domenica 3 dicembre 2017

N. PARDINI LEGGE: "CANTI E SILENZIO" DI GIANNICOLA CECCAROSSI

Giannicola Ceccarossi. Canti e silenzio. Cantos y silencio. Ibiscos – Ulivieri. Empoli. 2017. Pgg. 70. € 12,00




Già ho avuto occasione di scrivere sulle varie sillogi di Ceccarossi, analizzando la sua poetica, il suo modo di ricerca umana, eistenziale, naturistica, aggrappato alla vita e ai dilemmi che la stessa comporta. E credo sia utile leggere alcuni lacerti delle mie recensioni antecedenti, prima di dare uno sguardo alla sua ultima avventura letteraria: “Canti e silenzio. Cantos y silencio”.
A proposito di “Aspetterò l’arrivo delle rondini” ebbi a scrivere:
<<(…)
L’autore ha bisogno di coinvolgere la natura, farla complice, per ritrattare la sua interiorità; e gli impulsi diventano, così, più meditati in questa traduzione, argine a possibili esondazioni. Una metamorfosi quasi fisica. Un allegorismo suadente e accattivante, che non ha niente di eccessivo e complicato, ma che ci arriva, mediato, quale luce che nella speranza del poeta tornerà a dipanare le ombre. In Aspetterò l’arrivo delle rondini  tutto sembra risolversi in ombra e luce, in buio e foschia. Ma anche se un tramonto segna una fine, come gioia di pochi istanti, in Ceccarossi sembra dominare la speranza di un ricordo infinito.>>     

In “Casa di riposo”:

<<(…)
Che cosa di più umano, di più sintonizzato alle corde dei nostri sentimenti che una persona cara, con tutto il suo bagaglio di solitudini e di rimpianti, in una casa di riposo. Ceccarossi ne sa fare un poema con un dire che mai scade in una lamentatio. Tutto si fa lirico e struggente. Sono le piccole cose, i piccoli movimenti a innervarci tristezze, i recuperi memoriali, gli stati d’animo: lavarsi, vestirsi, inginocchiarsi in preghiera, le lenzuola, la solitudine, la solitudine, la solitudine, la fatica a ricordare, il desiderio dei figli. E tutto si dilata alla sfera dell’essere, del vivere, e del concludersi. Sì!, gli affetti, le vicinanze, le sofferte occasioni, le conquistate speranze: tutto avrà fine, improrogabilmente:

Quanto tempo mi rimarrà?
Ancora qualche anno
Tra gente estranea
Fantasma tra fantasmi… (Pp. 23)
(…)>>.


In “Dove l’erba trasuda narcisi”:

<<(…)
Questo l’autore. È il suo un volo che lo ri/vuole a terra, lì, proprio lì, dove il profumo delle piante selvatiche o il colore delle sere iridee contornano fiumi larghi che esondano in campi di girasoli. Prende forza da qui la poesia del Nostro. Da questa madre terra che, pur tenendoci stretti nella sua morsa, ci gratifica con la sua generosa offerta di respiri di allodole, e erbe che trasudano narcisi. Ma, quantunque preso da questo amore sviscerato per la vita ed i suoi doni, il poeta è cosciente, anche, della precarietà e della fuga inarrestabile di un tempo che tutto fagocita, e tutto consuma:

Si svolge il gomitolo dei giorni
e il cuore corre corre
 Corre all’impazzata
E  mi brucia
(…)>>.

In “La memoria è un grano di sale”:

<<(…)
Un canzoniere d’amore. Un “poema” che brilla di luce propria e che fa del sentimento dei sentimenti un motivo di vita, un gioco di ossimorici contrasti: speranza, delusione; nostalgia abbandono; amore e morte; fughe e ritorni.
Ma è lo sguardo del Poeta, quello zeppo di luce, di fulgore per tutto ciò che in lui vive, a  vincere sul tutto; a fare della natura un palpito che grida con dolcezza la voglia dell’oltre:

Mentre tutto riluce
la pioggia rasenta le bordure dei platani
l’allegria degli uccelli invade il cielo
e già oltre è il mio sguardo (E in questo luogo).

E tutto sarà chiaro con le ombre che si dileguano. E d’argento si faranno le stagioni:

(…)
Ma quando le cicale
canteranno le ombre che si dileguano
e che argentano le mie stagioni
allora – e solo allora –
saprò dove vanno a morire le nuvole

E sarò con loro (Allora – e solo allora -)>>.


Nel “Fu il vento a portarti”:

<<Non attendere che il favònio
sfilacci petali di parole

Il sole ti lascerà un fiore
nel palmo della mano (III).

