mercoledì 10 aprile 2013

N. PARDINI SU: STEFANO MASSETANI: "FIORI DI VETRO"






Stefano Massetani: Fiore di vetro. Giovane Holden Edizioni. Massarosa (Lu). 2012. Pp. 72




Una plaquette, questa di Stefano Massetani, intensa ed emotivamente coinvolgente. Un vero canzoniere d’amore; e si sa quanto l’amore abbia pesato nel corso della nostra storia letteraria: da Lesbia, a Delia, a Lidia, a Beatrice, a Laura, a Fiammetta, a Silvia…; quanti i nomi che dovremmo citare per scrivere di storie affascinanti ed uniche. E, d’altronde, è proprio questo sentimento la causa scatenante di ogni rivoluzione interiore. E dico dell’odio, dell’amicizia, del taedium vitae, dello spleen, della gioia, della malinconia, della vendetta… Sì!, il pane di ogni espressione artistica:  di una romanza, di un dipinto, di una confessione, insomma, che si possa fare universale, tanta è la contaminazione oggettiva, la sua influenza sulla pluralità dei fruitori. Ed è proprio questo sentimento a procurare gli sconvolgimenti interiori più eclatanti, e quindi a produrre le occasioni più fertili per il mondo dell’arte. E che cosa è questa poesia se non che rovesciare sul foglio tutto di noi stessi, con le nostre perplessità, coi nostri dubbi, con le nostre incertezze; che cosa se non confessare queste emozioni che, magari, decantate nell’animo, si ripresentano avvolte da una dolce e piacevole malinconia, intenzionate a ritornare a vivere. A farsi vita nuova con l’apporto di una parola che, vigile ed attenta, si snoda, si scompone, si adatta e si supera, anche, in un travaglio di ricerca, per dare voce a quei corpi. E si sa che la parola difficilmente è sufficiente a coprire gli immensi spazi del sentire. Ed è per questo che il Nostro non disdegna azzardi fonico-linguistici - pur in un campo semantico caratterizzato da un fluire semplice ed arrivante – azzardi figurativi che sforzano la loro apertura cognitiva per seguire i grandi input emotivi. Un vero canzoniere d’amore, quindi, dove l’autore segue una linea introspettiva personalissima, che determina, alfine, l’autenticità e la compattezza dell’opera. Si tuffa in se stesso il Nostro e, attraverso un’analisi psicologica puntuale e continua, smonta i suoi stati d’animo, per rassemblarli poi in una visione amara e struggente; per giungere ad una conclusione melanconica, quasi distruttiva, anche se mai nichilista. Perché è l’amore per la vita che emerge, alfine, da queste pagine; sì!, l’amore per la sua sacralità. Questo grande dono che ci è stato dato, e per il quale possiamo godere, soffrire, patire, e gioire per il fatto di esistere. E il Nostro è cosciente di questa sua esistenza e porta alle estreme conseguenze la sua riflessione su questo forte sentimento. Ama, ama fortemente; e ama a tal punto da credere che nessun altro amore potrà ricompensare, o ripagare il suo stato d’animo. L’unicità del sentire portata avanti con un’analisi psicologica sconcertante per la sua costruzione emotiva. Tassello dopo tassello. Momento dopo momento. Tutto finalizzato ad un pensiero portante. Non può essere eguagliato il suo sentire. E questa forte percezione non è forse valorizzazione del vivere? non è forse convinzione di questa irripetibile unicità? E’ questo crogiolo di emozioni che dà ragione alla vita. E il poeta, cosciente della sua precarietà, della sua inconsistenza, cosciente del fatto che tutto scorre velocemente, vorrebbe che questa superlativa prova esistenziale si facesse eterna, potesse andare oltre il tempo. E per questo ricorre spesso al ricordo. Quel ricordo, che, come alcova contro le delusioni o i rammarichi del vivere, è lì che attende per offrirsi come rifugio e continuità, anche, della vita stessa:  

“Quando la luce del nostro sole volgerà al tramonto,
e l’ombra si farà forte. Uccidendo i colori del mondo,
io ci sarò.
(…)
Ti sussurrerò, con un filo di voce,
tutto ciò che la memoria avrà custodito,
(…)
Forse qualche lacrima bagnerà il ricordo
di momenti ormai lontani nel tempo,
mi basterà la speranza di un solo tuo sorriso,
ed io ci sarò” (pp. 15).

Sì!, la speranza di un sorriso. E’ questo che conta  per l’autore, che, con la sua presenza, domina il percorso di questa avventura che è la vita; perché è il suo mondo, la concezione dell’amore a dominare; è questa presenza che avvolge ogni pagina, ogni sintagma, di questo poema erotico-sentimentale, quasi da Dolce Stil Nuovo per la spiritualità con cui è condotto. Ma certamente nuovo per l’attualizzazione degli intenti emozionali che, tradotti in versi ora ipermetrici, ora addirittura binari, riflettono, con malizia, una metrica novativa e strettamente legata, in maniera originale, alle oscillazioni dei battiti cardiaci. Ed è in questo dominio che l’autore cerca di dare vita a quello che non è più; forse, proprio perché, vuole vincere il gioco sottrattivo del tempo.

“Ma che importa quanto l’ultimo abbraccio dura,
se lega il suo ricordo ad ogni accendersi di stelle” (pp. 17).      

Ma il ricordo può essere un’arma a doppio taglio: da una parte gioca a favore in questo repêchage di emozioni che tornano impetuose ad esistere; dall’altra ci dà un segnale esatto, una percezione avvilente di quanto sottile sia l’ambito del nostro esserci. Del nostro avvinghiarci inutilmente alla statura immensamente abnorme di un’età che sfugge inesorabilmente. Di una stagione che macina i giorni e che si annulla amaramente come rena che scivola fra le dita:

“Mi immergo nel mare dei ricordi,
quasi fossi un calmo lago senza sponde,
e mentre ancor mi bagnan l’onde,
taccio,
come naufrago adagiato sulla spiaggia,
con le mani setaccio la sabbia della vita,
cercando invano d’imprigionarla tra le dita” (pp. 47).

Ma anche se la tristezza sembra sia un sottofondo musicale che accompagna sinuosamente le pagine di questo poema d’amore e di vita, alla fine, è un guizzo di speranza che irrompe dal tessuto musicalmente affabulante del testo: “Voglio innamorarmi ancora”. E anche se quel “Fiore di vetro” ci dà una chiara percezione di quanto siano fragili l’essere e l’esistere con tutti i loro rimandi, alla fine, è questa impennata positiva a portare luce al dipanarsi del male di esistere:

“Voglio innamorarmi ancora,
per ripercorrere, lentamente a piedi,
la strada che ci ha conosciuto,
soffermandomi di tanto in tanto,
seduto da un lato su di una pietra,
ad aspettarti,
mentre respiro l’odore della polvere,
che lenta ed inesorabile si posa su di me,
lasciando tracce visibili che
ancora una volta non saprò cancellare” (pp. 56).

E non è detto che quella “polvere” non sia la substantia di una storia che, in definitiva, l’autore consegna alla poesia per farne un messaggio da sottrarre al logorio delle stagioni.

Nazario Pardini                                              09/04/2013

1 commento:

  1. Complimenti, molto sensibile ed anche il titolo da l'idea della fragilità oltre che la bellezza. Ottimo. Grazie.

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