lunedì 6 settembre 2021

ANGELA AMBROSINI LEGGE: "LAMENTO DELL'EMIGRANTE", MIANO EDITORE, 2017

 




Guido Miano, Lamento dell’emigrante, Miano Editore, 2017

(presente nella sezione ANTOLOGIA ESSENZIALE DELLA CRITICA, pp. 128-131)


Angela Ambrosini,
collaboratrice di Lèucade

   “Morde lo sguardo il filo della lama, / la baldanza felina cede e smaga / percorsa da brividi, demente; /... / ‘Ora depongo l’elmo e a spada. / Ma non mi piego in un letto di rose, /affondo scarni artigli nella piaga’ ” (Guerriero ferito).

   Un linguaggio petroso, duttile, fortemente evocativo: parole come pietre conficcate nel verso a stimolare nel lettore un atto mentale, più che una visualizzazione concreta del significato. Quali che siano infatti i riferimenti, spesso pittorici, al vasto universo della natura, invocato altresì con una nomenclatura solida e puntigliosa, il significato sottinteso predomina sulla plasticità del significante che a sua volta si dissolve in una musicalità rarefatta e quasi generatrice di nuovi significati. Ingegnose e in sordina riecheggiano rime (“E’ l’acerbo colore di vinaccia / che distende, già fidente di marzo, / orizzonti di peltro senza traccia”, in Nebbia), assonanze (“ Si leva ancora un grumo d’aria insonne, / rischiara i volti e il cielo, / la nebbia poi risale informe”, ibidem), allitterazioni  (“di cui il caso ha crivellato il cuore”, in Tempo), paronomasie (“nella rete che sovrana mi sovrasta”, ibidem), a delineare un ritmo avvolgente ma impalpabile, mai invadente, su cui si snoda in penombra una filosofia in dialogo con scene di un universo ora domestico (“Sulla cresta ignuda del cardo / la terra incide teneri germogli”, in Sciarada), ora venato di classiche vibrazioni (“Deponi l’elmo alato e lo scudo, / .../ da specchi curvi acefala Sfinge / impone un altro gioco .../, in La Sfinge) e che qua e là svela una dialettica amara sulla civiltà moderna (“l’alambicco scarno del progresso”, in Tempo), pur senza compiaciute, polverose dannazioni retoriche. D’altro canto, il linguaggio corposo e a volte visionario, sicuramente ereditato anche dalla tradizione siciliana, non può che scostarsi, sia per solida cultura personale che per la pluridecennale militanza nella Casa Editrice di famiglia, da ogni forma di tenue effusione lirica. Se mai è l’ascesi della parola (di questo “monolitico /.../ verbo”, in Il verso) a diventare “quasi litania perenne” (Ibidem) per farsi cifra di un dettato poetico quasi mistico che Guido Miano amorevolmente rincorre anche nei “brogliacci” delle poesie lasciategli dal fratello Alessandro (vedasi la poesia a lui dedicata, Attese), dalla più autorevole critica definito “Poeta dell’Assoluto”.

   Stessa sete di trascendenza trapela dai versi di Guido (“Solo in cielo emergiamo a chiari lidi”, in Il cervo) che, rivolgendosi alla memoria del fratello riflette “Da comignoli d’ombra poi sprigioni / al cielo alti cerchi d’aurore”, in Attese).

   Non a caso Mario Luzi, fraternamente attento al messaggio poetico di Guido, gli dedicò la sua Cosmografia improvvisa, ispiratagli dal passaggio della cometa di Halley. Nella lirica Luzi mette a confronto la rapida, effimera parabola dell’umanità, quel “suo rigore già di salma”, con “la purità dell’essere” di quella “numinosa sfera”.

Altrove Guido Miano, a voler similmente ribadire l’incrollabile fiducia nella dimensione trascendentale, annuncia che “la Luce annullerà i tramonti” (in Hombre) o, pungolato dal timore umanissimo del dubbio, incalza, rivolto al cielo “C’è uno spiraglio almeno d’ombra lieve / nell’orizzonte tuo vasto / che conduce a quella meta?” (in Tempo). Ma è solo un’incrinatura nel brulicante scenario di una fede che riscatta da qualsiasi fallace interpretazione del reale, visto anche nel segreto ordito di un eterno ritorno: “se dall’alto ti chiama il cielo / non spergiurare l’eco, / è lui il maestro / dell’antico Tempio della storia. / Forse sapremo ancora / dov’è l’incanto della preghiera” (in Preghiera).

   Lungi da una scrittura ornamentale di vacua elegia, purtroppo troppo spesso  propinata dallo smaccato consumismo intimista di molti circuiti letterari, la poesia di Guido Miano (e non potrebbe essere altrimenti, dato il ruolo editoriale che ricopre da molti anni e di scrittore) induce a interrogazioni di forte pregnanza meditativa, tali da poter far nostra la riflessione di Giovanni Paolo II: “Sono proprio i poeti che hanno composto le più belle preghiere”.                                                                                                                                                                     Angela Ambrosini

Poetessa e critico letterario

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