giovedì 18 giugno 2020

ANTONINO SCHIERA INTERVISTA CINZIA BALDAZZI.


Protagonisti – Cinzia Baldazzi si racconta ai lettori del blog.


Cinzia Baldazzi,
collaboratrice di Lèucade
Cinzia Baldazzi (nella foto in evidenza) è laureata in Lettere Moderne alla “Sapienza” in Storia della Critica Letteraria, è nata e vive a Roma. È scrittrice, giornalista, critico letterario, promotrice culturale.
Desidero ringraziarla pubblicamente per avere deciso di raccontarsi nel mio blog e per la collaborazione che presto la vedrà protagonista nella nuova rubrica “L’angolo di Cinzia Baldazzi“. Vi consiglio di mettervi comodi e di leggere con attenzione tutta l’intervista, in quanto contiene tanti spunti interessanti.
Non succede tutti i giorni di incontrare persone che come lei hanno dedicato buona parte della propria esistenza allo studio, all’analisi e alla promozione di libri e della poesia in particolare. Numerose sono le sue incursioni in ambito teatrale, cinematografico, televisivo mantenendo un profilo sempre alto. Ci racconti com’è nata questa passione, che è poi sfociata in un lavoro di fine cesellatura delle parole e degli scritti che continua ancora oggi.
Cinzia Baldazzi  La passione della scrittura ha avuto origine, nell’adolescenza, dalla necessità vitale di leggere. Forse si trattava del lascito ideale di mia madre, o della ricerca di un rifugio dopo la sua scomparsa: l’ho persa infatti quando avevo solo dieci anni. Aveva studiato a Roma con Giovanni Gentile e si era laureata in Storia della Filosofia nei primi mesi del ’46. Insegnò per pochi mesi lingua inglese, poi fu assunta alla TWA. Nell’estate del ’65 stava per lasciare la compagnia aerea e iscriversi al concorso a cattedra, ma una malattia fulminea ebbe il sopravvento.
Alla scuola media Montessori di Villa Ada conobbi i testi di Federico Garcia Lorca: dalla giovanissima professoressa Anna Maria Pecchia imparai ad amare i versi di Los álamos de plata, che lei traduceva con I gattici d’argento (invece di “salici”). Nello stesso periodo scoprivo le novelle di Pirandello e la successiva grande stagione della narrativa breve italiana, da Giovanni Arpino a Gianni Santuccio, da Piero Chiara a Italo Calvino.
Alla maturità classica, al Liceo Orazio, quando mi presentarono il giudizio sul mio tema dedicato a Manzoni e al romanzo moderno, il voto era 8+ / 8 ½, e sotto, un appunto: «Saggio?!». I commissari non sapevano se giudicare il testo come un “elaborato da esame” o come un vero e proprio “studio critico” (genere allora non consentito: lo sarebbe stato alcuni decenni dopo). L’orale lo sostenni presentando una lettura dell’Infinito leopardiano secondo i canoni dello strutturalismo, con tabelle, grafici e collegamenti logici, al punto che, al termine, il professore di matematica commentò: «Beh, una parte del mio esame lo abbiamo già fatto…».
L’attività di scrittura vera e propria quando è iniziata?
Cinzia Baldazzi – Subito dopo la laurea, collaborando come critica letteraria a riviste culturali. Al 1979 risale l’inizio di un lavoro sistematico grazie al giornalismo. Entrai come collaboratrice al quotidiano romano “Il Giornale d’Italia” con l’incarico di seguire le recensioni del teatro “off”: era in corso, in quegli anni, la grande e irripetibile stagione dell’avanguardia romana, da Pippo Di Marca a Memè Perlini, da Carmelo Bene a Remondi & Caporossi. Ho sofferto, quasi tutte le sere, in teatrini malmessi, conventi occupati, cantine affollate, ma l’esperienza di quella scuola di scrittura è stata preziosa e insostituibile.
Poi sono passata a occuparmi saltuariamente di cinema, quindi di nuovo a teatro negli ultimi dieci anni, ma questa volta frequentando gli stabili. Infine, sono tornata a praticare la critica letteraria, utilizzando anche gli strumenti di diffusione della rete che una volta non esistevano.
Nel 1978 ha conseguito la laurea in Lettere Moderne presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi di critica letteraria su alcune novelle di Luigi Pirandello. Ci parli di quel periodo, delle atmosfere che si vivevano nell’ambito universitario, delle sue aspirazioni e speranze per il futuro.
Cinzia Baldazzi – Ho frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia a Roma nel quadriennio 1974-1978: anni tormentatissimi dal punto di vista organizzativo, politico, di gestione della vita quotidiana. Per conoscere giorno e ora di un esame si doveva consultare con fatica una bacheca (o, nel peggiore di casi, una parte di muro) affollata di centinaia di post-it fissati con puntine, a volte scritti a mano, prima che venissero rimossi o sostituiti; lezioni e seminari erano di frequente interrotti, rinviati o soppressi; l’occupazione del febbraio del ’77 fece saltare mesi di didattica: ero al piano terra della facoltà quando la polizia entrò con gli idranti e mi rifugiai in segreteria. Un giorno Aurelio Roncaglia, ordinario di Filologia Romanza, venne interrotto nell’Aula Magna dall’ingresso di un collettivo contro il fascismo. Allora si rivolse ai giovani disturbatori con parole piene d’ira: «Io ero antifascista nel ’38!».
