venerdì 19 aprile 2013

N. PARDINI: FRA MITO E POESIA


     (Nel regno delle Eumenidi)

 

Avvenne proprio là. Nel punto in cui

scorre il diletto fiume, verdeggiante

nelle acque che rispecchiano le acacie

rigonfie e le betulle; quasi al termine

del suo fluire dove l’onda stenta

respinta dal libeccio; sulla sponda               

rivolta alla marina, ormai matura,

mi apparvero dal volto minaccioso

tre fanciulle severe. Svolazzavano

sopra le loro forme le ampie vesti

sanguigne che cangiavano ora in nero

ora in bianco.  Furiose e pien di sdegno

con un unico suono a me si volsero            

stridente ed infernale: “Erinni siamo

o, se ti aggrada, Nemesie; lo vedi

dall’abito di pece del momento.

Ci fu madre la notte e genitore

Acheronte che in animo portiamo

rigonfio di uccisione e di indicibile

rancore. Se placate, diventiamo                  

l’eburnee Eumenidi. Guardaci bene!

Restiamo sopra te sospese in aria

con le materne ali. E ci vantiamo

che serpi attorcigliate sopra il capo

rimpiazzino i bei crini. Illuminati

da fiaccole splendenti

ancor di più risaltano d’orrore.

Così disse di noi il grande poeta

vestendo i versi d’abito infernale:

 

 

- (…) in un punto vidi dritte ratto

tre furie infernal di sangue tinte

che membra femminine avieno ed atto;

e con idre verdissime eran cinte;

serpentelli e ceraste avian per crine,

onde le fiere tempie erano avvinte.

(...)

Con l’unghie si fendea ciascuna il petto,

battiensi a palme e gridavan sì alto

ch’io mi strinsi al poeta per sospetto. – (1)

 

E nell’Edipo l’altro dei tuoi pressi:

 

- Dietro all’orme funeste

vengon l’insidie e l’ire,

pugne, ruine, incendi;

voi mille aspetti avete e tutti orrendi

(...)

A voi diletta

di chi delira il canto,

e su pallide labbra inno di pianto:

raccor vi piace in atri vasi il sangue

di chi ferito langue,

svegliar subiti affetti

negli attoniti petti;

(...)

Le negre ali spiegate, e la seguace

ira dei serpi eterni

preme il timido tergo

e trema il cor sotto l’infido usbergo. – (2)

 

E il coro a rintuzzar l’atro terrore

 

- Odi lo strepito

del ferreo piede,

gli atroci sibili

del serpe eterno –. (3)

 

E avanti a loro scrisse di tristezza

chi tra i primi varcò i regni supremi:

 

- Cui son l’ire, gli inganni, i tradimenti,

le guerre, le discordie, le rovine,

ogni empio officio, ogni mal’opra a core:

e tale un mostro in tanti e così fieri

sembianti si tramuta, e de’ serpenti

sì tetra copia gli germoglia intorno;

che Pluto e le tartaree sorelle

sue stesse in odio ed in fastidio l’hanno. – (4)

 

Gli dei ci destinarono al castigo

degli uomini in vita coi flagelli

della celeste collera. A turbare

i loro sonni. Li perseguitiamo

con paurosi rimorsi e dilanianti

visioni. Perché soffrano di già

del tartaro gli eterni patimenti.

A noi, temute, omaggi singolari

furono offerti e tanto fu pauroso

il rispetto che nessuno si arrischiava            

a nominarci o a porgere lo sguardo

ai nostri templi. Solo sia d’esempio

d’Oreste il gesto. Alzò in fondo all’Arcadia

un’ara per cercare di placare

i nostri tetri intenti. Di narcisi

e zafferano incoronò le nostre

statue; di frutta le cosparse e miele;

una pecora nera ci immolò

e consumò il suo corpo sopra un rogo

di cipresso, ginepro e biancospino.

Fu allora che commosse dai rimorsi

gli comparimmo con le vesti bianche.

Ci eresse un nuovo altare. Incoronò

noi Eumenidi di olivo e in sacrificio

due tortorelle ed una libagione

d’acqua di fonte in vasi con i manici

fasciati in pelle ovina. Proprio là

pretendevano i ministri il sacro vero”.

 

Intanto il sole deponeva in fondo

all’orizzonte i tiepidi languori            

di sopore serale. Sopra il chiaro,

nel punto in cui il mio fiume ormai si annulla

nell’insaziabile gorgo dei pelaghi,

giacevano rosate d’occidente

animelle e poiane. Dalle sghembe

forcelle dei pinastri lacrimava

il pianto delle scorze ricamate

dei queruli richiami dei colimbi.

