mercoledì 3 agosto 2022

MARISA COSSU LEGGE: ""RIME" DI PAOLO ALESSANDRO COSCIONE

 

Marisa Cossu legge “Rime” di Paolo Alessandro Coscione

 

Marisa Cossu

Una voce poetica limpida e sofferta quella di Paolo Coscione, sempre connessa alla dimensione e al senso del tempo in cui si dipanano le immagini e gli abbrivi emozionali alimentati da un realismo ricco di immagini che prendono forma in modo soggettivo. Gli elementi visivi sono lo scenario in cui il Poeta colloca le proprie ansie, le emozioni, i ricordi e gli affetti più sensibili.

Una poesia narrante, immersa nel viaggio interiore di un’anima che affronta la grande fatica del vivere con lo sguardo rivolto alla perduta fiducia nella Natura e nel valore salvifico della parola.

 Il Nostro si spende in una poetica che comprende, sopporta, mai subisce l’indifferenza, ne è al contrario lucida osservatrice. L’io poetico dell’Autore, provato dalle durezze e dagli inganni della vita, si fa luce nella narrazione e in essa trova sfogo e conforto. Il “dirsi” equivale a pensare a sé stesso con distaccato disincanto.

Speranza, sofferenza e spiragli di luce lo accostano ai poeti del Novecento portatori del “malum vitae”; la chiave musicale è veritiera, sentita come scavo interiore, ricerca di un punto fermo capace di restituire all’uomo e al poeta l’approdo agognato. È un percorso doloroso di indagine sul sé rievocato nella formulazione metrica e in alcuni contenuti da echi petrarcheschi e leopardiani:

 

“Oh solitaria e triste anima mia,

tu speri che domani ancor ci sia

l’incanto che adornò questo momento … “

 

Paolo è consapevole della caducità dell’attimo: la sua anima oscilla in irreparabili perdite del “sé” che resta ancorato al vissuto con struggente malinconia.

Ma la poetica del Nostro abbraccia, nella passione del vivere, anche temi attuali, riguardanti la solitudine del Contemporaneo, la sua triste dispersione in un mondo che appare ostile ed assente. Si presta, la silloge, ad una pur sempre arbitraria, lettura psicologica: del resto il Poeta si svela anche nelle sfumature dell’ermetismo, ama guardarsi dall’interno e fa della realtà oggettiva uno specchio soggettivo, metafora della propria esistenza.

Il nostro si apre ad una confessione in versi che lo riconcili con l’altro da sé; e sono endecasillabi musicali, sonetti di vario tipo, nella cui essenzialità egli tenta di misurare il dolore contenendolo. È l’immagine di un bambino fragile, con pochi scambi affettivi e con giocattoli non adeguati alle aspirazioni e fantasie proprie dell’età; non sembra un bambino felice quello descritto da Paolo nei suoi versi, piuttosto si disegna la caduta dell’età adolescenziale:

“Ero un bambino schivo, magro e biondo;

amavo i gatti ed anche qualche gioco,

che privo di valor costava poco.

Da ragazzo, lontano dal mio mondo,

sprofondai negli abissi e con gran pena,

restai da solo, assorto nel mio pianto …”

 

 Echi montaliani passano da diversi registri nonostante l’apparente stabilità del sonetto e della metrica classica cui il Poeta concede l’anima in un abbraccio esigente, raffinato e controllato. La versificazione chiusa non ingabbia la freschezza della comunicazione ma risponde con naturale semplicità al modo di pensare del Poeta che fa uso di enjambement per fluidificare le relazioni tra i versi. È un fatto congeniale al suo linguaggio pensato. Paolo Coscione usa un lessico semplice e significativo per spiegare la malattia del suo tempo superficiale, virtuale, avaro di relazioni umane vere, soffocato da parole prive di sacralità, da poesia senza approdi, da una incontrollata dispersione dell’esperienza vitale:

“Non appartenni a nulla per davvero;

fui un sognatore che amava vecchi usi,

insieme a quanti ancor s’erano illusi,

che il demodè piacesse al mondo intero”.

 

E nulla è affidato all’immaginazione nei versi citati: vita reale e sentimenti veri. Il Nostro è pienamente consapevole delle difficoltà, dei pesi, della perdita degli affetti e dei luoghi del cuore cui si appiglia con immagini vive di città, strade, paesaggi.