Il culmine del caos venne toccato quando, in vista della seduta di laurea fissata per dicembre ’78, venni a sapere per caso, da un impiegato, che la mia tesi (consegnata mesi prima in Segreteria) non si trovava più. È vero, ne avevo altre tre copie (per me, il relatore e il correlatore), ma lo shock fu talmente forte che ancora oggi non riesco a ricordare cosa avvenne nelle settimane successive. Forse fu ritrovata, forse no. Ma la mattina del 21 dicembre un fascicolo del mio lavoro era comunque nelle mani del relatore Mario Costanzo Beccaria.
Insomma, il disordine regnava…
Cinzia Baldazzi – Certo, e noi studenti, per i quali qualcuno pagava puntualmente il tutto, eravamo considerati quasi un elemento accessorio non degno di attenzione. Eppure quel periodo è stato vitale di esperienze. Ho avuto l’onore di assistere alle lezioni di Walter Binni con le sue citazioni (bontà sua) in francese e in tedesco; sono stata spettatrice divertita e affascinata degli show del linguista Tullio De Mauro; mi sono scervellata (insieme ad altri) a cercare di ascoltare la voce bassa e roca di Emilio Garroni mentre discorreva di semiotica; ho scoperto la didattica del grande Agostino Lombardo che mentre spiegava Laurence Sterne sembrava lui stesso un imponente Tristram Shandy. E ancora Carlo Salinari, Giovanni Macchia, Diego Carpitella, Mario Alberto Cirese, Maurizio Del Ministro…
Senza dimenticare che, quando mi chiedono dove io abbia conosciuto mio marito Claudio, rispondo: «L’ho trovato all’Università». Era l’autunno del ’74: lui al secondo anno, io al primo. Entrambi seduti, a pochi sedili di distanza, nella penombra dell’allora diroccato Teatro Ateneo, dove seguivamo le lezioni di Storia del Teatro e dello Spettacolo di Adriano Magli. Il resto, come si dice, è storia…
Riguardo la tesi, cosa l’ha portata a dedicarsi a Luigi Pirandello?
Cinzia Baldazzi – La scoperta di Luigi Pirandello risale alla mia seconda media, nel ’67. La madre di Dina Tron, mia amica del cuore, lavorava come formatrice delle insegnanti montessoriane. Frequentandone la casa, mi imbattei nel primo volume Mondadori delle Novelle per un anno, contenente le raccolte Scialle nero, La vita nuda, La rallegrata, L’uomo solo. Lì lessi per la prima volta i testi che ancora oggi porto nel cuore: Nel segno, E due!, L’imbecille, Acqua amara. Conservo ancora quel libro, un’edizione del ’47 semidistrutta dalle ripetute consultazioni, annotata a matita a margine e con pagine volanti. Aveva già avuto un primo restauro da parte di mio suocero, ora ne meriterebbe un secondo.
La sintassi unica, irripetibile della prosa pirandelliana mi è penetrata nella mente, con i suoi guizzi, le contorsioni logiche, gli spiazzamenti, le inversioni: le stesse che hanno poi alimentato tanto suo teatro, culminando in Così è se vi pare. Da studentessa, Tullio De Mauro lesse un mio lavoro (forse una tesina, non ricordo bene): avendo notato un procedere certo non piano e lineare, e sapendo quanto la lettura influisca sul modo di scrivere, mi chiese: «Signorina, ma lei cosa legge?». Con candore, risposi: «Professore, il mio preferito è Pirandello». E concluse: «Ah, beh, allora…».
La scelta di Pirandello come oggetto della tesi parte quindi da lontano…
Cinzia Baldazzi – E venne poi facilitata dalla scoperta che il mio professore universitario Mario Costanzo Beccaria, ordinario di Critica Letteraria, era nipote di Giuseppe Aurelio Costanzo, direttore del Magistero di Roma agli inizi del secolo, il quale aveva aiutato il giovane amico Pirandello ad ottenere la cattedra di Lingua Italiana: fu quasi naturale, allora, scegliere il commediografo siciliano come oggetto della tesi di laurea. Il titolo era Organicità e dialettica nella poetica pirandelliana, e consisteva in un’analisi narratologica e semiotica di sei novelle: La vita nuda, La toccatina, Nel segno, Tutto per bene, La buon’anima, Distrazione. Il giorno della laurea mio padre mi regalò l’intera collezione teatrale Maschere Nude.
Da cronista, ho avuto la sorte di vedere e recensire spettacoli pirandelliani con una formidabile galleria di interpreti: Romolo Valli in Enrico IV e Tutto per bene, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Rossella Falk e ancora Valli in Così è (se vi pare), Salvo Randone in Pensaci, Giacomino!, Alberto Lionello in Il giuoco delle parti, Eduardo in Il berretto a sonagli, Lauretta Masiero e Paolo Ferrari in La signora Morli, una e due, più recentemente Gabriele Lavia nei Sei personaggi in cerca d’autore.
In una nostra discussione lei ha scritto una riflessione per promuovere un’importante iniziativa culturale che mi ha molto colpito. La riporto per intero per i nostri lettori: «Sappiamo tutti che la poesia, la letteratura non possono sconfiggere il male. Non lo hanno mai preteso: hanno sempre tentato di fare il loro meglio nell’alleviarne le manifestazioni, nel combatterlo con i propri mezzi, nell’esibire, magari, quando è possibile, strumenti utili ad affrontarlo». Può allargare il discorso per i lettori del blog?
