venerdì 21 marzo 2014

UBALDO DE ROBERTIS: "ALTRE SERE...", DA "DIOMEDEE", JOKER EDIZIONI.


Poesia snella, varia, esistenziale, duttile che ci dice della vita, della realtà dell'essere e dell'esistere con una personalizzazione spiccata della vicissitudine umana. Ed il verso corre fluido o rattenuto per accompagnare le vibrazioni di un sentire intento ad un "aveu" di grande intensità emotiva. Ci sono tutti gli spigoli di una storia che si traduce, agevolmente, in azzardi ad una verticalizzazione di pluralità oggettive; e rime interne, assonanze, stilemi allusivi a creare un un certo ossimorico tessuto stilistico fra la dolcezza del verso e l'inquietudine del vivere.
       È lì, in questi ultimi due versi, il "polemos" dei contrari, la contrapposizione fra il giorno e la notte, fra il bene e il male, fra il dolore e la  gioia, che gioca, in definitiva, un ruolo decisivo nel fluire dell'esistere. Ma c'è una salvezza: sta tutta nel ricupero di quegli slanci che compensano le sottrazioni.  
"... Questa inquietudine mi assale quando s'approssima la notte al mattino arrossisco e rinfodero il pugnale".

Nazario Pardini



Altre sere sono io

quel lampadario che pende dal soffitto
che appena si accende brucia la pelle
meglio arrostire d'un colpo che ogni giorno un poco
e non sentire il peso di questo mio fardello
solo che al posto dei quanti e della luce 
è un truce gioco di sangue che inonda la gola 
solo che le vene sono asciutte e intorno
 alla lingua denti di cartone

Altre sere sono io 
a stendermi per terra ad esibirmi in cadenze di danza
a suonare sulle cedevoli natiche fantasie variazioni 
e mi riuscirebbero più graditi falsi accordi miserandi grugniti

Altre sere sono io 
a schiudere le labbra adducendo sermoni 
ma è come masticare ghianda
quale parte avrei di questo prossimo duro
 severo cospiratore inferocito pronto a squarciare
 a strapparmi il cuore che prima d'essere
per due terzi maturo è già marcito
Questa inquietudine mi assale quando s'approssima la notte
al mattino arrossisco e rinfodero il pugnale
(Dalla raccolta Diomedee, Joker Edizioni).

Ubaldo Derobertis

3 commenti:

  1. L’associazione, peraltro bizzarra quasi alla maniera di Palazzeschi, della persona del poeta a un oggetto (“il lampadario”), prefigura il drammatico regredire dell’umanità verso il mondo inanimato. Un regredire lento ma progressivo che trasforma gli elementi vitali in sterili parti come le vene vuote e i denti di cartone. E’ la metafora dell’invecchiamento, dell’avvicinamento progressivo alla morte, lento e per questo più doloroso, tale da spingere a farla finita, a trapassare così come fa il giorno che cede alla notte. In uno stile alto e complesso si dipanano figure retoriche che evocano il dramma dell’uomo di fronte all’inevitabile e irreversibile degrado. Ma nell’alternarsi tra la notte e il giorno, tra l’ombra e la luce, è quest’ultima a prevalere, se pur per un momento, sulla disperazione a far “rinfoderare il pugnale” per proseguire ancora il percorso dell’esistenza.

    Franco Donatini, docente Università di Pisa
    franco.donatini@yahoo.it

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  2. È possibile il colloquio in poesia?, direi che è possibile soltanto attraverso una finzione, attraverso la problematizzazione della poiesis, come fa Ubaldo De Robertis il quale procede secondo il principio del contrasto e delle associazioni bislacche e astruse. Noi sappiamo, per averlo appreso nel corso del Novecento, che più la problematizzazione investe il pensiero (poetico) più il soggetto esperiente si rivela colpito dal tabù della nominazione. Qui si nasconde una antinomia. C’è una oggettiva difficoltà, da parte del poeta moderno, a nominare il «mondo» e a renderlo esperibile in poesia; c’è una oggettiva difficoltà a scegliere l’«oggetto» della propria poesia; quale «oggetto» tra i milioni di «oggetti» che ci circondano?, e perché proprio quell’oggetto e non altri?. Che l’atto della nominazione si riveli essere il lontanissimo parente dell’atto arcaico del dominio, è un dato di fatto difficilmente confutabile e oggi ampiamente accettato, ma quando la problematizzazione investe non solo il «soggetto» ma anche e soprattutto l’«oggetto», ciò determina un duplice impasse narratologico, con la conseguenza della recessione del dicibile nella sfera dell’indicibile e la recessione di interi generi a kitsch.

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  3. L’interessante e profondo intervento di Linguaglossa ci pone dei temi di riflessione molto stimolanti sulla poesia moderna, di sicuro non ancora risolti.
    Il colloquio è stato nei secoli presente nella poesia, il rivolgersi alla donna amata, ma anche a personaggi del contesto storico. Con la poesia moderna il poeta si è concentrato sulla sua interiorità e il colloquio, se così si può chiamare, si è rivolto nei confronti di se stesso. Come vuole Baudelaire la poesia si è spogliata delle velleità moralistiche, didascaliche o storico sociali per divenire autonoma e profonda. Sul piano spirituale la poesia si pone l’obiettivo di scrutare le profondità dell’animo umano. La vita intima dell’uomo non si esaurisce nella sfera dei sentimenti e degli ideali. Al di sotto di questa si trova una zona ricca di impulsi oscuri, che rappresentano una naturale forma di vita interiore, connessa alla realtà attraverso gli elementi della natura. Questa rete di relazioni ha a che fare ancora con Baudelaire, con la sua visione delle natura come “foresta di simboli”. Da questi elementi sensoriali non solo parte l’ispirazione del poeta, ma si sviluppa il processo introspettivo di speculazione nella interiorità più profonda.
    La scelta dell’ ”oggetto” tra “milioni di oggetti che ci circondano” è puramente casuale, ma non è lo stesso per il processo introspettivo perché è legato alla sfera culturale e esperienziale del soggetto. La poiesis, cioè l’atto creativo, è quindi unico e individuale, ma per essere veramente poesia occorre che abbia caratteristiche di universalità. Credo che l’uomo, pur nella sua limitatezza, sia un microcosmo in cui, a livello emotivo, si riflettono in maniera più o meno consapevole le tensioni e i drammi dell’epoca in cui vive, che sono comuni all’intera umanità. La poesia moderna, scavando in maniera verticale, recupera questo rapporto, con maggiore pienezza man mano che scende nei livelli interiori più profondi, fino a indagare l’inconscio, una sorta di denominatore comune del sentire umano.
    Credo che nella poesia di De Robertis questi aspetti siano presenti e si basino sulla connessione tra l’elemento esteriore, il lampadario, e il suo tormento interiore. Una connessione bizzarra e assurda, apparentemente irragionevole e contorta, un po’ barocca, ma forse solo provocatoria, un uso abile del significante per coprire, almeno apparentemente, il tabu della “nominazione”, ma comunque, a mio avviso, efficacie.

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