venerdì 1 novembre 2013

N. DI STEFANO BUSA': "SULLA TRASCENDENZA"


SULLA TRASCENDENZA

di Ninnj Di Stefano Busà




Posta in essere la teoria di Darwin, secondo la quale la nascita e la creazione della materia molecolare, avvenuta miliardi di milioni di anni fa, sia determinata dal caso, senza alcuna volontà o preordinamento preciso, giuridico, sperimentale di chicchessia, senza finalità, né ordine: questa tesi mi può trovare orientativamente d'accordo, pure se discutibile dal lato umano e nella fattispecie, all'interno di uno sviluppo di cellule, che sono giunte a dare il frutto evoluto chiamato uomo. La progressiva evoluzione, dicevo, che ha visto espandersi in maniera esponenziale la moltiplicazione delle cellule da quel primo "bang" che ha originato la vita, dando il via a fenomeni di pura crescita della materia può essere un fenomeno acclarato da studi scientifici, teorie e sperimentazioni biologiche della specie. Meno mi convince che la nostra vita sia il classico "bingo", ovvero, un fattore di fortuiti numeri vincenti.
Desidero allora, supportare qui la mia modestissima opinione personale che non voglio sopravvalutare, nè proporre come tesi, ma solo come occhiuta e personale formulazione di dati logici, che quanto meno possono apparire impropri alle menti nitide e chiare degli scienziati.
Se, l'uomo miliardi di milioni di anni fa, generato dal caso, dalla simbiosi della materia primordiale che si scompose in miliardi di cellule, ha dovuto essere un caso davvero unico e irripetibile...Le stesse cellule si moltiplicarono sulla crosta terrestre con una concatenazione molecolare prodigiosa.
MA COME LA METTIAMO CON L'ANIMA? che pure possediamo e che ci appare palpabile, vivibile, intrinseca alla nostra natura di umani, quasi come la stessa materia, insieme al corpo che la contiene? E ancora, dal momento che noi siamo fatti di materia e di spirito, di anima e corpo, come si pone la questione di quest'anima solitaria, che abita dentro di noi senza essere vista, o vagola nel limbo senza abbinarsi completamente a noi, senza completarci, né integrarsi con la massa corporea del nostro organismo biologico? L'abbiamo ricevuta per infusione? È nata insieme alla cellula prima? o è sopravvenuta negli stadi superiori dello sviluppo e della emancipazione dell'uomo dagli stati bassi della creazione?
Se tutto molecolarmente è derivato dal Caos, nello stesso momento è stata creata anche l'anima? in poche parole l'anima è nata con la materia e ne ha ereditato essa stessa le sue condizioni primordiali?
L'anima è la parte che riteniamo inscindibile dal nostro essere, quindi come si pone la sua presenza entro l'ambito della materia? e rispetto a chi? come e perché noi ci sentiamo possessori di molecole spirituali?
Essendo poi quest'anima insufflata nel corpo, poiché si ritiene essa sia la perfezione subliminale dell'individuo in quanto tale, è credibile un tale binomio?
La domanda che nasce spontanea è: se è stata generata dentro la materia, anch'essa per uno status fortuito molecolare o vi fosse stata inclusa dopo per Autorità, per volontà e decisione di un Ente Metafisico che l'ha posta in essere. E ancora, ammesso che la materia primordiale, il nucleo-primo essenziale da cui è sorto per pura combinazione l'atomo e dunque la vita, non avesse in sé già il frutto di una mente che guida ogni cosa, sia essa fortuita, voluta o combinata, selezionata a finalità sue proprie. L'alternativa che si pone è credere fatalmente ad un unico episodio di combinazioni vincenti? o derimere l'anima, lo spirito dal caso in questione.
Ma pur riducendo la "vita" ad un fattore di laica e scettica elaborazione di dati, c'è da tener presente che la stessa energia ha lavorato nei secoli bulinando alla perfezione tutti quei congegni atti a far crescere, sviluppare il prodotto della casualità.
Ha continuato il suo ciclo vitale con la più avveduta strategia di crescita della specie umana, dando il via ad un perfezionamento sempre più perfettibile, (scusatemi il bisticcio) della specie, assumendo le peculiarità precise, dettagliate e programmatiche di un vero , quasi un progetto, la cui portata è strabiliante.
Pur negando il contributo metafisico alla sortita del genere umano, resta da stabilire perché la materia così primordiale, rozza, enucleata nell'ordine dell'imperfetto futuribile della materia monocellulare, diventa, in crescendo, incredibilmente vasto come progetto e così ben congegnato da dover somigliare a qualche Divinità, tale da essere posta sugli altari e osannata per il dono così fallibile, quanto strabiliante, pur senza finalità né credito di perfezionismo.
L'ANIMA come fonte di energia è anche la migliore, rispetto alla materia, perché risulta la più grande risorsa e il superamento del materialismo infimo dell'atomo (il corpo) che la detiene, ne irrora i vestiboli polmonari, illumina quello che ci è dato dalle cellule germinali.
Del corpo abbiamo percezioni precise: nervi, tessuti, tendini, sistema ghiandolare, linfatico, ormonale, riproduttivo; abbiamo ereditato carne e sangue dal groviglio di atomi, ci siamo evoluti. Ma perché non riusciamo ad afferrare l'anima, perché sentiamo che essa ci sfugge? Eppure ce ne dà segnali in infiniti modi. L'origine dell'essere s'impone al nostro microcosmo estremamente fragile, ma viva, palpitante, abbiamo la percezione di esser(ci) anche con l'anima, ma contrariamente alla materia (corpo) non riusciamo a raggiungerla, a consolidarla, a spiegarla, né a superare le barriere che ci angustiano e ci legano alla materia. Se è vero che l'origine dell'essere viene dal basso, ovvero dai bassifondi di un'accoppiata vincente di atomi, come fa la spiritualità ad appartenerci senza essere stata sfiorata dal Caos della prima ora? Se è spirito e tende verticalmente all'alto, come fa a convivere con il nucleo materico piuttosto evoluto della specie? E se anche fosse stata anch'essa abbinata nell'atto stesso del primordiale "bang" cosmico, come ha fatto a seguire uno sviluppo sempre in crescendo, se le due cose (anima e corpo) sono nettamente in contrapposizione?
Qui potrebbe entrare timidamente la mia piccola ipotesi: l'inconciliabilità dei due poli opposti rappresenterebbero in pieno la irriducibile, incontenibile, irrevocabile controversione, la temibile scontentezza dell'uomo, la sua disarmonica natura, non dovuta al fato, ma al Trascendente, in funzione e per colpa della sua irrisolvibile difficoltà delle due nature categoriali a convivere. Da qui l'eterna diatriba degli scettici che non credono e dei credenti che ne danno giustificazione  in  una  Categoria  Superiore  che
tutto trascende. 