Cinzia Baldazzi – Nella cultura del ‘900, questo aspetto è stato affrontato in un momento cruciale dell’intero secolo: la fine del secondo conflitto mondiale e la disfatta del nazismo. Nel 1949, Theodor W. Adorno, da poco tornato in Germania dopo l’esilio americano, scriveva: «La critica della cultura si trova dinanzi all’ultimo stadio della dialettica di cultura e barbarie. Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie». Per anni, questa radicale affermazione è stata discussa, confutata, demolita, segno che aveva toccato una ferita aperta: nonostante la sconfitta di Hitler, l’intellettuale percepiva il senso profondo di una sconfitta epocale. Adorno avrebbe poi chiarito meglio, ammettendo alla fine l’errore. Nel 1966 scriveva infatti: «Il dolore incessante ha altrettanto diritto di esprimersi quanto il torturato di urlare; perciò forse è sbagliato aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesie».
Negli anni tra i due pensieri, si sviluppa il rapporto tra il filosofo e il giovane Paul Celan, ebreo rumeno di lingua tedesca, sopravvissuto al lager dove morirono i genitori. Il critico Enrico Testa ha spiegato: «Nella poesia di Celan il monito di Adorno si rovescia in una ricerca paradossale ed estrema. Auschwitz, il male storico, diventa il passaggio per un nuovo percorso della parola: la parola lotta con il silenzio e non cede ad esso e al nichilismo: è una parola conquistata nel gorgo muto delle vittime».
Che cosa ne dovremmo ricavare?
Cinzia Baldazzi – Senza voler stabilire un paragone impossibile, abbiamo anche noi, tutti indistintamente, un’esperienza da raccontare: quella del confinamento per oltre due mesi a seguito dell’emergenza sanitaria. Chiusi in casa quasi per l’intera giornata, il tempo non sarebbe dovuto mancare. Ebbene, mi chiedo: con quanto è successo, avrebbe avuto senso prendere in mano un libro di poesie o di narrativa e trasferirsi con tutti noi stessi in un altro mondo? Quasi un ripiego strumentale, evasivo, fine a se stesso? Una distrazione?
È vero, nello sfogliare o nel comporre pagine di un volume percepiamo senza dubbio il conforto di un bello correlato al sollievo dal dolore, dall’angoscia, dal panico: per questo solo, converrebbe leggere o scrivere. Nel mio piccolo, libri come Eratre (2016) e Duecento anni d’infinito (2019), di cui sono stata co-autrice, sono stati concepiti su queste linee-guida. Ma soprattutto Passi nel tempo (2011), dove ho commentato quindici poesie di Maurizio Minniti e nella cui prefazione scrivevo: «Mi pare risulti abbastanza chiara un’idea centrale, che condivido con Maurizio Minniti: assegnare al linguaggio poetico la funzione di aiutare ad accogliere il mondo, a chiarirlo prima di rifiutarlo, a viverci. Se non fosse troppo, a rifondarlo».
Fëdor Dostoevskij ne L’idiota fa affermare al principe Miškin la famosa frase «La bellezza salverà il mondo». Considerazione e auspicio sempre attuali, visto che il nostro mondo è sempre in fibrillazione, tanto da farci temere che possa presto essere interessato da un default generalizzato, ovvero da una sorta di fallimento e insolvenza, per quanto attiene la sfera virtuosa delle relazioni umane. La domanda è: secondo lei il mondo è disposto a farsi salvare dalla bellezza?
Cinzia Baldazzi – Cinque anni fa, nell’estate del 2015, l’allora capo del governo Matteo Renzi proclamò in un convegno internazionale: «La nostra carta d’identità è la bellezza di Pompei, di Venezia, di Roma. Solo la cultura salverà il futuro dell’Italia». Gli rispose Umberto Eco: «La bellezza e la cultura non salveranno affatto il mondo. Anche Goebbels era un uomo coltissimo, ma questo non gli ha impedito di gasare sei milioni di ebrei. La comprensione della bellezza altrui, questa sì invece che può essere importante. Ma non dimentichiamoci anche che ci sono stati grandi criminali che collezionavano quadri». Ebbene, qualche giorno fa, aprendo la home page dell’Ansa, ho letto le parole con cui Giuseppe Conte ha inaugurato gli Stati Generali: «Nel momento in cui progettiamo il rilancio dobbiamo far in modo che il mondo intero possa avere concentrata la sua attenzione sulla bellezza del nostro paese». Non essendo più con noi un Umberto Eco a ribattere, affidiamo le nostre perplessità a due opere dello studioso e semiologo: Storia della bellezza (2004) e Storia della bruttezza (2007). Purtroppo, l’intercambiabilità tra i due concetti, o meglio tra le distinte, opposte percezioni, caratterizza il mondo contemporaneo e non fa ben sperare sul presunto “salvataggio”. Oggi viviamo di certo un indebolimento del senso estetico, al punto di non sapere spesso valutare il “bello”; a lato, riscontriamo una vera e propria cecità che impedisce di riconoscere ciò che è informe, asimmetrico, banale, disarmonico, sgraziato, in una parola: “brutto”. Ed è questo, forse, l’elemento maggiormente preoccupante.

