mercoledì 5 dicembre 2012

Una poesia di Domenico Defelice

LA LUCE E IL SERPE



Solo tu potevi aver pensieri

della mia lontananza, ridarmi

quell'amore che ho perduto,

rendere meno acerbo nel mio cuore

il ricordo del Sud.


Dove sei, luce dell'alba ?

Mi lasciasti il fruscio delle tue vesti,

il tuo sorriso, un parlare

sommesso nell'incerto chiarore del mattino.


Forse tu ti sciogliesti a poco a poco

sopra i sassi che si aprono alla luna

ed io non ero lì, non ti raccolsi

nelle mie braccia, o vinta dal furore...


Solo tu potevi darmi il bacio

della speranza, dirmi

che non ero ancora morto

per la tua gente, prepararmi

la strada del ritorno a quella terra

che già s'è fatta mito nella memoria.


Oh, il tuo attendermi muto sulla soglia

tra vasi di gerani e un gelsomino

pensile che incorniciava la tua chioma bruna !


Ricordi ? E poi si andava lungo le querce

ricamando sogni nei nostri cuori giovanili :

l'affetto per il bosco era un pretesto

al nostro amore di solitudine ;

la tua dolcezza mite

rendeva miti anche i miei furori...


Ed ora più non sei !

Ora tu dormi in una tomba d'erbe

dove placido è il fiume, alle cui rive

bevono i cavalli

ombre riflesse di canneti.

E l’erbaiolo ti schiude l'orizzonte

ogni stagione ; la falce al sole

descrive sul tuo capo linee, archi,

bagliori che nel cavo dei tuoi occhi

son danze di galassie.


Brucia la piana nel meriggio estivo.

Sotto gli ulivi dal sole inceneriti

dormono uomini dalla crosta d'alberi.

Indugia la cavalletta negli amori

aggrappata alla felce. A tratti

qualche volo ripido d'uccello,

o una voce lontana, quasi un tonfo

nel cuore del silenzio. Danze di fuochi

il tutta la campagna. Sui sassi

e fra i dirupi, il serpe tende insidie

al ramarro, fischia, apre le spire,

schiocca al sole come uno scudiscio.


Ma dove tu riposi

una fresca natura si dispiega.

Il fiume ha creato geometrie di specchi,

s'è infiltrato nelle tue narici,

ti canta in gola come una cascata.


Piccina mia, il freddo ch'hai nell'ossa

mi ricorda antichi miei tremori,

batter di denti dentro l'acqua

cupa del fosso, il macero del lino,

giorni d'incubi, eterni, sotto l'occhio

bieco d'un serpe ispido...

un serpe !... E un serpe fu chi ti distrusse

sulle rive di un fiume

dove tutto è silenzio ed erba alta,

dov'io non posso giungere a involarti

dalle viscere buie della terra,

metterti per sempre nel mio cuore,

santa reliquia.

 
Domenico Defelice




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