 

Sembrava l’astro, nella sua metà

roventata di luce porporina,

volesse richiamare l’attenzione

delle ferali Erinni. Dai loro

occhi sanguinolenti trasparivano

tutti i martìri umani: di Megène

l’insaziabile invidia; il desiderio

più sfrenato di morte, di vendetta,

di uccisione da quelli di Tesifone;

mentre Aletto traspariva tutte quante

le nostre altre mestizie: solitudine,

spleen, tradimenti, indicibili affanni

dei poveri mortali. Mi sembrava

di essere il solo umano sulla terra

ad espiare i rimorsi. Mi rinchiusi

in un terrore infernale; era un sogno,

certo! oppure vivevo le invenzioni

che avevo immaginate più volte ai

limiti estremi della fantasia.

Si trasformava forse il quotidiano

in onirico irreale

e realtà in sua vece si faceva

l’universo pensato nei miei sogni?               

Ma in quel momento vidi farsi  verdi

i loro occhi profondi. Come il mare

nell’imo più lontano o come i bronzi

sottratti dopo secoli ai fondali

vidi farsi i loro occhi. Sulle teste                  

divennero le serpi rami fini

di fulve fioriture e poi capelli

fluenti come i grani dei declivi.

Le braccia glauche come i fondi cieli

opposti ad occidente. I seni ansiosi

si fecero rosati come dita                                     

di un ultimo barlume trasparente

sulle sete nivali. Mi rapirono

le femmine vogliose e sensuali,

benevole oramai. Respiravo

tra i loro afflati e i crini di lavanda

l’aria del maestrale. Mi svanivo

gradatamente nei riflessi pallidi

dell’ultimo settembre. Quale pace               

nel lieto regno! Essenza di trasvoli

di suoni, di silenzi, di dolcezze,

di estremi amori il regno delle Eumenidi.










 
 
Nazario Pardini 

___________________________________________________________-

 

(1)                 Dante, Inferno, Canto IX, VV, 37

(2)                 Niccolini da l’Edipo

(3)                 Niccolini dal coro di Edipo

(4)                 Virgilio, Eneide, lib. VII

 

 


 

 

 

 

6 commenti:


  1. Testi tratti dal libro: ALLA VOLTA DI LEUCADE...questo Pardini "classico" e' sicuramente il piu' mitico e, per me, il piu' complesso. Questo Pardini immerso nella profondita'"leucadiana" usa un simbolismo della forma mitologica che si manifesta in specifiche immagini psichiche e si narra nell'anima (quindi un linguaggio che non puo' essere distorto dalla sovrapposizione di un linguaggio concettuale). Questo Pardini del mito usa gli universali dell'immaginazione e degli archetipi!!! Quindi cosa dire di piu'.....posso solo intuire queste forme e seguire, come posso, il suo viaggio.
    Ogni tanto fugge dalla mitologica Leucade e fa qualche giretto al lago, nelle campagne e sulle montagne della Lunigiana, va a fare la spesa con l'ipad, ascolta la musica, anche quella pop, frequenta convegni e premi mondani, e poi......viaaaaaa ritorna nei suoi luoghi cari al tempio di Leucade.

    Miriam Binda

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    1. Carissimo poeta Nazario Pardini, in questa esigenza di fondazione e di enunciazione si raccoglie la tua poesia che nel mito riverbera sovrana! Grazie per aver accolto, nel tuo blog, anche le mie parole. Miriam

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  2. Lavoro intenso, metrica-suono di gande fascino, mito rilucidato da un sentire moderno, gusto di un classico che rapisce, memoria di figure di forme in equilbrio, poesia che induce a tanti ripensamenti su un modernismo assente di quel canto armonico che ebbe già il poema al suo nascere.

    Complimenti

    Arturo Messina

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  3. In questa classica composizione, il mito appare nella sua essenza eterna (eterna, per cui sempre attuale), al di là delle contingenze geografico-storiche che sembrerebbero legarlo a tempi e a luoghi del passato. In realtà, non c'è nulla di più presente del mito: quello sorgivo ed autentico, non quello favolistico e ripetitivo. Lo comprovano queste Erinni, giustiziere terrifiche, capaci di trasformarsi in dolcissime Eumenidi non appena l'uomo riesca ad evocare e a comprendere la gentile sete di giustizia e d'amore da cui sono animate. Dedico all'amico Nazario questi versi, tratti dalla poesia che s'intitola "L'ombra", dal mio "Ver sacrum": "I mostri che si svegliano nell'ombra / con ghigni rabbiosi ed ululati / e stridore sinistro di catene / sono angeli ribelli all'oblio, / bambini imbavagliati e allontanati / che vorrebbero giocare con noi".

    Franco Campegiani

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  4. Grazie a tutti i miei carissimi amici per i loro interventi carichi di riferimenti storico-filosofici, poetici ed umani.
    Belli e ad hoc i tuoi versi Franco. Versi che io conosco in tutta la loro plenitudine. E tu Miriam, che dire. Sempre presente a riflettere magistralmente sulla mia poesia. Sei grande per cultura e sensibilità. E grazie anche al sign. Messina.

    Nazario

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  5. Se per i greci il dolore appartiene all'ordine della natura nel regno delle Eumenidi /si placano i nostri neri intenti/per me è una poesia da coltivare e riprendere con i nostri classici del passato che non sono mai trapassati, e tantomeno fuori moda.

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