Lei si è nutrita e si arricchita di notevoli letture e frequentazioni culturali. Perché è importante oggi leggere e quale molla scatta in un lettore, quando decide a sua volta di scrivere, così come ha fatto lei e continua a fare?
Cinzia Baldazzi – Se la lettura alimentasse il desiderio di scrivere, sarebbe cosa buona. Però non vedo un automatismo: è vero che il grande poeta è sempre stato un lettore vorace, attento, sistematico, ma nella stragrande maggioranza dei casi io vedo scrittori che hanno scarsa conoscenza della letteratura.
A scuola hanno insegnato che leggere aiuta a scrivere bene. La frequentazione del pensiero di un grande autore lascia nella nostra mente qualche briciola della sua pregevole sintassi, sedimenta le tracce di un lessico ricco e complesso, fissa nella memoria visiva l’uso corretto di apostrofi, accenti, e così via. Anche se non sarebbe necessario un grande autore per insegnare la morfologia della nostra lingua madre, tuttavia…
Si dice: leggete qualsiasi cosa, ma leggete. In realtà non è proprio così: per una vera scuola di scrittura (nello stile, nella sintassi), devo rivolgermi a Manzoni, Pirandello, Calvino. Quando l’autore dei Promessi sposi si trasferì a Firenze con la famiglia per imprimere una svolta linguistica al romanzo, passava le giornate con i letterati e parlava con la gente lungo l’Arno («nelle cui acque risciacquai i miei cenci»), ma la sera, a lume di candela, leggeva e rileggeva Guicciardini, con la sua impostazione classica, tante subordinate, periodi ampi, verbo all’ultimo posto.
Da parte mia, ai tanti amici poeti e novellieri che a volte sono preda di una incontenibile coazione a scrivere, non posso che suggerire di dedicare maggior tempo a leggere. Attività oscura, svolta in intimità, senza un apparente e immediato riscontro. Ma accrescitiva, gratificante, ricca di suggestioni alla distanza. Del resto, Jorge Luis Borges amava ripetere il suo distico: «Altri si vantino delle pagine che han scritto; / io vado fiero di quelle che ho letto».
Apprezzo molto di lei il fatto che si prodiga nel portare avanti un’intensa e riconosciuta opera di diffusione della poesia e della letteratura in generale, attraverso la divulgazione di nuovi autori, presentazione di libri, organizzazione di incontri tra poeti, coordinamento di reading, interventi critici, partecipazione come presidente di giuria in concorsi di poesie letterari. Come riesce a conciliare tutto questo lavoro e qual è il carburante che le dona tanta energia?
Cinzia Baldazzi – Partiamo, questa volta, dalla conclusione. A settembre del 2018, l’amico Nicola Paone ha voluto assegnarmi il Riconoscimento alla Carriera “Labore Civitatis”, all’interno della sua manifestazione “Tra le parole e l’infinito”. Ricevere il premio davanti a centinaia di persone, nello splendido cortile di San Leucio a Caserta, sotto le stelle di una mite serata di settembre, è stata un’emozione che non dimenticherò facilmente.
Ho avuto altri riconoscimenti in seguito (Verbumlandiart, la Macina onlus, I colori delle parole), ma porto nel cuore quel premio perché ha costituito il punto d’arrivo di un’attività portata avanti da anni. Ho organizzato reading, stimolato l’incontro tra poeti, presentato libri sotto forma di evento, concesso tante prefazioni a “opere prime”, fornito suggerimenti per libri e antologie, commentato numerosi scrittori che ho poi visto crescere con merito.
Per alcuni anni, luoghi privilegiati dei miei incontri sono stati due locali romani di Trastevere, il “Mameli27” e “Lettere Caffè”. Ma ho parlato di letteratura anche in gallerie d’arte, librerie, piccoli teatri, e ultimamente – con l’iniziativa Poesia Gourmet Itinerante – nei bar di quartiere, nei pub, nelle discoteche, persino in una sala da bowling.
Due sono i libri importanti in uscita entro fine anno, in collaborazione con una poetessa e con uno scrittore. Per ora non posso dire di più.
Dal suo curriculum si evince che lei ha collaborato con importanti personaggi del mondo della televisione in RAI. Ci parli in breve di queste esperienze.
Cinzia Baldazzi – Alla fine degli anni ’80 ho cominciato con la radio, per passare poi a Raiuno dove sono rimasta fino al 2010. Il primo programma importante, nel ’90, è stato Trent’anni della nostra storia di Carlo Fuscagni, allora direttore di rete. Dopo collaborazioni varie (con Mixer di Giovanni Minoli, con Antonella Boralevi), approdai nell’estate del ’95 a Carràmba che sorpresa: il compito di noi redattrici consisteva nel cercare e organizzare i cosiddetti “ricongiungimenti” tra gli italiani e i parenti emigrati all’estero che non vedevano più da decenni. Raffaella Carrà e Sergio Japino, conoscendo la mia esperienza di viaggi internazionali, mi affidarono subito il compito di girare il mondo per conoscere coloro i quali sarebbero poi dovuti tornare in Italia di nascosto e abbracciare in diretta televisiva i parenti, invitati quella sera in studio come semplici spettatori con l’ausilio di un “gancio”, ovvero di un complice. Lavoro faticoso, complesso, di grande responsabilità, che richiedeva una disponibilità totale: incuranti del fuso orario, mi chiamavano in piena notte dall’Australia o dall’Uruguay.
Con Raffaella ho lavorato alle sette edizioni del programma, dal 1995 al 2002: sono stata cinque volte in Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, ho viaggiato in Australia, Cile e Stati Uniti, ho effettuato missioni in Germania, Irlanda, Inghilterra e Spagna. Ovviamente, per conoscere la persona oggetto di sorpresa, ho visitato decine e decine di famiglie in lungo e in largo per l’Italia, dalla Liguria alla Puglia, dal Friuli alla Sicilia. Ho dato molto a Carràmba che sorpresa e ho ricevuto altrettanto in termini di conoscenza della psiche umana, del carattere degli individui, delle culture e dei comportamenti.
Inoltre, non dimentico come una parte cruciale del mio lavoro, una volta rientrata in Italia dalle missioni, sia stata quella di scrivere: per Raffaella avevo approntato, e affinato nel corso degli anni, vere e proprie storie di famiglia, con date, episodi, dichiarazioni, spostamenti, una sorta di “racconto” sui generis dettagliato e partecipato per ogni singolo caso, così da costituire la base per il copione che poi gli autori avrebbero preparato per la puntata. Ciò non toglie che interi brani Raffaella li abbia citati per intero durante la diretta.
Più recentemente, ha avuto l’occasione di collaborare con Pippo Baudo…
Cinzia Baldazzi – Ho concluso il mio passaggio su Raiuno partecipando a quattro edizioni di Domenica In, due con Mara Venier, due con Pippo Baudo. Uomo di grande cultura e di capillare informazione, Pippo mi affidò vari incarichi, tra cui il “Tour de Chant”, una sorta di contest per cantanti lirici; la rubrica dei libri, incontri settimanali con autori (mi è rimasto impresso quello con Alberto Bevilacqua); ma soprattutto un concorso di poesia a cui parteciparono migliaia e migliaia di scrittori, e le cui poesie io dovetti leggere una per una. Con molti dei vincitori sono rimasta in contatto: tra questi Maurizio Minniti, con cui l’anno dopo ho pubblicato il libro Passi nel tempo. L’idea di Pippo ebbe successo, con votazioni ogni domenica pomeriggio in diretta. Il concorso volle intitolarlo, profeticamente, “Popolo di poeti”.



