PASQUALE BALESTRIERE; COLLABORATORE E COFONDATORE DEL BLOG ALLA VOLTA FDI LEUCADE |
GIANNICOLA CECCAROSSI. ED È
UN MIRACOLO IL VOLO DEGLI UCCELLI
Ibiskos
Ulivieri, Empoli, 2021
“Nomen
omen” verrebbe da dire collegando il titolo di questa silloge – cioè il
“miracoloso” volo degli uccelli- ai
lacerti poetici che la costituiscono e che si qualificano per una diffusa
levità di scrittura, per una dolcezza verbale affabulante, per un senso di
misura ed eleganza rappresentativa che immediatamente si impongono
all’attenzione di chi si accinge alla scoperta di quest’opera. Si avverte qui
il tocco aereo di un animo gentile e musicale che si piega alla lettura e
all’auscultazione dei due mondi -quello interiore e quello esterno- con i quali intreccia dialoghi che si
risolvono in versi e si fissano in poesia.
Si
annuncia dunque dal titolo (il verso eponimo è a pag. 14), dal leggero volo
degli uccelli, il tono carezzevole e fascinoso di questa poesia sussurrata e
discreta che, a mio parere, discende direttamente da un aspetto caratteriale
del suo facitore, il quale non ama clamori e rifugge dall’ostentazione. E
danzano questi versi, intessono melodie, cercano le corde del cuore; e
trovano il loro spazio ideale in quel
territorio che vede l’interazione dei due mondi suddetti e ne rappresenta il
punto di equilibrio, perché non sono ignoti a Ceccarossi i rischi che
potrebbero derivare dall’ intimismo o dal solipsismo da un lato e dal
descrittivismo o dall’ oggettivismo dall’altro: peccati da cui non è affatto
immune la poesia del nostro tempo.
Perciò
nei versi del poeta romano sono fitte le presenze “naturali”: dai luoghi
(boschi, giardini, orti, foreste, deserti, mare) agli elementi, componenti e
fenomeni (acqua, vento, luna, onde, piogge, sole, comete, sabbia, cirri), dal
mondo botanico ( platani, clizie, cedri, aranci, lecci, querce, trifogli,
corimbi, virgulti, petali, ghiande, canneti, gigli, spighe, papaveri, alghe) a
quello zoologico (navoncelle, frosoni, balestrucci, tortore, capinere, passeri,
cicale). Tale dovizia di presenze attesta e certifica la sostanza terrena di
una poesia pronta a levarsi in “volo”, in slanci di purezza e di elevazione, ma
che non può -non vuole!- staccarsi completamente da una realtà circostante così
fervida di bellezza e di vita, così familiare e serenante (“Si aleggia
lievemente / ma non ci si stacca dai canneti”, pag. 24). Certo, magari l’anima
troverà spazi e recessi idonei alla sua natura, il locus amoenus cercato e infine rinvenuto, sia pure per un attimo, lungo un’eternità. Ma anche questa
sublimazione o catarsi reca con sé l’eco profonda di una terrenità incalzante,
di una corporeità mai rinnegata. Necessarie, a questa poesia che vive il
brivido dell’alba, la distesa serenità del giorno e, con una qualche
preoccupazione almeno nella circostanza che segue, l’oscurità della notte (“Non
fatemi spegnere al buio! / Che sia la luce a togliermi il respiro.” pag. 15).
Che belli il novenario e l’endecasillabo appena sussurrati, sciolti in
preghiera!
Accanto
e dentro questo sentimento della natura trova spazio e accoglienza il lessico
dell’anima, di un’interiorità matura e piena, ora lieta ora dolente, ma sempre
alimentata dalla speranza. Ma ascoltiamolo, anzi “sentiamolo” questo canto, che
si distende in versi di varia misura e di intime vibrazioni: “E ci avvolge
l’allegria / l’odore dei tagli d’erba/ l’aurora che accoglie stormi / il
murmure placido del tramonto / E a ogni risveglio è un sussurro d’amore”, pag. 23;
oppure: “ Scruto le mie rughe / e confido in uno strido /che dispiumi l’incubo
degli anni”, pag. 32; o anche: “Frinivano la cicale / e si sbrogliava l’attesa
per quegli attimi / gelosi del tempo che
incantava (...) Eravamo soli con l’amore negli occhi”, pag. 33. E a me pare che l’amore, nelle sue varie
forme e manifestazioni, sia, oltre ogni dubbio esistenziale, il filo rosso che lega intimamente la silloge
e la corrobora nella sua sostanza poetica ; dove il pronome/soggetto “noi”
indica una pluralità, più che una duplicità; e ha eco umana e universale.
