mercoledì 23 luglio 2014

PASQUALE BALESTRIERE: "DI GIURIE E DI PREMI LETTERARI"


Pasquale Balestriere collaboratore di Lèucade


DI GIURIE E DI PREMI LETTERARI

Vorrei riprendere il discorso sui premi letterari, iniziato  su questo blog da Pasqualino Cinnirella, perché penso che sia utile una riflessione sulla loro validità. Essi dovrebbero avere la funzione di promuovere la poesia e la prosa di pregio, insomma, sì, l’arte, la creatività, stimolando alla scrittura e premiando opere degne. Invece troppo frequentemente accade il contrario, in particolar modo per colpa di giurie incapaci od  occultamente (ma a volte anche chiaramente) di parte. Così vengono premiati certi spropositi che, al più,  meriterebbero un' onesta, opportuna, appropriata e legittima fiamma riparatrice.
È vero, in Italia abbondano i premi letterari. Pare che siano alcune migliaia, da quelli più importanti e noti a quelli che non oltrepassano la frontiera del paesino che li ospita. E spesso nascono e muoiono  nello spazio di un respiro. Sicché  è necessario che proliferino anche le commissioni giudicatrici, le cosiddette giurie, sulle quali si potrebbero sprecare (è il termine giusto) i classici (e abusati) fiumi d’inchiostro. Perciò mi limito a pochi concetti, allo scopo di provocare una discussione sul blog; un dibattito che spero costruttivo.
Ma, prima di continuare, metto le mani avanti: esistono giurie serie, competenti e oneste, che premiano il merito. Peccato che siano in numero molto esiguo. Io però ne conosco,  e continuo a cercarne, partecipando, sia pure in modo molto parco, ai premi letterari. Ma anche mettendo all’indice e  disertando quelli “taroccati”, per usare un termine caro a un’amica poetessa.
Vediamo ora di raggruppare in categorie tutto il resto - la stragrande maggioranza -  delle giurie, cominciando dalla capacità di giudizio.   Gli assemblaggi di tali organismi giudicanti avvengono nei modi più diversi e dilettanteschi,  con presenze spesso variegate: si va dal sindaco  o dall’assessore, al giornalista, all’artista , al critico letterario, passando naturalmente per insegnanti e  professori (di scuola media inferiore, superiore e universitari) e soprattutto per le professoresse, molto più numerose e spesso vere  missionarie (con tutti i pregi e i difetti) di tanti premi letterari, fino agli studenti e alle casalinghe. Sicuramente ho tralasciato per dimenticanza altre tipologie di “giudici”. Ma il risultato finale è che questi signori troppo spesso non sanno distinguere un verso da un rigo, mancano cioè della necessaria competenza specifica  e credono che la poesia, per esempio,  coincida totalmente con il “contenuto” e non, invece, sia -come di fatto è- soprattutto “forma”, cioè espressione artistica. Per questo vengono premiate filastrocche e poesiole indegne della carta su cui sono scritte. Ma sono certamente all’altezza giusta, però, della giuria che le ha selezionate per i riconoscimenti. Perché è questa la realtà che mi pare chiara: le giurie premiano ciò che riescono a capire, ciò che è al loro stesso livello mentale.  E anche se una commissione è formata in parte da persone veramente qualificate e valide  (perché non basta un titolo di studio o d’altro genere a dare patente di competenza letteraria e, soprattutto, di sensibilità artistica), può pure capitare -ed è capitato- che il giudice ignorante, per qualche motivo, abbia la meglio sull’esperto; con tutte le conseguenze del caso.
Ma, a parte la discutibile competenza di troppe giurie, si possono verificare altre situazioni. Per esempio, che uno o più commissari conoscano o abbiano legami di amicizia con uno o più concorrenti: in questo caso l’aiuto è quasi sicuro, ancor più se questi concorrenti si trovino a far parte di commissioni giudicatrici di altri premi letterari. Questo  mutuo soccorso o, se vi pare, “voto di scambio”  è davvero vergognoso, ma molto praticato, perché “serve ad arricchire il curriculum”. Come se bastasse una sfilza di riconoscimenti a “fare”  il poeta o lo scrittore. Il quale, invece, appartiene al pianeta delle persone serie; e mentre  si forma nella vita e con la vita, ed anche alla luce e alla lettura dei grandi maestri, ingaggia un  corpo a corpo con la scrittura che dà sempre esiti provvisori e migliorabili per chi -come lui-  è in perpetuo movimento culturale nell’incessante eracliteo divenire. Proprio come è giusto che sia per chi vive la condizione umana.
Ma, tornando all’operato delle giurie, le cose peggiorano notevolmente se sono in palio somme di denaro  od oggetti preziosi. In questo caso i favoritismi si sprecano.
Ci sono poi concorsi letterari che premiano “il nome” per una ricaduta pubblicitaria. Normalmente un premio letterario dovrebbe dare lustro al vincitore;  invece, in questo caso, accade esattamente il contrario. E la cosa diventa allora ancora più avvilente.
Ma basta parlare di giurie, anche se sul loro operato complessivo si potrebbe scrivere (ma ne vale la pena?) un ampio  trattato. Eppure sono convinto che i premi letterari potrebbero avere, come ho già detto,  un’importante funzione di conoscenza, di confronto e di stimolo, promuovendo sviluppi artistici e  sentimenti di stima e d’amicizia. È infatti grazie ad alcuni concorsi di poesia che ho conosciuto tanti scrittori, tra i quali  il padrone di casa Nazario Pardini, Umberto Vicaretti, Carla Baroni, Giannicola Ceccarossi,  Maria Ebe Argenti, Umberto Cerio, Giovanni Caso, Adolfo Silveto ( e chiedo scusa agli altri che non ho citato), amici carissimi e poeti di grande valore, con i quali sono in continuo proficuo  contatto. Ecco, uno dei motivi non secondari per cui partecipo ai premi letterari è di rivedere degli amici e, magari, di crearmene dei nuovi; ma anche di incontrare qualche persona (giurato o altro) veramente colta, con la quale valga la pena di scambiare qualche opinione.
Chiudo con una piccola provocazione: i giudici esprimono le loro valutazioni sui poeti, ma non sempre sanno che accade anche il contrario, e cioè che i poeti valutino l’operato, la preparazione e la competenza delle giurie. Per quanto mi riguarda, io lo faccio. E depenno a mano a mano i premi ritenuti indegni della mia presenza.
Cosa  pensano sull’argomento gli amici poeti e i frequentatori di questo blog?

