L’operazione
i. Odissea Notturna
Un corpo
un numero un nome.
Qui non
ci sono fiori.
Non ci
sono ombrelli, cappotti rossi, bambini.
È un
mondo muto, puro come il sale.
Spengono
le luci.
I malati
scendono nel ventre delle sotterranee.
Hanno mani
bianche, orecchie di carta velina.
Trascinano
lentamente i corpi ricuciti.
Sono
fantasmi sotto le luci candide dei corridoi.
Osservano
muti le file di cuori sotto spirito,
la
solitudine dei feti nei vasi di cristallo.
Questa è
una prigione di donne,
un
gineceo di lamenti e corpi sterili.
Le
vecchie rantolano nei loro astucci bianchi,
si
agitano come bambine nei vicoli dei sogni.
Qualcuno
russa. Muove nel buio la lingua di
cenere.
Sento
l’aprirsi e il chiudersi,
l’aprirsi
e il chiudersi
faticoso
dei polmoni.
Una
donna grida.
Gli
angeli della morfina hanno calze nere,
mani
preziose.
Le
portano in dono poche gocce d’amore.
L’ago
entra nel braccio come una fiaba
e la
donna si scioglie, è di zucchero.
La testa
ricade soffice come una pesca.
Dormono
le donne magre, gli anemici,
gli
esseri soli della terra.
Dormono
i senza figli, i senza corpo,
i corpi
di cera infilati nei pigiami.
Giù nel
cortile i topi divorano foglie di cavolo,
garze,
croste di pane.
Le loro
code guizzano dentro ai cassonetti.
Vegliano
i portieri di notte,
gli
occhi di scimmia dietro le tende a fiori.
E
vegliano le bocche sigillate degli insonni,
i cuori
inamidati delle infermiere.
ii. Il taglio
I
chirurghi si infilano i guanti con gesti sacerdotali.
Sul
tavolo splendono bulloni, spade di samurai,
femori
di ferro, le protesi dei seni.
Lasciamo
nei loro catini organi vivi,
gerani
di sangue,
piccoli
pezzi della nostra mortalità.
Il mio
corpo attende sull’altare di pietra.
Ora lo spirito
uscirà dalla bocca,
aspetterà
per cinque ore al mio fianco.
Questi
uomini scenderanno come minatori
nelle
caverne del mio ventre:
una luce
sulla fronte, le mani insanguinate.
L’orologio
segna le nove e quaranta.
La
cannula allarga le vene dei polsi.
Mi
doneranno un sonno che è un’ala di ape,
qualcosa
di silenzioso e morbido come la morte.
Cinque
ore di viaggio di là dal fiume.
Cinque
ore di sonno con un cuore di sasso.
Così,
dunque, è morire:
l’ossigeno
rarefatto nel cervello,
una seta
che si allarga nei polmoni.
Senza
pupille
il
sangue immobile.
La lunga
antenna si avvicina,
vibra
nell’aria come un pistillo.
Il suo
occhio entrerà la mia carne,
illuminerà
il rossovivo dell’aorta.
Il lungo
dito d’acciaio penetra la foresta di muscoli,
brilla fra
il luccichio delle arterie.
È una
lingua che scava nell’archeologia della carne,
una
lingua che lecca, che mi taglia e mi ricuce.
Ricama
punti perfetti nel buio.
iii. La riva dei sopravvissuti
Hanno
richiuso i petali di carne,
fermato
la fontana del mio sangue.
Hanno
nascosto sotto un tappeto pezzi d’osso,
nervi,
le mie radici contorte.
Stesa
nel bianco.
Bambina
senza memoria.
Occhi
aperti
vuota
come un cielo d’inverno.
Accesa
sul letto:
un fuoco
di ginestre,
una luce
senza interruttore,
sempre
accesa.
Il corpo
ha la rigidità di un soldato.
Mi
guardo da quest’angolo in penombra,
da sopra
il soffitto, da molto, molto lontano.
Sospesa
nell’aria, al limite.
Fine del
mondo.
Un
astronauta, un embrione senza polmoni,
il palombaro
che avanza sul fondo del mare.
Cammino
nell’acqua.
Respiro
la luce,
la
splendida leggerezza di un filo di ossigeno.
Dalla
ferita trasuda una palude di acqua, linfa, plasma.
Il
gocciolio esce dal tubo conficcato nel mio fianco.
Sono un
cristo-femmina.
Sono
Lazzaro disteso nel sudario immacolato.
Fuori
dalla finestra è mattino,
il primo
sole avanza nel suo singhiozzo bianco.
La neve
copre i tetti delle fabbriche,
soffia
sui rami spogli di una betulla.
Il giorno si apre nel cielo
come un frutto invernale.
(Homerton Hospital,
Londra, febbraio 2007)
Poesie
tratta da: “La Regina
di Ica”, Edizioni Il Ponte del Sale, in uscita autunno 2012
Daniela Raimondi vive in Inghilterra dove si è laureata in Lingue e Letterarature Moderne e ha conseguito un Master in letteratura ispano-americana presso l’Università di Londra. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti a concorsi letterari nazionali sia per la poesia che per la narrativa. Suoi testi sono stati tradotti e pubblicati in ungherese e sono usciti in versione inglese nelle riviste Gradiva (New York) e Fire (Inghilterra). Sono in programmazione il volume antologico di poesie in edizione bilingue presso le Edizioni Gradiva di New York, e il libro di poesie:
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