giovedì 4 giugno 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: "IL CUORE DELLA VITA" DI ADRIANA PEDICINI


Adriana Pedicini,
collaboratrice di Lèucade














Nazario Pardini. IL CUORE DELLA VITA di Adriana Pedicini

“…Diverso è il destino delle foglie.
Non di uccelli migranti hanno virtù
a solcare terre e mari e montane cime
presto cadranno nell’umida pozzanghera.
Una sul davanzale sbatacchiata
la furtiva mano l’ha adagiata
supina come in grembo
tra le esangui pagine del libro.
La incollerò sul ramo a primavera
quando le foglie brilleranno di novello verde.
Perché ogni cosa abbia il suo nume
e nel nume certa la speranza" (Nume tutelare)

Iniziare da questa composizione significa andare da subito nel mare magnum della poesia di Adriana Pedicini. Un canto di armonie, di iuncturae reificanti palpiti emotivi, abbrivi esistenziali, dove la natura si offre generosa alle similitudini con l’esistere: il vento, la foglia, i simboli, i ricordi, e la volontà di perpetrare gli abbrivi dell’esser-ci. Adriana Pedicini fa della sua apertura emotiva uno spiraglio tramite cui inoltrarci nella grandezza della poesia; di quella che ti chiama, perché sa dove ti trovi, conosce i tuoi palpiti, i tuoi incantamenti; sa della tua navigazione in mezzo ad un mare che lascia intravedere l’isola della possibilità, quella verso cui ogni poeta dirige la sua ricerca, ma che difficilmente dà delle risposte ai quesiti che noi cerchiamo affannosamente. Sì, quelli sulla vita, sul fatto di esistere, sull’hic et nunc, su tutto ciò che riguarda la nostra permanenza su questa  madre terra. Ed Ella gli va incontro, gli volge l’animo e la penna, a ché le riveli i ricami verbali, i succhi significanti, gli accostamenti, le similitudini,  gli accorgimenti stilistici per andare al di là della parola, che con la sua totalità espressiva azzarda sguardi di quietudini metafisiche:

“Cadono d’un tratto le paure
e le angosce del limite estremo
e come pane di lievito il cuore si slarga
l’animo empie le gote di spirito sacro
e profumo di viole conduce alla stalla
a rimirare il miracolo antico che nuove
sparge speranze a virtù e ognuno
a guisa di umile servo accoglie
del regale Bambino il segno del Tempo
nei fuggevoli tempi dell’uomo
nei giorni precari di vite consunte
in animi sordi alla buona novella.
L’Infinito è in un attimo
al santo vagito ci guida la stella cometa
da lontano nell’aria suoni di ciaramelle” (Dies natalis),

attraversando terreni inesplorati in un viaggio epigrammatico tra vecchi tzigani:

“A te vengono da ogni dove
le vie del passato
segreto della memoria.
Così vivi il tuo tempo recente                                   
e quelli remoti.
Così nei volti nuovi intravedi
fattezze lontane, i miti e la storia…” (Il vecchio tzigano),

o soffermandosi a contemplare sere di meditazione i cui colori tanto richiamano il tempo che passa portandosi via la luce esplosiva della giovinezza:  

A sera
si disfa l’aspetto
giovanile del giorno
i colori che dentro mi ridono
si velano come sogni
notturni nel placido sonno
nel lento scivolare delle ore (Sera)

E tutto si fa sinfonico, armonioso, visto che la Poesia non la molla, e quello che le suggerisce è pulito, genuino, spontaneo, irrazionale, come essa vuole: “Prendi la penna e scrivi dell’uomo, di questo essere tanto misterioso quanto reale,  dei suoi ingranaggi esistenziali, delle sue inquietudini, dei suoi slanci verso l’inarrivabile, dacché, pur incollato a terra, brama sempre respirare un po’ di quell’aria che spetta all’eterno. Scrivi. E quando vedi che la parola non ti è sufficiente, chiedi aiuto alla natura, è essa che ti darà tutte le configurazioni atte a concretizzare e ad espandere i tuoi fremiti”. E questo fa Adriana. Ricorre ad ogni motivo che riguarda l’uomo e la sua permanenza: l’onirico, il memoriale, la coscienza del tempo che fugge, la morte:

“…Fermo è il tempo di vita
nell’ora che declina alla morte.
Nell’aria solo profumo di mosto
 e celate promesse nel cuore”(Autunno),

 l’attrazione per chi ama; e tutti quei requisiti che si pone in quanto umana, durante la sua navigazione. Quale stagione più aderente alla vita dell’autunno con le sue foglie cadenti e i suoi colori rubino disseminati a terra. Tutto è caduco, effimero, transitorio in questo nostro soggiorno. Allora la poetessa ricorre alle memorie, perché sa che con esse c’è la possibilità di allungare la vita, di lottare a tu per tu con l’oblio, che la vorrebbe annullare con i suoi scabri interventi:

“…Lo sentii (il dolore), mamma, e fu per te
che impressi da allora passi doppi
dinanzi alle porte strenue degli anni
nei giorni sempre più esigui, sempre più,
piccolo intervallo al fatidico traguardo
dove tu più stanca di me per l’attesa
seduta sarai ad aspettarmi.
Ti restituirò all’incontro la calda carezza
come allora e il tuo amore e il mio
insieme saranno spirito di fuoco” (Memories).

Sì, si ricorre alle radici, alla poesia dell’home, a figure e immagini che rievocano antiche primavere, quando le persone care ci sfioravano con gli sguardi,  e ci sembrava impossibile che potessero uscire di scena lasciandoci a soffrire coi nostri ricordi:
A mia madre

Solo l'amore
ricompone sul ciglio
della memoria l'immagine
svanita come neve al sole
di fredda primavera.
Pure ti sento
nella carezza tiepida
del vento e nel profumo
dei petali che di quella primavera
mi restituiscono la tristezza
e la speranza dell'Eterno.

 Ed è così che ripescando fatti, volti, e avvenimenti, Adriana Pedicini riesce a costruire immagini di persone che le sono state a fianco per anni e che hanno giocato un ruolo determinante nello svolgimento emotivo della sua vicenda. D’altronde siamo umani e in quanto tali soggetti alle leggi del tempo e della natura. Ed è per questo che, sapendo, Ella, che la vita è un breve tratto donatoci dalla morte, intende spolparla, ricavarne quel succo essenziale atto a fecondare la sua poesia; quel dettato polivalente che racconta con purezza lirica ogni

“…Silenzio che promette pace ardente
come tutte le paci quando la promessa
è falsa e la tregua breve.
Ognuno porta altrove la gerla delle pene
e intatto la riporta nell’usata terra.
La delusione si tinge di realtà e tutto
rimette a posto nella costrizione
del ritmo faticoso della vita” (Estate).

Forse riportando altrove la gerla delle pene sarà meno duro il mestiere di vivere; il pensiero di lasciare per sempre le persone che amiamo; d’altronde il mistero di thanatos ci attanaglia tutta la vita: la morte rappresenta la fine della vicenda materiale, ma reca con sé il grande mistero di quello che verrà dopo, come l’Amleto Shakespeariano che definisce la morte “il paese sconosciuto da cui non ritorna nessun viaggiatore”.
Una poesia plurale, proteiforme, articolata che dalle riflessioni esistenziali passa con agilità espressiva a quella engagée di Mediterraneo, dove non è arduo leggerci quel filone classico vicino allo stile della Nostra:

“…Resista tranquillo l’animo
alle provocazioni degli uomini
dinanzi al mercato degli dei.
Salda la virtù plachi le paure e l’egoismo
l’inganno e l’odiosa attesa,
e siano le tue acque, o Mare Nostrum,
non liquida urna di ossa tra i marosi disperse
ma arca cullata dallo sciabordio lento
delle onde dove il sonno conciliò
la carezza di Danae al piccolo Perseo (Mediterraneo).

 Poesia vita, vita poesia. Due elementi che viaggiano all’unisono  nel corso del  poema.  Quanto amore! Quanta saudade! Quanta nostalgia! Quanto rammarico per cose non fatte e non dette:

“…Così il murmure del tempo ninna
il gorgoglio dei pensieri
le emozioni che stridono ferite
blandisce la paura di essere, di esserci
il timore di non esserci.
Sogno prati e monti e l’ultimo orizzonte
approdo in cui so che morirò di nostalgia (Esserci e non esserci).

 D’altronde si tratta pur sempre di una storia che noi vorremmo diversa, magari più vicina ad una riva a cui potersi aggrappare. Ed è con la poesia che possiamo dare vita alle persone e alle cose che abbiamo amate e che ci sono sfuggite di mano; è il potere di questa magica arte antica che ci chiama; quello di ricostruire figure e volti che noi pensavamo immortali: forse l’unica possibilità che abbiamo in saccoccia  per ridurre la distanza che ci separa dalla sfera degli dèi. D’altronde l’idea della morte è quella che fa di noi degli esseri viventi, unici, a soffrirne, in quanto di fronte al nulla e al sempre la  nostra mente si perde, si sente a disagio, fino a patirne la splenetica meditazione.  Gli antichi Greci riconobbero nel “pensiero della morte” (μελτη ϑανάτου) l’origine stessa della filosofia; e un poeta moderno fornito di una robusta cultura classica, Giovanni Pascoli, mise in risalto nell’epilogo di quello che è il più noto e forse meglio riuscito dei Poemi conviviali (1904), L’ultimo viaggio, l’effetto psicologicamente angoscioso ed eticamente devastante dell’assillo costante della morte: “- Non esser mai! Non esser mai! Più nulla/ ma meno morte che non esser più ! – ( XXIV, Calypso, vv.52-53, cioè: ‘è meglio non esser nati, che nascere e vivere una vita tormentata dalla continua preoccupazione della morte’). La poetessa affronta vari temi: thanatos,  vita, amore,  radici, memoriale, il tempus fugit, o il senechiano cotidie morimur. Diverse quindi le chiavi di lettura di questa sinfonia. Ma tutte riportano al nostro viaggio, a questo problematico fatto di esistere. E in quanto umani, coscienti della futilità di questa navigazione in un mare pieno di trabucchi, meditiamo sul quando e il dove,   sull’ora e il poi, senza però avere risposte adeguate. Tutto è misterioso, impenetrabile; la cosa migliore è  restare aggrappati alle persone che amiamo, alle cose che ci emozionano come la poesia, solo così diamo un senso alla vita, dacché è l’amore l’unica realtà che si avvicina alle soglie dell’eccelso. E Adriana lo sa, lo dice nei suoi versi, e lo grida al mondo, in quanto fa del suo canto l’apologia dell’esistenza: ora benevola, ora malevola, ora fulgente come l’aria di primavera, ora rubino come le foglie d’autunno, ma pur sempre vita. Pur sempre amore:  perché, come scrive T. S. Eliot in East Coker, il secondo dei Quattro Quartetti: “C’è un tempo per la sera sotto la luce stellare, un tempo per la sera sotto la lampada accesa, (…). L’amore è ancora più di se stesso quando qui ed ora perde d’importanza.”. E amore significa vita, attimi, presenze, emozioni, palpiti, passione. Significa poesia, quel misterioso flusso emotivo che ti innalza al cielo, come magistralmente dipinge Paul Verlaine nel suo “le ciel est par-dessus le toit” e che la poetessa ricama in una delle più belle poesie della raccolta:      

“…Babele è la torre di ogni città.
Confusi i colori, confuse le lingue,
gli odi e gli amori.
Il senso…il senso di tutto dov’è?
La gioia che brilla negli occhi morenti di un bimbo
l’abbraccio che solo nel dolore riscalda
è la misura del nostro soffrire o del nostro gioire?
La Tua Croce forse giustifica il senso
e ogni croce che spalanchi le braccia
 dinanzi a un cielo senza catene (Catene).

Finché, alla fin fine, la poetessa trova il suo ambiente preferito nella purezza della natura, fra fiori e papaveri che più di ogni altra cosa danno il piacere di esser-ci, di sentirsi a casa nostra dopo il rientro da un lungo viaggio:

Fiordalisi e papaveri

Torneranno a parlare i campi di grano,
a litigare fiordalisi e papaveri per uno sbocco d’aria
 tra le spighe arse dal sole di luglio
e i piedi a spaccare le dita sulle zolle aride
nei campi distesi sotto la bella Dormiente
La fiamma di rosso al tramonto il campanile
avvolge da lungi e le cime con esso gareggiano
già nascoste dalla tenebra lenta.
Insonne la notte al caldo trafitto da grilli e cicale,
gracida il rospo e la rana nel rigagnolo verde
di acqua e di bianche ninfee.
Un gufo gli occhi spalanca, guardiano
del faro notturno, alla luna
che in cielo argentea più delle stelle.

