TERRA
MADRE
Il
tuo gesto, lontano,
profondo
mi scava nel cuore
un
abisso che racchiude memorie
e
silenzi di sere
ed
urli di gabbiani all’imbrunire,
quando
i colori perdono l’anima.
Ma
a Larino i silenzi
sono
diversi -sono solitari-
non
hanno sapore di sale,
hanno
il sapore della terra madre,
del
sole e dell’erba bruciata
e
delle strade della storia,
di
macerie nascoste e di ruderi
antichi,
sotto lo sguardo di stelle
dove
si perdono i nostri pensieri.
Non
dirmi che la notte è vicina
se
batte l’ora dell’attesa,
se
il tempo è più scosceso
del
buio che sull’anima dirupa.
Si
sposta il filo di orizzonte,
l’assicella
dell’ostacolo:
raccogliere
memorie di una vita
e
poi volare in alto,
-morire,
forse, ancora, nella luce-
quando
nel volo dei gabbiani
si
legge il sogno e la dolcezza
-come
di aruspice il presagio-
lontano,
più lontano
come
nel vento l’aquilone.
(inedita
da La luce)
SCENDE LA SERA
Ho
raccontato favole antiche
alle
mie tenere solitudini
per
vivere ancora il tempo rimasto,
ma
nel cuore si è fatto
il
gelo lungo di un inverno.
Ora
c’è un sole di tramonto
o
d’alba ancora oscura
-un
occhio che mi guarda
da
un quadro semiastratto alla parete-
e
sogna attese sconfinate
senza
più spazio e tempo umani.
Ho
percorso le strade
più
impervie, sassose e tormentate
senza
di un’Itaca dove approdare.
Sono
salito per ripide scale
dove
spesso un piolo mancava
e
sentivo per strano sortilegio
la
primavera venir meno
-incompiuta
crisalide essiccata
a
un sole moribondo-
e
scoscesa la strada del ritorno
come
il tempo dei giorni
della
vita da cui ancora aspetti
un
compimento, il giunger di un evento,
un
essere farfalla,
un
volo di gabbiano sul tuo mare.
Ed
ora feroce scende la sera.
(inedita
da La luce)
AIRONE
Più non abbiamo gli spazi stellari
né
infiniti respiri
della
terra prima dell’abbandono,
ma
albe di sogni smarriti.
Abbiamo
rose di pietra consunta
e
memorie in frantumi.
Ascolta il buio della notte,
la
tempesta infinita del tuo canto,
i
limiti della tua disperata
attesa
del giorno dell’ira.
E quando nel silenzio
avrai
consumato la tua ultima
solitudine
e l’urlo
del
vento accompagnerà la cetra
per
un canto d’amore
e
sarai stanca di lune e di ombre
-nel
vento inseguirai
immagini
solo a te visibili-
io
sarò erba di luce
e
dolore d’anima
per
le amare assenze,
per
il mondo buio contaminato
dalla
stolida insipienza dell’uomo.
Sarò
vento errante di tramonto.
Per
esodo inesorabile
sarò
volo di airone sconosciuto.
(inedita da La luce)
Nota biografica
Umberto Cerio è
nato a Larino, dove vive ed opera. Ha compiuto gli studi medi al Liceo classico
di Larino. Laureato in Filosofia, ha insegnato Materie letterarie e Latino nei
Licei. La sua apertura ai problemi contemporanei ed il suo impegno nel sociale,
iniziata nei primi anni dell’adolescenza, ancora vivi, segnano tuttora le sue
opere. Scrittore di formazione classico-umanistica, si distingue per la
limpidezza espressiva del suo stile e per il vigore dei contenuti poetici. Spesso
usa il mito con cui cerca di cogliere l’universalità dell’uomo nello svolgersi
della storia. Di lui Raffaele Di Virgilio ha scritto: “ Leopardianamente,
e in misura maggiore che in Leopardi, la materia poetica in Cerio è fatta di
miti, da intendere (al pari degli Idilli) come situazioni,
affezioni, avventure storiche del suo animo”.
E Massimo Pamio, nelle sue note a Dialogoi, lo
definisce “ avvertito cantore della crisi e del dramma della civiltà
occidentale”.
Così, Neuro Bonifazi nell’introduzione a “ Solitudini”: “Sembra proprio che Umberto Cerio sia
ritornato alle radici stesse della solitudine dell’uomo, e abbia tentato
seriamente, con la forza incalzante e
fascinosa della sua poesia, e sull’eco dotta delle sue letture degli antichi greci, da Sofocle ad Euripide, di
far rivivere non solo i grandi miti dell’antichità come il luogo perduto dall’uomo, ma abbia così tanto
amato quelle ritrovate “dolci solitudini antiche”e quegli eroi e quei poeti
orfici, da riuscire a sentirli, le une e gli altri, dentro la sua fantasia e
nel suo animo come presenti, come
portati dall’onda del mare meridionale.”
E Nazario Pardini, in occasione del XXXI premio nazionale
Il Portone ha scritto – per la giuria – riguardo a Solitudini …. “ con grande
maestria di simbiotica fusione tra versificazione e contenuti, costruisce dei
veri poemetti che spaziano dall’umano al mitologico, facendo di quest’ultimo una vera attualizzazione di
supporto esistenziale ….Proprio in Itaca si attua la magica esplosione della parola fattasi poesia”.
Ha pubblicato nove libri di poesia: Metamorfosi
(1971), Arcipelago (2002), Dialogoi (2004),
Oltre il mare
(2005), Il gabbiano bianco (2006), Il mio exodus (2006), Solitudini (2009), Diario del prima (2011), il poemetto Terra (2007). Ha curato l’edizione scolastica di Epistolario
collettivo di Gian Luigi Piccioli (2003). Ha in preparazione Il poeta non muore e La luce. Ha al suo attivo numerosi e
importanti premi e vari riconoscimenti in concorsi nazionali ed internazionali.
È presente in parecchie antologie letterarie, in saggi critici , in Storia della Letteratura italiana, Milano, Miano (2009), in Letteratura italiana
contemporanea, Arezzo, Helicon (2011), in
Poeti italiani scelti di livello europeo , Milano, Miano (2012).
e. mail : mythos@umbertocerio.com
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