Dunque l’amore che si fa poesia, ma che è anche vissuto attraverso la poesia,
si offre ad un’ambivalenza poetico-semantica che fluisce ex cordis plenitudine di Giannicola Ceccarossi e che si accorda a
un senso di diffusa e, talvolta, inquieta tenerezza.
C’è un
aspetto della silloge – corredata dell’importante
prefazione di Emerico Giachery - che mi ha incuriosito: l’impiego, non
infrequente, di termini piuttosto
inconsueti se non addirittura rari o peregrini. Sono voci verbali, che riporto
fedelmente, proprio come appaiono nel libro (“demaglia, essuda, invermiglio, dispiumi, distornare, riddiamo,
alitiamo, bruire, defogliano,
raggia ...”), e nominali ( “asolo, particole, navoncelle, murmure, galaverna, cinigie, zefiro, cordigli,
corimbi ...” ), le quali “scartano”
rispetto al lessico usato, che -in senso
proprio e denotativo- appartiene a un registro linguistico medio; e che poi , tra le mani di Ceccarossi, si
connota per semantica creativa e assurge
a linguaggio poetico. E mi sono detto che quelle parole poco usate trovano quella collocazione e quell’impiego che al poeta sono parsi più
propri nei determinati contesti; perché la selezione verbale nell’atto poetico
non deve rispondere a criteri di razionalità ma alla necessità di dire il mondo
interiore quanto più fedelmente possibile; sicché, più del poeta, il linguaggio
e le sue forme li sceglie il daimon creativo,quella forza non meglio identificata che sollecita, e
addirittura costringe, a scrivere
poesia.
Ciò
detto, mi resta da notare che i 24 tempi
lirici, che formano e scandiscono la silloge, rispondono altresì all’esigenza
di realizzare un’atmosfera di pura suggestione musicale, alimentata da scelte
metriche e ritmiche che privilegiano una versificazione libera, sì, ma attenta
alle diverse misure che cooperano a produrre
armonia; perché, in fondo, la poesia di Giannicola Ceccarossi è pura sinfonia; cioè mero godimento
spirituale.
Pasquale Balestriere
Caro Pasquale, ho letto il testo del caro Giannicola e sono certa che l'avrai reso oltremodo felice con questa esegesi che è incanto di professionalità, lirismo e musica essa stessa. Complimenti di cuor e un saluto affettuoso.
RispondiEliminaCara Maria, ti ringrazio del pensiero e ti saluto con affetto.
EliminaUn'esegesi magistrale, questa di Pasquale Balestriere, che rende giustizia ad una poetica, quella di Giannicola Ceccarossi, facilmente e superficialmente etichettabile come "intimista", ma che rappresenta invece uno slargo audace dell'anima verso cieli e terre (e sottolineo "terre") di sapore edenico, che si direbbero irreali, ma che sono invece reali e concretamente esistenti, rintracciabili in quelle aree della realtà che noi, prigionieri delle malie tecnologiche, megalopolitane, abbiamo ignominiosamente lasciato cadere in oblio. Questo meraviglioso volo di uccelli svolazza maliardo sulla mia scrivania da qualche giorno (qui giunto dopo la pausa estiva con incredibile ritardo), e ringrazio pubblicamente l'autore per avermelo inviato. Non mi resta che sprofondare nella lettura, sulla scorta di questa mirabile esegesi, per farmi a mia volta rapire dal "tocco aereo di un animo gentile e musicale che si piega alla lettura e all’auscultazione dei due mondi -quello interiore e quello esterno - con i quali intreccia dialoghi che si risolvono in versi e si fissano in poesia".
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie, Franco, per questo commento con puntata esegetica. Un caro saluto.
EliminaUn ringraziamento particolare a Nazario, amico fraterno, per l'affetto che mi dimostra e per la solerzia con la quale ha pubblicato la mia recensione a Giannicola Ceccarossi. Lo ringrazio altresì della generosità per la quale mi ha onorato del titolo di cofondatore di questo blog. Per amore di precisione va detto che c'è un solo fondatore del blog ed è Nazario Pardini. Vero è che, per anni, ho molto collaborato con scrittura, consigli e controlli, che hanno dato vita a chiacchierate telefoniche interminabili, a discussioni e confronti incessanti e stimolanti. Chi se ne dimentica?
RispondiEliminaPerciò grazie di tutto, Amico mio.
Caro Pasquale, bellissima recensione la tua che invoglia subito a comprare la plaquette anche se la bravura di Giannicola è ben nota. Tuttavia mi incuriosiscono la conoscenza approfondita di flora e fauna e l'uso di termini desueti, due aspetti della poetica dell'autore che non conoscevo. Complimenti ad entrambi!
RispondiEliminaCarla Baroni
Cara Carla, grazie per il commento. Uno dei pregi della silloge di Giannicola sta nell'atmosfera assorta e quasi incantata che egli riesce a creare.
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