giovedì 23 settembre 2021

A. AMBROSINI: "LE PROBLEMTATICHE DELL'ESSERE IN FRANCESCO TERRONE E JORGE GUILLEN"

 

LE PROBLEMATICHE DELL’ESSERE

IN FRANCESCO TERRONE

E JORGE GUILLÉN

 

 

Angela Ambrosini,
collaboratrice di Lèucade

“Palpiti di corallo / rumoreggiano al / tuo splendore / in notte fonda / annega il mio respiro, /nel silenzio/ al passaggio di cavalli scalzi / persi / lungo le praterie / dove vivono / le idee, i sogni / le speranze!(Palpiti di corallo, da Il piacere della memoria, 2013).

Le splendide sinestesie iniziali di questa incisiva lirica, stanno a saldare in un’unica essenza note e umori di un paesaggio che si fa cardine dell’esistere. La volontà o meglio, diremmo, l’ineluttabilità di fusione con la realtà circostante, eleva Francesco Terrone a filtrare percezioni esterne e sentire interiore in un’unica natura ed è allora che la gioia di vivere si esprime in tutta la sua intangibile compiutezza. Anche quando le avversità (le ombre del silenzio) lo assalgono, non demorde dalla volontà di respirare sia pure a fatica, il gusto della vita. (Chiusi tra le ombre, da Il tenero e fragile silenzio, 2013).

Un simile atteggiamento di fiduciosa, attiva partecipazione, trova riscontro nella sua percezione serena e non malinconica del passato, quasi che un anello invisibile lo ancorasse in un rapporto di serena compenetrazione con il destino, non disgiunta, a volte, dal profondo senso di appartenenza alla sua terra: “La mia terra, / la mia gente / sono /le radici del mio mondo /sono quelle radici / che durante le stagioni / della mia vita /rivelano la forza / del mio cuore, /l’ardore/ della mia esistenza…” (Le mie radici, in Vibrazioni, 2014).

Anche se con altre coordinate estetico-formali, paragonabile gioia vitale esprime Jorge Guillén, esponente di punta della ricerca e sperimentazione espressive della Generazione spagnola del ’27, cultore e maestro raffinato, quando non radicale, della cosiddetta “poesia pura”, cioè esente da scorie sentimentali e interferenze private delle umane vicende che potrebbero intaccare la purezza, appunto, del canto poetico, elevato a squisito godimento esistenziale e formale. Una poesia, quella di Guillén, che trova il suo acme nella celebre raccolta Cantico (pubblicata a più riprese tra il 1928 e il 1950), il cui titolo è indicativo dell’atteggiamento di esultante affermazione del poeta di fronte alla natura e, di conseguenza, alla vita. L’esistenza si fa specchio della perfezione della realtà e si traduce in godimento consustanziale all’uomo, svincolato dalle sue problematiche.: “Oh, perfezione! Dipendo / Dal totale oltre, /Dipendo dalle cose, /Senza di me esse sono e già stanno” (Oltre da Cantico). Manteniamo le iniziali maiuscole in ogni capoverso, rispettando questa particolare cifra stilistica del poeta, che intendeva dare così indipendenza e pregnanza a ogni singolo verso di ogni singola poesia). E ancora: “E sugli istanti / Che passano di continuo /Di continuo salvo il presente, /Eternità in bilico” (Ibidem). Analoga empatia con la pienezza del momento esprime Terrone: “vita su vita /è il tuo amorevole/ cammino / nel tempo, /che perpetua /il tempo, / lungo il tempo / della stessa / vita …!” (Polvere di vita da Pitagora, 2014).

La punteggiatura stessa, in entrambi gli autori generosa di esclamativi e punti di sospensione, accompagna i brevi versi (prevalentemente settenari in Guillén e con irregolarità sillabica in Terrone), a voler inserire nel testo, sgombro di inutili aggettivazioni, quella certa coloritura asemantica e di neutrale partecipazione affettiva che altre parole non potrebbero trasmettere con pari imparzialità. “Solo sogni di cenere /sono rimasti / come impronta del tempo … /e la vita che vola / e verso l’infinito va!”  (Terrone, La vita vola da Il piacere della memoria). Guillén accentua la carica concettuale mediante la soppressione frequente di nessi e subordinate: “Oh, presente senza fine, adesso eterno /Con freschezza continua di rugiada, /E senza sapere del male né dell’inverno, /Assoluto nella sua istantaneità d’estate!” (Anello da Cantico).

In una siffatta totalità di adesione quasi panica ai ritmi sempiterni della natura, neanche l’allusione al lento imbrunire del giorno evoca presagio di morte (metafora troppo abusata), ma, al contrario, promessa di un nuovo risveglio che nel poeta spagnolo affretta persino il processo del tramonto. Con questi versi si esprime Terrone, in una positiva accettazione dello scorrere del tempo: “Cade la sera, / tutto si abbandona / al silenzio, /mentre /le nostre membra /a ritmo lento / vegliano sulla vita /che passa / e legano la loro speranza /al risveglio del sole /ed al dolce profumo / dei fiori”.  (Risveglio da Ti scrivo poesie, 2012). Così canta Guillén nel suo Cantico: “Già si allungano le sere, già si lascia /Lentamente accompagnare l’ultimo sole /…/- Sotto nuvole fiammeggianti - fino al verde / Tenace degli abeti e si affretta / La ritirata lenta della sera”.  (Già si allungano le sere).

Né poteva mancare il riferimento al mare come origine di pulsione vitale: “Ti osservo, mare, e vedo / un orizzonte infinito / che mi copre d’emozioni” (Terrone, Orizzonte infinito da Ti scrivo poesie). E ancora, in Guillén: “Di nuovo ti contemplo, mare in lotta /Senza pausa di sciabordio né di spuma / E di nuovo il tuo spettacolo mi scuote” (Mare in lotta da Clamore, 1960). Ma in tale raccolta, composta dopo gli eventi storici della guerra civile, il nitore della natura adombra inedite inquietudini nell’animo del poeta di Valladolid, pur perdurando la sua peculiare compenetrazione con l’armonia del creato. E questa rimane l’essenza di Guillén, la sua voce autentica nel fraseggio di versi immortali.

In Francesco Terrone risuona un’eco della stessa trasparenza, della stessa freschezza festante nei confronti del creato: “l’unica / vera forza / che viene / dal mio essere / e non essere /un chicco di grano / un seme di ginepro /un granellino di sabbia /…/la materia / di cui è fatta / la mia anima … “. (La mia anima da Il piacere della memoria).

 

Angela Ambrosini 

La traduzione italiana dei versi di Jorge Guillén è di Angela Ambrosini


Francesco Terrone, Le valli del tempo, Guido Miano Editore, Milano 2015, pp. 19-22 (collana “Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio”).

 

 

 

 

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