 Ninnj Di Stefano Busà

2 commenti:

  1. Ritengo che l’interrogativo posto dalla Busà riesca innanzitutto a ristabilire un equilibrio perduto: quello della natura bipolare dell’essere umano (ma io direi, meglio, di ogni creatura vivente). Questa bipolarità, che a me piace definire “gianica”, ma che ovviamente si può definire con qualsiasi altro termine, genera indubbiamente inquietudine, ma è anche la fonte di ogni equilibrio, se equilibrio è bilanciamento di pesi contrastanti. Purtroppo, il raziocinio umano non ce la fa a sostenere l’inquietudine derivante da questo contrasto, misteriosamente armonioso, e mira spesso ad elidere uno dei due pesi contrastanti. Una resezione di comodo, squilibratissima, che tende a ridurre il campo della realtà: o esclusivamente alla materia o esclusivamente allo spirito. Non è possibile, a parer mio, continuare con questa immatura ed ottusa presunzione. Il dubbio e la fede ci appartengono entrambi. L’uno si ciba dell’altro, in uno scambio vicendevole. Ci vuole una grande fede per poter dubitare e ci vuole una forte capacità critica per poter crescere nella fede. Ovviamente, il dubbio e la fede di cui sto parlando non hanno nulla a che fare con la religione, ma riguardano esclusivamente se stessi, la propria individuale pianta spirituale/materiale. Se si crede in se stessi, bisogna credere che ciascuno di noi viene dall’Assoluto. E’ lì che risiede la nostra più originaria e vera natura. Non si può tuttavia credere in se stessi ciecamente, perché c’è sempre da fare i conti con l’illusione: nessuno può pensare di esserne immune. Da qui l’esigenza di porsi continuamente in discussione. Non di fronte al mondo, ma di fronte a se stessi. Per crescere, dubitando, nella propria fede. O, se si preferisce, per crescere, credendo, nella propria capacità di dubitare. Per essere più esplicito, vorrei dire che si sbaglia a credere che la macchina pensante stia tutta rinchiusa nella nostra scatola cranica. È vero esattamente il contrario: è la scatola cranica ad essere inclusa, evidentemente con un ruolo da svolgere, all’interno del Pensiero. Se così non fosse, non esisterebbe la possibilità di credere e neppure quella di dubitare.
    Franco Campegiani

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  2. Molto interessante la questione sulla trascendenza sollevata da Ninnj Di Stefano Busà. Molto interessante e certamente di non facile soluzione se poi, di soluzione, conviene ed è opportuno parlare.
    Sono decisamente d'accordo con lei circa l'occasionalità, a tal punto da non convincermi affatto l'idea che la nostra "vita sia il classico 'bingo'", uno scherzo del caso. Mi si lasci dire, però, che il caso non scherza.
    Mi spiego: io credo in una legge di casualità (non quella scientifica) portatrice di un'intelligenza non umana ma universale; insita, per questo, in tutto il vivente. E non soltanto quello animato (nel quale debbono essere inclusi anche gli animali: si presti attenzione alla radice di questa parola) ma, anche, ciò che, a mio parere, erroneamente, si ritiene privo di anima.
    Ora, alla domanda, più che legittima, che si pone la Busà: "Come la mettiamo con l'anima?", che inevitabilmente spiazza il nostro intelletto razionale - vista l'incapacità della ragione di accettare la contrapposizione, la contraddittorietà esistente tra il trascendente e l'immanente -, non resta, a mio parere, che una sola possibile risposta, e mi piace esprimerla con l'illuminazione di biblica memoria: "In principio era il Verbo". Con queste parole inizia il Vangelo di Giovanni perché mai si dimentichi che lo Spirito si è incarnato nella materia fin dall'inizio così che il logos (ragione cosmica) potesse misurarsi con la realtà e, dunque, rendersi visibile: "La luce splende nelle tenebre" (si legge ancora nel suo vangelo).
    Per cui comprendo perfettamente le conclusioni cui giunge la nota, cara e brava scrittrice ma mi piace pormi nel mezzo (tutt'altro che diplomaticamente), fermamente convinto, come sono e come - meglio di me - ha saputo dire Franco Campegiani, che "ci vuole una grande fede per poter dubitare e...una forte capacità critica per poter crescere nella fede" o, ancora, "per crescere, credendo, nella propria capacità di dubitare".

    Sandro Angelucci

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