanconia, memoriale e onirica saudade, quella umanamente
indicibile, che ti accompagna con il suo sapore di vita. Il tutto con
versi che si fanno autentici tatuaggi, sbaffati e sfuocati, di un animo
vòlto a fare delle parole un volo orizzontale e verticale, un volo tinto di
palpiti e abbrivi emotivi.
(…)>>.
In “Un‘ombra negli occhi”:
<<(…)
La
coscienza della precarietà dell’esistere, della futilità dei giorni e delle
occasioni, si traduce, in questo spartito, in una sinfonia vicina ad ognuno di
noi; in un analitico scavo personale e oggettivo, dacché ognuno può
scoprire in questa filosofia una parte del suo esistere. Ci sono primavere,
lontane primavere che tornano, anche se un po’ sfumate, a creare impulsi
vitali; ancoraggi ad alcove di edeniche quietudini; ma ci sono anche pallidi
autunni che, fragili e mortali di foglie rubino, lasciano sogni in balia dei
venti, senza precise destinazioni. E Ceccarossi si chiede se tali stagioni
avranno un seguito; se tali preziosi tesori, accumulatisi in anni di esistenza,
avranno un destino riconoscibile. Sta qui l’inquietudine del poeta; in una
ricerca affannata e di difficile soluzione umana: tante domande che senza
risposta determinano un disagio esistenziale che va oltre; oltre il fatto di esistere.
(…)>>.
Mi sembra che da tali letture
emerga l’attaccamento del poeta alla vita, alla bellezza del Creato, ai giochi
stilistici di ossimorica funzione o di sinestetica allusione, o di effetti
musicali per far risaltare quella che è la sua idea della poesia: amore,
passione, sentimento, euritmia, memoriale, inventiva e concretizzazione
dell’essere in trionfi di vertigini paniche. Ma anche la questione del rapporto
vita-tempo; del fatto di esistere, della sua visione sull’aspettativa del
futuro. E il tutto sotto la meditazione di un uomo cosciente del malum vitae,
della saudade, o delle ristrettezze che tale avventura vitale ci impone.
Qui, in questa ultima opera pare
che il poeta vada oltre. Ceccarossi sa di avere sparato tutte le cartucce sulla
sua vicenda umana; sul suo ontologico grido di essere sperso tra i meandri dell’esistere.
Ora chiede il silenzio; ma non quello degli eremiti, il suo è un diverso
percorso: è un silenzio umano, una metamorfosi verso l’alto, verso il cielo
dove non possono giungere le parole, dato che esse non sono altro che un
congegno virtuale. Le parole non sono sufficienti a dire tutto. Egli deve
andare oltre, con una ascensione spirituale che lo elevi alla grandezza dei
silenzi. Solo così raggiungerà la pace con se stesso nella convinzione di un
eterno esserci: in fin dei conti questo è il fine del poeta: andare col canto e con la melodia dei suoni oltre le strette misure della storia. E quello
che Ceccarossi mantiene della sua
tradizione poetica è la grande musicalità che in queste quartine raggiunge con
note di sublime levatura. Tre sezioni che, in un climax di forte perlustrazione
emotiva, si concludono con un inno oracolare, visionario al sorriso:
Sorridi
Sorridi ai giorni di sole
Io ci sarò sempre
Anche dopo
Nazario
Pardini
Sono totalmente rapita dall'analisi critica del nostro Nazario dell'Opera di Giannicola Ceccarossi. E dalla sua disamina attenta e ispirata deduco che ci si trova davanti a un Poema di grande spessore esistenziale. Un Poema che non necessità della quantità del dire, ma solo della qualità. Pur non ritenendomi poetessa sono cresciuta all'ombra di un padre che amava esprimersi ricorrendo all'arte della sintesi e i versi riportati dal nostro magnifico ospite mi hanno restituito la luce che sa accecarmi. La luce di quella che si potrebbe definire, senza timore di sbagliare, l'epifania esistenziale della Poesia, in quanto sa ricordarci che il miracolo non è nella complessità, ma nelle piccole cose che caratterizzano la natura e i rapporti umani. Ringrazio di cuore il Poeta e il critico, che hanno reso lieve il mio volo e plaudo a tanta bellezza.
RispondiEliminaMaria Rizzi