35 commenti:

  1. Ti ringrazio, Nazario, anche da parte di Antonino Schiera, di aver consentito all'intervista di approdare al tuo porto sicuro.

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  2. Cara Cinzia, è davvero un'affascinante e deliziosa intervista in cui ti sveli e riveli intimamente per quella che sei, un'autrice profondamente poliedrica, di immensa competenza, conoscenza e sensibilità umana. A me piace immaginarti come un brillante spirito "rinascimentale" e per questo ti apprezzo e stimo tantissimo. Le significative "avventure" che hai attraversato nella vita, le ricche esperienze, letture, relazioni con eminenti personaggi del mondo della cultura, dell'arte e dello spettacolo di cui hai goduto ti hanno sicuramente reso una persona molto colta , saggia e, quindi, autenticamente libera .. mi ha molto interessato la riflessione sulla presunta "fine" della poesia dopo Auschwitz, con la sottolineatura dedicata a Paul Celan, poeta che personalmente mi ha sempre attratto .. il dolore estremo che ha attraversato la sua poesia è proprio un punto di svolta e di passaggio, che rompe e sblocca quel silenzio espressivo a cui l'orrore del male assoluto sembrava aver costretto .. grazie di cuore per questo tuo bel contributo che, forse, aiuta anche noi "piccoli" poeti a riflettere e a migliorare sempre più, procedendo, come direbbe Dante, "in virtute e canoscenza"
    - Giuseppe Guidolin -

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    1. Commento intenso, Giuseppe, grazie di cuore. Allora, secondo il tuo auspicio, camminiamo solidali all'interno dell'itinerario dell'Ulisse dantesco indirizzato al trionfo del bene e della conoscenza.

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  3. Letta con grande interesse: non posso che ammirare la sua preparazione, i suoi interessi culturali che risalgono all'adolescenza come retaggio materno. Quello che mi ha colpita è il suo profondo amore per la bellezza profonda della cultura, la sua accettazione della diversità che è bellezza. Pirandello, secondo il mio modestissimo parere, nelle sue opere di scrittore-filosofo, ci fa amare l'umanità: forse siamo un po' tutti "Uno nessuno centomila".
    Grazie per ciò che ci dona.

    Maria Rosa Catalano

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    1. Grazie a lei, Maria Rosa, per queste belle parole e per il suo amore verso Pirandello il quale la vita - ha ragione lei - pur nelle sue forme contraddittorie, a volte spietate, ha sempre amato veramente molto.

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  4. TESTE SFIANCATE DAI RIMORSI

    Teste sfiancate dai rimorsi
    Vennero un giorno nei ricordi
    Al seguito di odori delle case
    Dove i vecchi erano vissuti.

    Su quel cancello c'era scritto un verso
    "Col tuo lavoro ne uscirai libero"
    Soltanto che la porta era un camino
    Dove passavi diventato fumo.

    Pensasti che scrivere poesie
    Pur trasportato lieve dal tuo vento
    Sarebbe stato un grave peccato
    Perché l'uomo all'altro era inumano.

    Teste sfiancate da troppi rimorsi
    Le trovi delle volte nelle chiese
    A Otranto in belle bacheche
    Intanto la bellezza salva il mondo!

    Se pure un Pirandello d'occasione
    Passasse sotto braccio alla Baldazzi
    Pochi vedrebbero tra i lacci
    La mente che le teste le contiene.

    Eppure un forte grido di dolore
    Espresso con un verso, le parole,
    Potrebbe delle volte anche salvare
    Da tenebre offuscate alla ragione.

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    1. Ringrazio Concezio Salvi, poeta - coautore con me e il pittore Gianpaolo Berto del libro "EraTre" - per questi suoi intensi versi insolitamente aspri e laceranti, con i quali ha saputo tradurre in termini di poesia le mie allusioni critiche a Theodor Adorno, Paul Celan e Luigi Pirandello.

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    2. Cara Cinzia, da questa intervista trapela la solida esperienza formativa di uno scricciolo di donna, volato da un nido compatto per librarsi sempre più in alto, fino a varcare la soglia dell'Infinito, dove la conoscenza non trova limiti. E quando riposi le possenti ali che ti sorreggono, rendi il luogo che accoglie i tuoi amici, amanti della limpida Bellezza scovata nei tuoi occhi buoni e saggi, un nido di aquila sulle alture delle Culture umane.
      Ad Maiora!