 È Porto Mantovano la culla delle sue prime esperienze emotive, i primi entusiasmi amorosi; la sua città, i dati paesaggistici, le antiche mura, sono forse l’indice di una stabilità che non può essere ricercata che fuori da sé:

“Mantova, cittadina tanto antica…

E nell’istante in cui infine riparte

per un destino a te del tutto ignoto,

il cuor ti lascerà, città mia d’ arte! “

 

Dentro è il groviglio delle emozioni, fuori lo sguardo vigile delle cose che si modificano lentamente e danno l’illusione dell’eternità possibile.

 Il “dentro” e il “fuori” giungono ad unità attraverso la dimensione dell’anima che gli opposti ricongiunge e riporta all’unità del sentire, mentre il destino si fa carico di tracciare sentieri obbligati.

Tra un “odi et amo” di oraziana memoria e un isolamento turbato dall’esperienza, l’Autore non nega, tuttavia, la bellezza. Vorrebbe conquistarne un barlume, vorrebbe essere amato, lasciarsi andare; rimemora incontri spesso caduchi e deludenti, pone domande sulla sua condizione di triste malinconia. Così il nome e i profili delle donne amate, entrano nel suo mondo poetico:

“Se fosse ahimé sbagliato amarti tanto,

allor sarei il più grande peccatore,

ché sol sentir per te più folle amore,

felice mi fa stare e non sai quanto”.

 

Alla madre dedica una delle più belle poesie della silloge. Egli vorrebbe veder rifiorire in salute e bellezza colei che si è sacrificata per tutta la vita, vorrebbe che il sole le baciasse il volto dallo “sguardo basso e dalla pelle bianca”. Vorrebbe che il mondo tornasse ad esserle amico. E ancora la voce poetica di Paolo, consola la madre, le dà speranza, le promette aiuto e la sostiene. La vita è stata avara, ma c’è un barlume di attesa nell’amore del figlio:

“O madre è tempo sai di rifiorire,

non dirmi sempre che è ora di morire,

ché il tempo tornerà sempre splendente,

e ti sorriderà se a lui sorridi”.

 

Natura, amore, ricordi, malessere esistenziale, si snodano nei contenuti e nel ritmo delle composizioni. Il timore che il “tenero fiore nato dal mio ramo” possa subire un destino avverso, induce il Poeta a una riflessione dolce e dolente che svela un amore, finalmente eterno, espresso con delicatissime parole:

“In questi tempi forse un po’ dolenti,

nella silente stanza tanto studi

e con profitto, eppure non ti illudi,

che il tuo percorso sia tra rose aulenti”

 

In questa insostituibile presenza, Paolo versa tutte le residue speranze, tutte le ansie alimentate dalla persistenza del pessimismo.

Nel processo ideativo si svela l’esperienza estetica, conoscitiva ed emotiva dell’Autore, il suo destino diverso da quello della Natura, la quale é distante nella sua ciclica bellezza ed armonia, tanto che il Poeta la avverte come matrigna:

“Oh natura, natura, quanto piaci

a chi ti osserva in tutte le tue forme!

Facesti piante, frutti e fiori aulenti,

ed ogni ambiente tuo tanto difforme,

 

con acque, piane, monti e poi deserti.

Ovunque i tuoi animali son contenti,

mentre gli umani hanno volti sofferti …”

 

Piace la vita! La meraviglia riesce ad entrare nel cuore e nella mente del Poeta, ma le domande insolute sulla sua presenza di creatura diversa, discriminata dal destino, resistono al messaggio di continuità e d’infinito lanciati dalla Natura stessa all’uomo dolente e affaticato.

La poesia di Paolo Coscione arriva all’animo carica di messaggi non solo estetici, ma soprattutto umani, etici: costringe a pensare alla sofferenza non espressa che ciascuno, più o meno velatamente, reca dentro di sé.

 

Marisa Cossu

 

 

2 commenti:

  1. Ringrazio di cuore Il Prof. Nazario Pardini per questa condivisione che mi onora, anche a nome del caro Paolo Coscione, poeta delicato e sensibie dedito alla consolazione della poesia

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  2. Non conosco l'autore di "rime" ma l'esegesi di Marisa me lo ha reso famigliare in quanto mi sono rivisto quasi in toto tramite la poetica. Ho avuto la sensazione che Marisa Cossu, seppure indirettamente, parlasse anche di me. Parecchie cose ci accomunano con l'autore perciò come dicevo mi risulta famigliare. Il suo "travaglio a vivere" lo definisco il retro di una stessa moneta. Forse cambia solo il modo di porgersi rispetto al mio che riscontro meno lirico ma che comunque l'autore con purezza di dettato, semplicità verbale e chiarezza espressiva riesce eccome ad incidere nell'animo del suo lettore. Pasqualino Cinnirella

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