martedì 6 febbraio 2018

FRANCA ALAIMO LEGGE: "VERSODOVE" DI ANNALISA RODEGHIERO

Annalisa Rodeghiero: Versodove, Blu di Prussia, 2017


Annalisa Rodeghiero,
collaboratrice di Lèucade

       Circola all'interno della versificazione (classicamente atteggiata nella sua intelaiatura metrica, ma moderna nei suoi esiti verbali) della Rodeghiero la grazia di uno sguardo capace di coniugare slanci spirituali, sogni, struggenti tensioni verso un altrove con una piena adesione dei sensi al brulicante teatro delle creature tutte.
       Anche quando sulla scena irrompe il dolore, trattato con quell'elegante pudore che esclude la sterilità della lamentatio, lo spalancamento del cuore alla vita resta identico, in nome di una fede che, direttamente testimoniata dal testo a pag. 54 Il dondolio dell'onda, dà alla parola un'impronta di fervido impegno esistenziale e un ardore etico da cui sgorga un sentimento di pietas storico-creaturale che, immerso nel tempo attuale, dà vita a versi umanissimi di impegno e solidarietà nei confronti dei sofferenti d'ogni razza e luogo.
       In altre parole, la poesia della Rodeghiero appare come un flusso ininterrotto che indaga con partecipazione ogni aspetto dell'esistere: la natura, come luogo di sempre nuove epifanie di bellezza o come spazio in cui si compongono figure d'interiorità o metafore dell'assoluto; il tempo, come dimensione in cui si alternano la percezione dell'instabilità e dell'impalpabilità del reale e la certezza di un sovra-mondo eterno, l'ombra della morte e la luce dirompente delle cose vive, l'astrazione e la concretezza, il presente e il passato. E, ancora, l'amore, come sentimento che sostanzia la propria biografia di madre, figlia, sposa, amante, credente; ma soprattutto forza vitale, passione e precipizio, felicità e tristezza, tenerezza e pacatezza del cuore; e, infine, strumento di unione mistica fra gli esseri e fra quest'ultimi e il mondo.
Aderire alle sfumature dei sentimenti, alla variabilità e ricchezza delle forme conferisce  alla lingua della  Rodeghiero un notevole dinamismo coincidente con le tappe del percorso conoscitivo: l'esperienza dei sensi, l'emotività del cuore, la riflessione razionale, che sfociano in quello che, secondo la poetica dell'autrice, costituisce il ruolo fondamentale del gesto poetico: conciliare visibile e invisibile, spirito e materia, alto e basso, cielo e terra, in nome di un'esigenza etico-estetica che, includendo il reale, lo trasfiguri.
Anche la limpidezza dell'espressione costituisce un punto d'arrivo programmatico, volendosi offrire al lettore come dono di comunicabilità, ché, ad un esame approfondito, appaiono evidenti l'ampia cultura e la perizia tecnica di questa poeta che desidera risolvere il problema del rapporto fra la realtà e la poesia in una sorta di ritmo magico che sovrasti con la sua armonia ogni stridore. La musicalità è, infatti, uno dei pregi maggiori di questa silloge, cosa non da poco in un'epoca in cui la disarmonia sembra prevalere anche nel linguaggio delle arti.

Franca Alaimo
29/01/2018

DAL TESTO


CAREZZA D’ACQUA
  
Aspettare anche se invano
ha un senso pieno
quando si tratta di te.
È la certezza d’esistere
oltre la vista, il tatto, l’olfatto, l’udito, il gusto.
Condanna d’altri il tangibile.
Noi, carezza primaverile d’acqua
nell’insondabile velo d’anima.
Mistero che unitamente ricopre
me e te e l’infanzia nello sguardo,
promessa d’orizzonti
sempre nuovi a venire.
Noi eternità. Noi sillabe. Poesia.
Certezza del fiore in gemma che s’apre.
Certezza del frutto nell’operosità dei voli.



 “Il tempo presente e il tempo passato
 sono forse presenti nel tempo futuro…”
 T.S.Eliot
                                  

MAI POTREMO DIRE

Mai potremo dire per quanto è stato, era.
Era un minuto a valere un giorno intero
o un giorno intero a non valere nulla.
Mai potremo dire dove. Noi, eravamo.
Quando finire era ricominciare
e una salita nuova, era subito discesa,
là, in quel tempo donato al tempo,
eravamo noi
a stringere a due mani l’esistenza.   
Sembrava così facile allora
abbracciare l’alba,
sentirla sbocciare dentro i nidi
e dopo che era stato giorno tutto il giorno,
consegnarla nelle ali del tramonto.
Cosa interviene dunque, dopo,
a frammentare il cielo, a incenerirlo,
forse a nessuno è dato di sapere.                              
Quel che è certo è solo ciò che resta. 
Negli occhi muti,
estranee geografie da sopportare,
un rifiuto, quasi, nel guardare l’orizzonte,
solo -futuro privo di futuro-
a chi non sa godere del passato.
Perduto è allora il tempo che rimane,
serrato l’uscio a petali di rosa.


1 commento: