venerdì 19 giugno 2020

SANDRO ANGELUCCI LEGGE: "TRACCE DI SOLITUDINE" DI GIOVANNA DE LUCA





Giovanna de Luca
TRACCE DI UMANA SOLITUDINE
Guido Miano Editore, 2020

Recensione di Sandro Angelucci


La tematica che costituisce il substrato sia poetico che narrativo di Tracce di umana solitudine, di Giovanna De Luca, è quella dell’inaccessibilità di un cammino - peraltro fortemente voluto e tentato - che appare come un sentiero che si snoda tra indicibili bellezze e, perché no, altrettanto ineffabili cespugli di rovi.
Un sentiero, tuttavia, che va restringendosi sempre di più finché non si fa impercorribile e lascia solo immaginare ciò che si troverebbe al di là dei confini necessariamente imposti.
Quanto esposto è già riscontrabile dalla lettura della poesia d’esordio della silloge, in modo particolare dalla prima delle due strofe di cui la stessa risulta composta. Da A mia madre:

Parlare di te ancora non mi riesce, mamma.
Ora è soltanto lo sguardo che improvviso
s’impiglia nel cassetto,
sul ninnolo a te caro.
E di colpo richiudo, un groviglio alla gola
di conflitti e d’amore.

Lo sguardo della Nostra “s’impiglia” sul “ninnolo” custodito nel cassetto dei ricordi. Un ostacolo impedisce, dunque, di parlare della madre come si vorrebbe; forse a nessuno di noi è possibile esprimere verbalmente un sentimento tanto grande come quello dell'amore filiale (segnatamente verso la madre): troppo smisurato per la capacità di sentire anche di un poeta.
Cosa simboleggia questo oggetto, forse di poca utilità ma di straordinario valore affettivo ed emotivo? Rappresenta, per l’appunto, un’ostruzione, una stenosi che rende difficoltoso il passaggio e prelude a quello sbarramento del quale poc’anzi ho parlato. Tant’è che chi scrive è portata a chiudere “di colpo” con un groppo in gola.
Sono le avvisaglie di qualcosa che si metterà di traverso; ci si dovrà fare i conti, bisognerà pungersi per arrivare almeno un poco oltre, per riuscire a scorgere un altro piccolo, importantissimo spazio dal quale, chissà, potrebbe aprirsi uno squarcio di cielo.
Certo, qualche goccia di sangue cadrà sul terreno, macchierà quelle impronte che indicheranno il passaggio rendendole inevitabilmente - come ricorda il titolo - tracce di umana solitudine.


 È sempre solo il canto di un Poeta”: recita l’incipit di una lirica che leggiamo poco più avanti. Quella dell’emarginazione può essere considerata una condizione dello scrittore che predilige l’espressione in versi, e l’isolamento non è necessariamente determinato dall’effetto di una coercizione sociale. Molto spesso è lui stesso ad avvertirne la necessità per prestare più ascolto alle voci dell’animo.
La ragione, che vorrebbe spiegare tutto, si trova improvvisamente spiazzata, impreparata; non riesce a reggere il confronto, e questo senso d’impotenza è contrariante con la conseguenza dell’insorgere di una sorta d’angoscia in chi si ritrova a farne l’esperienza.
Ciononostante - ed è a questo punto che subentra un quid indefinibile - la De Luca non si lascia scoraggiare arrivando ad intuire che il segreto sta nel resistere o, meglio, nel non superare il limite che ci viene intimato dalla Bellezza, come inequivocabilmente si evince da questa lettura:

Sapeva la Bellezza
che a toccarla
ci saremmo feriti.
Allora si nascose
dietro i rovi e disse:
“Sono sogno,
se troppo ti avvicini
sarà sangue”.
“Reggere non mi puoi
nel tuo povero mondo”.
disse la Bellezza.
“Guardami allora,
guardami soltanto.

L’opera si completa con una serie di racconti per i quali mi rifarò a quanto sostiene Pardini in prefazione: “Parrebbero due corpi a sé stanti, senza contaminarsi a vicenda, ma un filo rosso, un leitmotiv li percorre determinandone un continuum […]”. È lasciarsi abbracciare dal mistero l’unico modo per avvicinarglisi senza esserne fagocitati, per riconoscerlo - e concludo - non un despota ma il più fidato degli amici.

Sandro Angelucci
  
Giovanna de Luca, Tracce di umana solitudine, Guido Miano Editore, Milano 2020, pp. 96, € 15,00; isbn 978-88-31497-11-4.


2 commenti:

  1. "Parlare di te ancora non mi riesce, mamma". Ogni lutto importante dà in eredità questi "grovigli alla gola", quel ninnolo che si guarda con tenerezza e poi si rinchiude, di colpo, in un cassetto, quasi a non voler fare i conti con il dolore. Sandro Angelucci nella sua veste di critico coglie con grande sensibilità il difficile percorso del dolore e il sentiero, universale, della condizione umana della solitudine. La ragione, dice bene Angelucci, in certi frangenti si trova spiazzata, è rigida, non dà risposte. Ma la poesia è il respiro dell'anima , ci consola e ci porta ad esprimere, purificate, le nostre più profonde emozioni, anche quelle più dolorose. Complimenti dunque all' autrice, al critico e un ringraziamento al prof. Nazario Pardini che permette, sulla sua Isola, incontri e scambi fecondi.
    Loredana D'Alfonso

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  2. Vorrei inserire il mio commento precisando che non mi complimento con Sandro per le sue doti esegetiche in quanto mio amico - si può prendere atto che l'ho fatto con vari altri ospiti dell'Isola -, ma perché ammirata sinceramente dalla sua attitudine a rendere visibile il testo e l'autore o l'autrice che ci presenta. In questo caso, per esempio, emerge l'anima di Giovanna De Luca, tramite la scelta delle liriche e le parole del recensore. I versi dedicati alla madre, come sottolinea Sandro, si racchiudono nei primi due versi e nel 'ninnolo custodito nel cassetto'. L'Autrice, come accade spesso dopo una perdita, vede 'impigliarsi' le parole nella rete della 'grandezza dell'amore', che non è imprigionabile nella nudità dei dire. Sandro non ricorre a tecnicismi, indossa i versi e li porge con la fatica della semplicità. Sì, fatica, in quanto celarsi dietro a un linguaggio complesso, spesso inaccessibile, non è nelle sue corde e rende a noi lettori la comprensione delle sillogi e dei libri in genere, immediato. Lo ringrazio ancora una volta per avermi concesso il dono di avvicinarmi tanto a una poetessa, di carpire con lui i misteri e le verità che i versi raccontano. Non ha riscritto il testo, lo ha presentato con levità e con 'poesia'. Un forte abbraccio al mio amico, a Giovanna De Luca, che ho già apprezzato in altre occasioni, e al nostro Nazario che rende possibile questo luogo di incontri.

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