All'inizio, all'inizio di questa storia, non certo all'inizio di tutti i tempi, troviamo tre dei più conosciuti eroi della guerra di Troia beatamente rilassati e sdraiati sull'erba di un prato in prossimità di un fresco ruscello.
Intenti ad un meritato riposo, due giorni di ferie, tra una battaglia e l'altra di quella annosa guerra.
Achille, Ulisse e Patroclo. Ah, già! C'era anche un altro: Parmenide, un famoso filosofo.
I quattro (ma Parmenide non è che partecipasse molto) quel giorno erano immersi in una animata discussione sull'inizio.
Ma non sull'inizio della guerra di Ilio, sull'inizio dei tempi.
Il colto e furbo Ulisse, spiegando in che modo qualcosa fosse venuta all'esistenza, ad un certo punto disse: “Dobbiamo ad Esiodo le notizie sulle divinità primordiali. Egli ci parla infatti di come all'inizio di tutto ci fosse solo il Chaos, massa confusa e informe che non era ancora nulla se non solo un peso inerte ammasso nello stesso tempo di molteplici germi degli elementi delle cose, senza legami tra di essi. Notate bene, amici miei, che il resoconto di Esiodo non implica che qualcosa sia creato a partire dal nulla: c'era della materia, ma essa era ancora senza una vera forma.
Questa divinità primordiale, il Chaos, non ha niente di umano. Non un corpo, non un viso, nessun tratto del carattere. Un abisso, nel seno del quale non si scorge nulla di identificabile: nessun oggetto, nessuna cosa che si possa distinguere nelle tenebre assolute che regnano in quello che è semplicemente un totale disordine.
Dalla materia informe appare però, ad un certo momento, Gaia, la Terra, il suolo fermo sul quale può svilupparsi la vita. Come è nata Gaia? Per una sorta di miracolo, un avvenimento primordiale e fondante. E, sicuramente per spiegare questa apparente contraddizione logica, appare poi il terzo dio: Eros, l'amore ma soprattutto il desiderio.
Come Chaos, egli è un dio ma non una persona. Si tratta piuttosto di un improvviso zampillo che fa nascere e crescere gli esseri. Un principio di vita, una forza vitale.
Il suo compito è quello di far passare dalle tenebre alla luce tutte le divinità a venire”
Ulisse si azzittì.
“E poi, cosa è successo?” chiese Patroclo.
“L'essere è, il non essere non è” affermò gravemente Parmenide.
“Il resto lo conoscete: per partenogenesi Gaia dà alla luce Urano e unendosi poi con Urano genera i 12 Titani, tra i quali Crono e Rea. Dall'unione tra Crono e Rea nascono sei figli, tra i quali Zeus, signore dell'Olimpo, e Era, sua moglie e sorella”.
Giunti a questo
punto della loro discussione sulla nascita delle cose, alla quale Parmenide
aveva contribuito unicamente con quattro interventi per ribadire che l'essere è
e il non essere non è, tutto l'interesse dei tre valorosi guerrieri si
focalizzò sulla natura fondamentale, sull'essenza ultima del creato.
Ulisse passò in rassegna le variegate opinioni al riguardo, partendo da quella di Talete, secondo il quale il primo principio è l'acqua, passando per quella di Anassimandro, che dice che il principio non è né l'acqua né un altro dei cosiddetti elementi ma un'altra natura infinita, l'apeiron, dalla quale provengono tutti i cieli e i mondi che in essi esistono, per arrivare ad illustrare il pensiero di Anassimene, che invece sostiene che l'Archè, il principio, si identifica con l'aria.
“E tu cosa ne pensi?” gli domandò a questo punto Patroclo.
“Mah” rispose Ulisse, suscitando le risa degli altri due compagni (Parmenide rimase come al solito indifferente) “Io sarei orientato a considerare la sostanza base molto più astratta di un semplice elemento fisico. Io racconterei la genesi con una frase del tipo: in principio c'era il verbo, DORMIRE. Poi il verbo si svegliò”
Ma il principe di Itaca ridivenne subito serio e continuò l'excursus: “In tempi recenti le opinioni sull'Archè si sono ridotte essenzialmente a due. La prima è sostenuta dal qui presente Parmenide, che afferma che la realtà è immutabile, non cambia, è data una volta per tutte. Che se potessimo guardare lo svolgersi degli eventi da un punto privilegiato, come quello degli dei sull'Olimpo, vedremmo che le cose succedono perché devono succedere, che tutto è già scritto una volta per sempre, niente cambiamento, niente divenire, l'essere semplicemente è. Dico bene, Parmenide?
La risposta che diede quest'ultimo è facile da indovinare “L'essere è, il non essere non è”
“A me, sinceramente, sembra un po' scemo” fu il commento di Achille, un commento poco diplomatico.
