giovedì 19 aprile 2012

Luisa Martiniello: recensione su "L'azzardo dei confini" di Nazario Pardini


Nazario Pardini:
L’azzardo dei confini, BooK Sprint Ed., 2011

Il testo, ripartito in quattro sezioni, Ombre (40 poesie), Elegie Pisane (32), Dialoghi (3), Canti Larigiani (28), spinge a riflettere sulla capacità di rapportarsi con le più svariate dimensioni del nostro essere: presente-passato, amore- sofferenza, sogno- aspettativa. E’ un susseguirsi di emozioni e sentimenti proposti in un tono apparentemente colloquiale, ma incisivo, ammaliante e coinvolgente per una discreta pensosità inquieta, gli accostamenti ossimorici , le scelte metriche ,le reminiscenze classiche e non.
L’inquietudine dell’essere spinge l’autore a cercare una “fetta di mistero/tra il silenzio degli olivi” e montalianamente “quasi quasi … sembra di carpire/la debolezza del cielo,/l’errore umano commesso dal divino”. Quel silenzio traduce “quanto l’ombre degli uomini/ si allunghino all’umano degli dei”. La bellezza fa tracimare sì che si diventa “tassello di un costrutto/che assorbe il tutto” .L’anima si inebria, ma per poco, perché ritorna presto a bussare la coscienza dell’esistere. Il panta rei eracliteo nel gorgoglio dell’acqua del fiume “non tiene il presente” e  l’assillo delle stagioni è parte del mistero. La speranza è che ogni sogno “si farà /concretezza di luce”  e che sia “L’amore per ciò che Tu hai creato preparazione /all’infinita grandezza della luce”, “Uno squarcio nel cielo / per andare ben oltre”. E questa speranza evidenzia  la scelta del  titolo della raccolta. Alle liriche in cui pressante si denota il  desiderio di luce che si concretizzi si alternano quelle dedicate ai giorni trascorsi e si nota  il rimpianto di parole non dette ,di carezze mancate che rimandano a un passato in cui le “labbra sono serrate come pietre”, a una gioventù che “giocava con gli avanzi della guerra”. Il passato costante bussa al cuore e riporta “la sorpresa di un nido tra i filari”, l’infuso di marina e tamerici, lo zefiro che ha” lisciato i grani dei miei campi”. Pare essere lì ad ascoltare “pigolare i neonati/tra le pagliuzze che inchiodano i miei sguardi”. S’incanta il lettore, portato per mano, tra i rami  che “schiudono spazi” , “ l’afrore di vendemmie” , “il brulichio di fascine arse alle vigne”. Al “da mi basia mille” di Catullo  l’autore contrappone “parole” per “vincere il mondo e la vita”,” “la solita attenzione nel porgere le cose” per restare “prigioniero sempre più del tuo respiro”. Un che di panico si coglie nel desiderio che i capelli si trasformino in “distese di grani che s’increspano /al respiro di giugno” per non perire, ma “verdeggiare di nuovo sugli alberi”.
 Le foglie di Mimnermo qui acquistano un colore e valore oltre; sono foglie “arrugginite” in un “autunno malaticcio e mortale” e una in particolare giace “secca sul viale/che tiene ancora in seno /il calpestio leggero del tuo piede” sì che i rami “quasi spogli sono della vita”. In un’altra lirica : “Il pianto dell’autunno /sulle sue foglie matide /è come melodia di un cielo muto/ nella mia anima zuppa d’autunno. ” In un frammento rappresentano:“ spersi a terra/ i sogni verdi/ della primavera”.
 L’autunno ,i tramonti come novembre sono indizio di ciò che volge al termine: “Andiamo incontro a quei tramonti/che gridano la sorte”.” Mi vedo stagione /che lascia alla corrente /l’ultimo verde delle sue memorie”. Se da un canto la Natura spinge il Nostro pensosamente ad affermare : “quanto è  eguale /alla mia solitudine il tuo abbandono” dall’altro prorompente la natura-vita, di contro al volto del mese dei morti da “ trista gramaglia”, si perpetua ben “oltre l’oscuro di una terra nera” e “contraddice la morte con lo sforzo/del caco che si ammanta di Natale”. La sua magia si esplicita nei paesaggi del cuore  come quello terso di Marina di Pisa : “si rispecchia /in fondo al mare l’iride del cielo”. Lo stesso mare è “clessidra della vita”.
 La memoria diventa amica, perché permette di “cancellare solitudini” .Una serie di assenze costellano la vita: il fratello -“ora l’amo/come si amano gli assenti”, Delia -“nascosta tra le rughe del cuore”, “Facciamo d’ogni tempo primavera”, Laura- “l’immagine immutabile di un tempo”, il padre -“mio padre mi avvicinava alla vita dei campi”, “la tua immagine è sul marmo/consunto dai tramonti”, la madre -“lesta alle brine mattutine” .Le assenze sono in parte colmate dal ricordo di  gesti  che annullano il tempo e lo spazio e rimandano a un dove il cielo mascheri “ il senso della notte”.
Resta un privilegio “avvicinarsi il più possibile/a ciò ch’è inarrivabile”. Lo stesso Ulisse  rifiutò “spazi divini/per ambire al mistero di un mortale” e la  grandezza  di Pardini come di Ulisse risiede nel “bramare”, con una serenità che sconcerta, “un’immensità che ti rapina”.



                                                                                      Luisa Martiniello

Nessun commento:

Posta un commento