      Rosanna Petraglia

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    3. Cara Rosanna, cosa rispondere al tuo commento? Il timore è quello di non essere in grado rappresentare quanto affermi: di un particolare, però, insieme a te sono certa, vale a dire di quanto sia grande la bellezza di tentare almeno l’esperienza di “volare” insieme alla Poesia, alla Cultura umana.
      Grazie.

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  5. Roma Caput Mundi, A.D. 2020, I dell’era C.V.(CoronaVirus), dies tertium post Iunii Idus. LETTERA APERTA A CINZIA BALDAZZI. Mia cara Cinzia, che sorpresa! Scusa, Raffaella, se prendo in prestito il tuo motto … non chiedermi soverchio aggio, ma solo l’agio (una sola G, come privilegio, quello d’essere disinteressato amico di Cinzia) per scolpire un me stesso racchiuso nel marmo d’una sorpresa … ma è sorpresa? Vediamo un po’ … “Saggio?” ti chiesero alla maturità. Saggia, replico io. Zero sorprese! Andiamo avanti. Teatro “off”? Gli “spin off” successivi – guarda caso anche televisivi, vero dottor Baudo? – ti hanno resa protagonista. Vabbè! Poi: Pirandello? E quando mai è sorpresa … così è, se mi pare ma anche se non mi pare così è! Appresso: Diego Carpitella? Toh, chi si rivede! Le sue tracce antropologiche, fuse con quelle di Ernesto De Martino suggellarono la mia lunga avventura al Circolo Gianni Bosio …. questa, cara Cinzia, quantomeno me l’aspettavo! Zero sorprese! Divento curioso come un bimbo di cinque anni davanti all’uovo di Pasqua! Tullio De Mauro? Più volte io e te ne abbiamo condiviso il Verbo Divino della lingua. Ah! Qui ti volevo! Theodor W. Adorno e la morte della poesia per asfissia ad Auschwitz … no sorprese: siamo d’accordo che la bellezza della poesia vince. Oltre al principe Miškin, con la famosa frase «La bellezza salverà il mondo», c’è anche un cadavere avvolto nel mistero più fresco: un certo Peppino Impastato. Mi sembrava … Eccoci arrivati al punto: si può non essere d’accordo con Umberto Eco? Finalmente la sorpresa, perché rispondo fieramente: “Sì!” … ma anche tu … E che vai dicendo sulla lettura che non aiuta la scrittura? Se non mi fossi accostato alla Bibbia, già ateo in calzoncini corti, per assaporarne la magia del mistero, non starei qui a leggere questa bellissima intervista. Concludendo. Ti sveli? Ti riveli? Io penso di conoscere abbastanza Cinzia Baldazzi Q.B., come è scritto nell’unica medicina che fa bene: l’amicizia vera e disinteressata! Ciao, Cinzia. Firmato Massimo Moraldi.

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    1. Caro Massimo, dinanzi all’altezza del tuo commento non so cosa aggiungere, anche per la grande comunanza di messaggi ai quali abbiamo sempre prestato attenzione.
      Forse, scherzosamente, vorrei aggiungere che, se “Carràmba, che sorpresa” non fosse terminato da anni, se la mitica Raffa ti avesse incontrato, saresti stato, insieme a me, uno dei suoi collaboratori preferiti!
      Perché? Suppongo in virtù della tua profonda conoscenza della dialettica dell’animo umano che lei, con i suoi mezzi, ha sempre tentato di penetrare sino in fondo. Qui, però, siamo in un altro mondo, in un’isola dove la Poesia è conosciuta e parla da vicino, senza interpreti, ma con sue elette fonti di comunicazione.
      Grazie.

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  6. n questa interessante intervista la Dott/ssa C. Baldazzi mostra, a pieno titolo, l’oceanica cultura che la personifica. Oltre a ciò, l’intervistata si apre al suo lettore/ascoltatore in modo pacato, docile e conseguenziale che la rende mite, accogliente ed accattivante nel narrare le Sue vicissitudini di studentessa e di universitaria. Una donna da ammirare certamente per tanta dedizione allo studio, alla cultura ed alle attività sempre culturali che ancora intraprende. Essere tra i suoi adepti è certamente un onore/privilegio se si vuole aquisire sempre in meglio. Pasqualino Cinnirella


    18 giugno 2020 alle 9:00

    Caro Pasqualino, ora che conosce una parte della mia vita culturale, ora percorreremo insieme anche i

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  7. Per arrivare a toccare il cielo non servono ali ma solo onde di un’anima che si riversa come un pennello per tingere di turchese il grigio andare del tempo. Poesia e solo poesia è nel raccogliere questo testimone che fa grande e amica dei poeti CINZIA , averla incontrata sul web per il mio vivere tra le penombre mi ha dato una carica morale e fiducia nella poesia come mezzo di espressione in qualcosa che anche a noi sfugge : dove si racchiude il verso nella conoscenza dei libri, nel dolore che risulta il verso più difficile,nella natura e in quella bellezza che sfuma tra l’alba e il tramonto , al fine di poter dire in questa bibbia letteraria ci sono tanti poeti minori a volte anonimi messi lì dal destino del web a puntellare la cupola dei grandi poeti, si è difficile oggi come dice CINZIA salvarsi dal brutto ,riuscire ad arginare con un verso la negazione di ogni sopruso intellettuale ed economico. Ma siamo qui come un fiume in silenzio che scrive e scrive a volte anche versi privi di valore . Credo ,anzi sono pienamente convinto che l’esperienza e l’umanità , anche l’umiltà di accostarsi agli ultimi rendano grande la nostra amica CINZIA , il suo valore critico e letterario nella somma conoscenza è unico e mi sento orgoglioso di essergli amico . Non so se il destino mi darà l’emozione anche per pochi attimi della sua presenza , ma sono fiero dei suoi commenti ricchi di richiami, per me che scrivo senza una visibilità da silloge e amo il chiaro/scuro della vita come l’ombra che passeggia e poi sparisce tra i sentieri della vita. GRAZIE CINZIA.

