Pasquale Balestriere collaboratore di Lèucade |
Commento di Pasquale Balestriere
collaboratore di Lèucade
Potrei anche sbagliare, ma a me pare che quella
dell'acqua sia una metafora di una vita, anzi dell'esistenza umana in generale
o, ancora più, della vita di tutte le cose che si trovano sulla terra. In ogni
caso, dopo un ammicco che richiama all'esperienza soggettiva del poeta ("i
miei canneti"), si stabilisce un processo di umanizzazione del liquido
corrente -e complessivamente del fiume ( il Serchio, credo)- sostenuto da un
"tu" dialogico che scandisce le varie fasi della corsa della vita,
fino all'estremo approdo al mare, tutto o niente, immensità che accoglie o che
disperde e annulla, a seconda dei punti di vista. Ed è anche curioso come la
rima insista fino al v. 14 -il numero esatto dei versi di un sonetto- e come in
un sonetto sia disposta (alternata nelle quartine, replicata nelle terzine); e
ancora come essa ritorni poi sporadica, mentre il ruolo di richiamo fonico sia
svolto da asso-consonanze, allitterazioni, paronomasie. Sembra quasi che un
tale cambiamento alluda a una corsa finale dell’acqua (e della vita, val la
pena di ricordarlo) senza più regole che non siano quelle delle sponde e degli
argini; e metricamente dell’endecasillabo. Una poesia dall’intenso e filosofico
sapore evocativo. Complimenti
Pasquale Balestriere
03/07/2014
Il fiume
Acqua, che riflettesti i miei canneti
con le
quaglie sui cimoli, e le torri
di grigie
chiese e i tremuli felceti
delle
sponde, lo sai tu dove corri?
Ti perderai
tra poco nel clangore
dell’irruente
mare, ed il tuo salce
ti guarderà
sparire. Già il rumore .
dell’ampio
piano in file d’alba calce
ora vicine
ed ora più lontane,
come vie di
paese, si confonde
all’aria
dei pinastri. Non t’inganni
il profumo
allettante; presto vane
saranno
quelle immagini di sponde
in spazi
senza fine. Ed i tuoi panni
scoloriranno
in cuore al tanto vasto
vorticare
del nulla, finché a volte,
ormai
sepolta preda alle ritorte
ed iteranti
corse, sarai volta
alla riva
che più non ti appartiene.
Avresti mai
pensato, al rampollare
bisbigliante
dei gorghi tra le fresche
chiazze
sorgive di finire amara-
mente
dentro voragini sì avare?
Potrei anche sbagliare, ma a me pare che quella dell'acqua sia una metafora di una vita, anzi dell'esistenza umana in generale o, ancora più, della vita di tutte le cose che si trovano sulla terra. In ogni caso, dopo un ammicco che richiama all'esperienza soggettiva del poeta ("i miei canneti"), si stabilisce un processo di umanizzazione del liquido corrente -e complessivamente del fiume ( il Serchio, credo)- sostenuto da un "tu" dialogico che scandisce le varie fasi della corsa della vita, fino all'estremo approdo al mare, tutto o niente, immensità che accoglie o che disperde e annulla, a seconda dei punti di vista. Ed è anche curioso come la rima insista fino al v. 14 -il numero esatto dei versi di un sonetto- e come in un sonetto sia disposta (alternata nelle quartine, replicata nelle terzine); e ancora come essa ritorni poi sporadica, mentre il ruolo di richiamo fonico sia svolto da asso-consonanze, allitterazioni, paronomasie. Sembra quasi che un tale cambiamento alluda a una corsa finale dell’acqua (e della vita, val la pena di ricordarlo) senza più regole che non siano quelle delle sponde e degli argini; e metricamente dell’endecasillabo. Una poesia dall’intenso e filosofico sapore evocativo. Complimenti all’amico Nazario.
RispondiEliminaPasquale Balestriere
Commento che contraddistingue la sagacia interpretativa del critico autentico che, oltre ad avvalersi di conoscenze tecniche di perspicua valenza prosodica, riesce a penetrare nei più reconditi azzardi allusivi. E non dico niente di nuovo: è sufficiente leggere il nome dell'esegeta, e tutto si chiarisce.
EliminaGrazie carissimo Pasquale
Nazario
Le nostre dita nel fiume sono bagnate da acqua sempre nuova, e l'acqua
RispondiEliminache passa e scorre non finisce né si ferma, ma si unisce ad altra acqua
in una grande pozza dove il sale la trasforma. Io non conosco l'acqua
che verrà e non inseguo l'acqua che passò, sfioro solo quella che passa
qui ed ora tra le mie dita, perché qualunque cosa io faccia per me sarà
sempre e solo un qui ed ora.
Grazie Nazario per questa fonte di dialogo interiore.
Claudio Fiorentini
Grazie Claudio: interpretazione che dà luogo a molte ulteriori e profonde riflessioni filosofico-esistenziali. C'è tanto del tuo pensiero che ho ri-trovato in altri tuoi intensi scritti.
EliminaNazario
Siccome la poesia ha ricevuto diversi commenti, sono tenuto a puntualizzare, per onor di verità, che Pasquale Balestriere è stato il primo, col suo acume critico, a rilevare nello scorrere del fiume la metafora della vita: dalla sorgente, al suo fluire, al suo perdersi in un mare che può essere oggetto di plurime connotazioni ( Potrei anche sbagliare, ma a me pare che quella dell'acqua sia una metafora di una vita, anzi dell'esistenza umana in generale o, ancora più, della vita di tutte le cose che si trovano sulla terra. In ogni caso, dopo un ammicco che richiama all'esperienza soggettiva del poeta ("i miei canneti"), si stabilisce un processo di umanizzazione del liquido corrente -e complessivamente del fiume ( il Serchio, credo)- sostenuto da un "tu" dialogico che scandisce le varie fasi della corsa della vita, fino all'estremo approdo al mare, tutto o niente, immensità che accoglie o che disperde e annulla, a seconda dei punti di vista...). Questo afferma il critico. Una explication la sua di grande vis contenutistico-formale che dà efficaci chiarimenti, anche, sul rapporto fra sonetto e prosieguo del componimento (... Sembra quasi che un tale cambiamento alluda a una corsa finale dell’acqua (e della vita, val la pena di ricordarlo) senza più regole che non siano quelle delle sponde e degli argini; e metricamente dell’endecasillabo. Una poesia dall’intenso e filosofico sapore evocativo... [Pasquale Balestriere]).
RispondiEliminaNazario