“No, tutt'altro. Ma soffre di autismo” gli fece eco l'eroe di Itaca, che continuò dicendo:
“Di avviso opposto è invece Eraclito, la cui più celebre frase è: non si può discendere due volte nel medesimo fiume. Intendendo lo scorrere dei fiumi come una metafora del passare del tempo. Ogni momento è unico ed irripetibile, ogni istante è irreversibile, non te ne capiterà mai più uno uguale. Achille, se tu ti immergessi lì, in mezzo al fiume, per fare un bel bagno stando attento a non ferirti il tallone con i sassi sporgenti, mezz'ora dopo, od anche solo un minuto, non potresti bagnarti con la stessa acqua, perché il ruscello scorre, come scorre il tempo di noi mortali. Panta rei, tutto scorre, dice Eraclito, tutto è DIVENIRE. Lui sostiene che il principio ultimo è il CAMBIAMENTO. Non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua.
Proprio l'opposto dell'idea di Parmenide, per il quale tutto è ESSERE, tutto è IMMUTABILE”
Il quale Parmenide se ne uscì per confermare ancora una volta (ma scommetto che questo lo avete indovinato): “L'essere è. Il non essere non è”
“Quindi è questo il pensiero di Eraclito? Questo lui pensa? Non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua?” domandò il pelide Achille.
“Esatto, è quello che ripete sempre. E che sostengono quelli della sua scuola filosofica, che viene dopo Talete, Anassimandro e Anassimene”
“Uhm...” fece Achille, mettendosi a riflettere intensamente, per poi chiedere ad Ulisse: “A che velocità scorre il fiume?”
Ulisse, dal sopraffino ingegno, prese un ramoscello e lo gettò proprio in mezzo al ruscello, spiegando: “Contiamo ora insieme.... uno... due... tre... quattro... cinque...sei. Ci ha messo sei secondi per arrivare a quella grossa pietra che sporge dall'acqua laggiù. Ora misuriamo quanto dista da noi “Uno, due............ ecco: 36 passi. Dunque la velocità è di 36 diviso 6, cioè sei passi al secondo. Sono astuto, io!” concluse Ulisse.
“Bene” approvò Achille che immediatamente dopo si tuffò nel fiume, uscendone subito e mettendosi a correre a perdifiato urlando “Raggiungetemi 1000 passi più a valle! A più tardi!”
E dopo alcuni minuti Ulisse e Patroclo, ma anche Parmenide, si spostarono più in basso di mille passi (noi diremmo un chilometro), dove trovarono ad aspettarli nel bel mezzo del fiume, con l'acqua all'altezza della vita, un trionfante Achille.
Quest'ultimo li accolse dicendo: “Io sono conosciuto in tutte le polis come Achille piè veloce, poiché riesco a correre alla velocità di 8 passi al secondo. Quindi per spostarmi dal luogo dove eravamo prima ci ho impiegato 125 secondi, 2 minuti e 5 secondi. L'acqua del fiume, quella dove io mi sono immerso e che è partita verso il basso della valle insieme a me, si muove invece a 6 passi al secondo e quindi è giunta qui poco dopo 166 secondi, quasi due minuti e 47 secondi.
Appena giunto qui mi sono tuffato in mezzo al torrente, e quindi dopo solo una quarantina di secondi sono stato bagnato dallo stesso liquido che mi aveva toccato due minuti e 46 secondi prima.
Eraclito ha torto: NON E' VERO CHE NON CI SI PUO' BAGNARE DUE VOLTE NELLA STESSA ACQUA!”
“Non credo alle mie orecchie!” commentò ammirato Ulisse “Sei riuscito a far diventare la filosofia una scienza sperimentale, a compiere un esperimento che confuta dunque una teoria su base empirica. Passerai alla storia non solo come invincibile guerriero, ma anche come grandissimo filosofo, l'iniziatore dell'empirismo!”
Il commento finale di un felice Parmenide fu, ovviamente: “ L'essere è, il non essere non è”.
E fu proprio così, cari lettori, fu proprio per questi motivi che oggi potete leggere su tutti i libri di storia della filosofia che Achille diede vita a quella corrente (di pensiero, intendo, non certo quella di un fiume) che va sotto il nome di empirismo, secondo cui la conoscenza deriva dall'esperienza, dagli esperimenti, e che vantò poi, nel diciassettesimo secolo, esponenti del calibro di Locke, Berkeley e Hume.
Achille, colui che ha evidenziato l'errore di Eraclito, dimostrando che quest'ultimo aveva torto marcio nel sostenere che non ci si possa bagnare due volte nella stessa acqua.
E che quindi, probabilmente, aveva ragione Parmenide nel dire che l'essere è ed il non essere non è.
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