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    1. Caro Nicolò, come di consueto, le tue parole coincidono con un commento in versi, intrecciati in atti di giudizio estetici, basati sull’esperienza dell’umanità che vuole, proprio come ora, andare a tutti i costi avanti tra i sentieri della vita: a volte - hai ragione - tra una tappa e l’altra predomina la penombra, ma poi, accesa all’improvviso o lentamente penetrata, prevale la luce. Come a Leucade. Grazie per la tua scrittura, Nicolò, e per la tua amicizia a me, e soprattutto alla Poesia. Io comunque aspetto una tua silloge.

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  8. Una vita all'insegna dell'arte e della conoscenza in tutte le sue forme, quella di Cinzia Baldazzi. Da ogni esperienza e da ogni incontro ha tratto alimento per migliorarsi e progredire nella direzione che si è data: dare Un Senso alla vita, spendendola per donare e diffondere bellezza.

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    1. Carissima Grazia, sono grata per l'alta stima riposta nei miei confronti. Il compito che mi attribuisci è di importanza tale da apparire irraggiungibile. Farò comunque il meglio possibile, come del resto tutti voi. Grazie di cuore.

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  9. Un'intervista a tutto tondo - potrebbe dirsi - in quanto permette di conoscere l'excursus di apprendimento culturale di Cinzia Baldazzi fin dagli anni scolastici. A parte questo, ho potuto rilevare, tuttavia, due domande cui corrispondono altrettante risposte che vanno sottolineate: una concerne l'invito a pronunciarsi sulla celeberrima frase de "L'idiota" di Dostoevskij, a proposito della quale ella risponde in sintesi: "Oggi viviamo di certo un indebolimento del senso estetico, al punto di non sapere spesso valutare il “bello”; a lato, riscontriamo una vera e propria cecità che impedisce di riconoscere ciò che è informe, asimmetrico, banale, disarmonico, sgraziato, in una parola: “brutto”. Ed è questo, forse, l’elemento maggiormente preoccupante."
    Non si può non condividere questa asserzione ma - a parer mio - ciò ribalta quanto si afferma nella domanda, e cioè: non è il mondo a dover essere pronto ad essere salvato dalla bellezza ma la bellezza (in senso lato) che riterrà se sia, oppure no, giunto il momento di salvare il mondo.
    L'altra domanda (strettamente correlata alla precedente) riporta all'attualità, al momento che tutti stiamo vivendo. E anche qui - se mi è consentito - torna valido il discorso fatto precedentemente, pur con l'ovvio e per nulla irrilevante rimando al senso etimologico del termine poesia.
    Ringrazio Cinzia ed il suo intervistatore,

    Sandro Angelucci

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    1. Caro Sandro, il ribaltamento di quanto si afferma nella domanda – che tu hai percepito in misura corretta – è un τόπος ricorrente delle interviste, là dove concorre a far scaturire una posizione implicita, a volte contraddittoria con l’assunto proposto. Il merito è tutto del nostro Antonino Schiera e delle sue stimolanti proposte.
      Ma soprattutto ti ringrazio, caro amico, del commento, come al solito pertinente al mio punto di vista sulla vita, sull’arte. Inoltre, ho apprezzato molto la tua puntualizzazione, anzi, per me quasi un incoraggiamento: vale a dire, credere che la bellezza stessa, in tutta la sua ineffabilità, pur essendo comunque in parte gestita dall’umanità (altrimenti non la potremmo riconoscere), sia in grado di agire in uno spazio operativo completamente autonomo. È questa una grande speranza, caro Sandro.

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  10. Questa lunga intervista rilasciata da Cinzia Baldazzi ad Antonino Schiera mostra i molteplici e vasti interessi culturali della nota scrittrice, ripercorrendo le tappe principali della sua vita e della sua carriera, ma soprattutto svariando su tematiche fondamentali della cultura del nostro tempo. In particolare sono sedotto dalla sua riflessione sul male e dal quesito sulla possibilità della poesia di salvare il mondo. Nel ricordare la nota affermazione adorniana, secondo cui, dopo Auschwitz, sarebbe impossibile scrivere ancora poesie (affermazione poi mitigata dal riconoscimento di un suo ruolo puramente epicedico), la studiosa esprime un personale scetticismo sul ruolo evasivo e prettamente ludico che i cultori del "bello" affidano alla poesia, magari sulla scorta di Dostoevskij che fa dire a Todorov: "la bellezza salverà il mondo". Affermazione giustamente osteggiata da Umberto Eco che torna, con Adorno, a parlare di nazismo: "Goebbels era un uomo coltissimo, ma questo non gli ha impedito di gasare sei milioni di ebrei". A questo punto, vorrei avviare una mia riflessione. Giungere a quelle efferatezze non è a mio parere un problema di ordine estetico, ma di ordine morale. Non si tratta di incapacità di discernere il "brutto" dal "bello", o il "bene" dal "male", ma, al contrario, di capacità di discernere il "nero" dal "bianco", ossia di dividere il mondo in "buoni e cattivi". L'integrità morale non è costituita dalla scissione, ma dall'incontro del "brutto" e del "bello", del "bene" e del "male". Forse la teoria non aiuta a comprendere, ma sul piano empirico a nessuno dovrebbe sfuggire che nelle situazioni di calamità (guerre, terremoti, eccetera) è proprio il sentimento di solidarietà e di cooperazione tra gli uomini a venire risvegliato. E' questo che conta, ed è un risultato che in qualche modo ci può salvare.
    Franco Campegiani