 Nazario Pardini


DAL TESTO

Vita mia

Mi vivo di me e dei cari volti
di queste stille di tempo
di quello che giunge in dono
senza la mia attesa.
Possa ogni giorno regalarmi
degli affanni il dolce oblio
e dietro le nuvole il volo
di Jonathan il gabbiano
che il cielo preferì alla terra,
potessi inebriarmi del profumo
della viola che nulla è
sebbene aria e fuoco e vita
per ritrovare il me che langue
nel riposto angolo buio
della superba dimora dell’anima delusa.
Potessi infine spalancare le finestre
sui muri spaccati dall’impetuoso vento
della vita e ad un cielo infinito uscire
e luminoso come quello che quest’oggi
mi tesse la speranza che non è la tela
tutta, bensì di Cloto il lembo di filo
stretto nella mano.

Nume tutelare 

Di fronte alla finestra il foliage rossastro di betulla,
oggi un po' di più nevica foglie il vento
grondando tramonti di fuoco
nell’aria gelida e secca
di questo mese che alla solitudine
spalanca e ai mesti addii.
Diverso è il destino delle foglie.
Non di uccelli migranti hanno virtù
a solcare terre e mari e montane cime
presto cadranno nell’umida pozzanghera.
Una sul davanzale sbatacchiata
la furtiva mano l’ha adagiata
supina come in grembo
tra le esangui pagine del libro.
La incollerò sul ramo a primavera
quando le foglie brilleranno di novello verde.
Perché ogni cosa abbia il suo nume
e nel nume certa la speranza.

Autunno

Donde questo silenzio
di note nell’aria grigia stupita 
in attesa che crolli la volta di nubi
o si squarci in rivoli d’ acqua
questo cielo mio muto. Impauriti
i gatti e noi sempre più soli.
Nudi gli alberi e battito d’ali
spento da tempo.
Timidi avanzano al nulla
i pensieri gabbiani affamati
sulla spiaggia intatta di orme.
Fermo è il tempo di vita
nell’ora che declina alla morte.
Nell’aria solo profumo di mosto
 e celate promesse nel cuore.

Memories

Non conobbi così presto il dolore
se non quando te ne andasti, mamma,
e fu la mano che si affievolì nella mia
d’un tratto come ultimo addio.
Non capivo il fremito che dalle dita tue
s’inerpicò sul braccio e mi trepidò nel cuore.
In me la tua energia morente
divenne flusso perenne di presenza
e vita aggiunta a vita 
quella che mi donasti
allorché il primo raggio di sole
mi corrugò le palpebre.
Lo sentii, mamma, e fu per te
che impressi da allora passi doppi
dinanzi alle porte strenue degli anni
nei giorni sempre più esigui, sempre più,
piccolo intervallo al fatidico traguardo
dove tu più stanca di me per l’attesa
seduta sarai ad aspettarmi.
Ti restituirò all’incontro la calda carezza
come allora e il tuo amore e il mio
insieme saranno spirito di fuoco.






2 commenti:

  1. Carissimo Professore, benevolentissimo amico, il mio cuore trema dinanzi alle tue parole, che con somma lucidità e affetto rivelano paesaggi interiori sconosciuti a me stessa, o percepiti non con uguale nitore. Evidentemente mi sono connaturati, fanno parte del mio sentire, ma le tue accorte e alte parole con cui dialoghi con la mia "poesia", aggiungono quella forza che mi gratificano di sicuro, e mi dà un certo conforto e mi trattiene dal vergognarmene, come spesso mi capita. Un dono prezioso, una testimonianza che l'umano esiste , al di là della sciatteria e arroganza moderne, e tu, Nazario, ne sei un esempio di cui si compiace e si avvantaggia la mia umile persona. Grazie, Nazario. Ti abbraccio Adriana

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  2. Una presentazione della tua poesia Adriana competente e di rara capacità analita e critica, oltre che di linguaggio "alto" . Complimenti a te e al professore.

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