35 composizioni  brevi, concise, apodittiche, che con i loro versi morbidi, si uniscono come perle di una stessa collana. Un canzoniere d’amore ma di un amore pieno, dolce, incorporeo, totale, che volge lo sguardo ad una universalità senza limiti, ad un terreno che si fa sublime con giochi di sospiri e di tocchi di figure retoriche appropriate e significanti disposte a rivelare una passione gentile e delicata che tanto sa di Vita nova dantesca.  Amore; erotismo spirituale; estensione, sperdimento, gentilezza, dolcezza, grazia, melanconia, memoriale e onirica saudade, quella umanamente indicibile, che ti accompagna con il suo sapore di vita.  Il tutto con versi che si fanno autentici tatuaggi, sbaffati e sfuocati,  di un animo vòlto a fare delle parole un volo orizzontale e verticale, un volo tinto di palpiti e abbrivi emotivi.
(…)>>.

In “Un‘ombra negli occhi”:

<<(…)
La coscienza della precarietà dell’esistere, della futilità dei giorni e delle occasioni, si traduce, in questo spartito, in una sinfonia vicina ad ognuno di noi; in un analitico scavo  personale e oggettivo, dacché ognuno può scoprire in questa filosofia una parte del suo esistere. Ci sono primavere, lontane primavere che tornano, anche se un po’ sfumate, a creare impulsi vitali; ancoraggi ad alcove di edeniche quietudini; ma ci sono anche pallidi autunni che, fragili e mortali di foglie rubino, lasciano sogni in balia dei venti, senza precise destinazioni. E Ceccarossi si chiede se tali stagioni avranno un seguito; se tali preziosi tesori, accumulatisi in anni di esistenza, avranno un destino riconoscibile. Sta qui l’inquietudine del poeta; in una ricerca affannata e di difficile soluzione umana: tante domande che senza risposta determinano un disagio esistenziale che va oltre; oltre il fatto di esistere.
(…)>>.

Mi sembra che da tali letture emerga l’attaccamento del poeta alla vita, alla bellezza del Creato, ai giochi stilistici di ossimorica funzione o di sinestetica allusione, o di effetti musicali per far risaltare quella che è la sua idea della poesia: amore, passione, sentimento, euritmia, memoriale, inventiva e concretizzazione dell’essere in trionfi di vertigini paniche. Ma anche la questione del rapporto vita-tempo; del fatto di esistere, della sua visione sull’aspettativa del futuro. E il tutto sotto la meditazione di un uomo cosciente del malum vitae, della saudade, o delle ristrettezze che tale avventura vitale ci impone.
Qui, in questa ultima opera pare che il poeta vada oltre. Ceccarossi sa di avere sparato tutte le cartucce sulla sua vicenda umana; sul suo ontologico grido di essere sperso tra i meandri dell’esistere. Ora chiede il silenzio; ma non quello degli eremiti, il suo è un diverso percorso: è un silenzio umano, una metamorfosi verso l’alto, verso il cielo dove non possono giungere le parole, dato che esse non sono altro che un congegno virtuale. Le parole non sono sufficienti a dire tutto. Egli deve andare oltre, con una ascensione spirituale che lo elevi alla grandezza dei silenzi. Solo così raggiungerà la pace con se stesso nella convinzione di un eterno esserci: in fin dei conti questo è il fine del poeta: andare col canto e con la melodia dei suoni oltre le strette misure della storia. E quello che Ceccarossi  mantiene della sua tradizione poetica è la grande musicalità che in queste quartine raggiunge con note di sublime levatura. Tre sezioni che, in un climax di forte perlustrazione emotiva, si concludono con un inno oracolare, visionario al sorriso:

Sorridi
Sorridi ai giorni di sole
Io ci sarò sempre
Anche dopo


Nazario Pardini

1 commento:

  1. Sono totalmente rapita dall'analisi critica del nostro Nazario dell'Opera di Giannicola Ceccarossi. E dalla sua disamina attenta e ispirata deduco che ci si trova davanti a un Poema di grande spessore esistenziale. Un Poema che non necessità della quantità del dire, ma solo della qualità. Pur non ritenendomi poetessa sono cresciuta all'ombra di un padre che amava esprimersi ricorrendo all'arte della sintesi e i versi riportati dal nostro magnifico ospite mi hanno restituito la luce che sa accecarmi. La luce di quella che si potrebbe definire, senza timore di sbagliare, l'epifania esistenziale della Poesia, in quanto sa ricordarci che il miracolo non è nella complessità, ma nelle piccole cose che caratterizzano la natura e i rapporti umani. Ringrazio di cuore il Poeta e il critico, che hanno reso lieve il mio volo e plaudo a tanta bellezza.
    Maria Rizzi

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