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    1. Innanzitutto, carissimo Franco, pur avendo una “lunga frequentazione” con la scuola dei Formalisti russi, di cui Tzvetan Todorov è stato il massimo divulgatore in Europa, non sapevo del suo collegamento con Dostoevskij, e te ne ringrazio.
      Del resto, suppongo, quando il principe Myškin parla di “bellezza”, accosta il concetto a quello di “bene” e, come dici tu, entriamo nell’«ordine morale». A scuola, quando studiavo il greco antico, rimanevo sempre perplessa scoprendo come il termine ἦθος (in origine “il posto da vivere”) si potesse applicare a una generale “teoria del vivere”, dove, come tu precisi, il male e il bene si incontrano, rendendo dunque più possibile, nella loro intima giustapposizione, individuarli e distinguerli.
      Ringraziando, concludo con le tue parole: «è un risultato che in qualche modo ci può salvare».

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  11. Mi correggo: non "Dovstoevskij che fa dire a Todorov", ma "Dovstoevskij risvegliato da Todorov".
    Franco Campegiani

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  12. Mi correggo: non "Dovstoevskij che fa dire a Todorov", ma "Dovstoevskij risvegliato da Todorov".
    Franco Campegiani

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  13. Una vita all'insegna dell'arte e della conoscenza in tutte le sue forme, quella di Cinzia Baldazzi. Da ogni esperienza e da ogni incontro ha tratto alimento per migliorarsi e progredire nella direzione che si è data: dare Un Senso alla vita, spendendola per donare e diffondere bellezza.

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  14. Ti ringrazio, carissima Lara, ora lo sappiamo tutti, sin da bambina - come tanti - ho cercato, dove ho potuto, di migliorare il senso della vita, soprattutto con l'arte e la letteratura. E, da tanto, è un tentativo che gestisco grazie a voi.

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  15. Una bellissima intervista alla dssa Cinzia Baldacci denota la sua grande preparazione culturale, e la sensibilità intellettuale che da sempre la distingue in un grande percorso di vera bellezza;un grande "vissuto" al quale mi inchino onorato di poter leggere ed imparare quanto la sua conoscenza fa assaporare il profumo dell'aria, il sapore del mare, la libertà della "parola" e così anche le pietre diventano sacre. Cara Cinzia, che bel "sentiero" il tuo!
    GiorgioDello

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    1. Grazie, Giorgio, per il tuo commento così intenso, da condurre attraverso sentieri “altri”, tipici della critica e della poesia, quando intraprendono la strada giusta.
      Grazie ancora e presto.

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  17. Accidenti Cinzia, sei davvero un cervellone! Grazie a questa bellissima intervista ho conosciuto il tuo io più vero, che non è solo tessuto di puro intellettualismo, come purtroppo mistificano molti, ma di profonda umanità. Dunque non solo forma bensì questa irrorata da un'effervescente sostanza vitale. La tua incessante ricerca dalla quale scaturisce quella poesia che redime il nostro non sempre felice percorso quotidiano. E allora davvero si può continuare a sperare che la bellezza salverà il mondo. In fondo è la tua missione. acnora che è poesia dalla.

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  18. Accidenti Cinzia, sei davvero un cervellone! Grazie a questa bellissima intervista ho conosciuto il tuo io più vero, che non è solo tessuto di puro intellettualismo come purtroppo molti mistificano, ma di profonda umanità. Dunque non semplice forma bensì questa irrorata da un'effervescente linfa vitale. La tua incessante ricerca dalla quale scaturisce la poesia che redime il nostro non sempre felice percorso quotidiano. E allora davvero si può sperare che la Bellezza salverà il mondo. In fondo è questa la tua missione.

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    1. Caro Antonio, mi attribuisci una missione molto alta e, dal momento che so quanto tu, in prima persona, ami la bellezza, l'incarico al quale – confesso – in fondo in fondo dalle origini ho sperato di ambire, diviene ancora più oneroso.
      Grazie di tutto, Antonio, anche per lo spazio alla cultura riservato dal tuo sito.

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  19. L'intervista ad una grande autrice come Cinzia Baldazzi raccontano una storia ricca di emozioni ed esperienze dalle quali è impossibile rimanere indifferenti.
    Non conoscevo molto della sua storia se non dalle pagine di Facebook, cui mi fregio essere sua amica.
    L'intervista è una sorta di racconto incalzante che mi spinge a sognare, a vedere oltre, a non arrendersi in questo mondo e luogo in cui vivo.
    Grazie a queste righe ho avuto la possibilità di capire come l'estro di Cinzia sia una strada da percorrere per apprezzare ancora di più la cultura letteraria del nostro tempo.

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  20. Ringrazio Katiuscia Di Savino per le sue belle parole, sperando possano davvero servire come "guida" nel cammino di chi ama la poesia.

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    1. Senza un anima dove andiamo, e senza una guida inciampiamo nel buio cammino della poesia.Vivere di poesia prima che la parola diventi luce , risalendo dalle tenebre come un figlio dal grembo di una madre lascia la vita per un'altra vita nel dono d'amare.

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    2. Un commento "in versi", caro Nicolò, dove la parola poetica accompagna la nascita della vita, di madre in figlio, dalla notte al giorno.

      Grazie.

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