                                   Pasquale Balestriere



40 commenti:

  1. cari amici del blog,
    il mio pensiero è presto detto. Premesso che condivido lo scritto di Balestriere, penso che dalle idee devono seguire gli atti. Ero presente in tre giurie di premi nei quali si dava una bella somma di premio ai vincitori. Ma dopo aver toccato con mano che ad ogni votazione ero messo in minoranza perché i giochi erano già stati fatti a monte, ho dato le dimissioni da tutte e tre le giurie.
    A mio avviso non c'è altro da fare che dare le dimissioni sia come membro delle giurie sia come partecipante a concorsi finti. Purtroppo malcostume molto italiano.
    Ah, dimenticavo: ho anche tagliato i ponti con le persone che facevano parte di quelle giurie truccate.

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  2. avrei da discutere alcuni punti in generale sull’articolo messo in campo da Pasquale Balestriere sperando di dare ancora più stimoli alla discussione sul blog:

    primo: io personalmente non credo all’idea del “concorrere” in generale come qualità, soprattutto in campo artistico e culturale, l'idea del concorso a premi dell'arte non mi è mai piaciuta, questa concorrenza non ha senso di esistere, come succede nei concorsi letterari e negli slam poetry, non si può (causa giudizi parziali) e non si deve a mio modesto parere premiare un testo o una performance in confronto ad un’altra perché non è così che si stimola la socialità all’arte, la comunione dello scrivere o del comunicare con gli altri, ma si creano solo favoritismi e singolar tenzoni sterili in campo culturale e a volte persino dannose.

    secondo: a sostegno della mia tesi, io aggiungerei un’altra categoria di concorsi (mi riferisco a quelli che premiano testi editi) quelli che premiano le case editrici favorite e che creano favoritismi, in questo modo si premia un autore, ma le case editrici ne trattengono la vincita (di denaro ovvio). Questo modo di fare è il migliore per far fronte alle spese delle cosiddette case editrici non EAP che fingono di non far pagare nulla all’autore, ma poi si mangiano le vincite ai concorsi letterari che loro stesse truccano.

    terzo: sostengo sempre la mia tesi iniziale ma ammesso che lo si voglia fare per forza, cioè emettere un giudizio per dare o ricevere un premio, bisogna che la giuria sia la più varia possibile, (ci deve essere il critico letterario, la casalinga, il semplice lettore, il professore, il giornalista e anche l’assessore) solo così si può arrivare ad un giudizio (il più possibile) democratico; anche se poi il giudizio critico non deve essere il fine di premiare un autore con targa o denaro, ma il punto di partenza atto ad una discussione e non alla definizione ultima, finale e incontrovertibile della riuscita o meno di un testo o della bravura del suo autore.

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    1. Le giurie tecniche di settore (specifiche per i vari generi letterari) sono una valida risposta sia alla"democraticità"del giudizio critico, sia alla "presunta" impreparazione dei giurati. In ogni caso, per fugare ogni dubbio sarebbe opportuno partecipare alle cerimonie conclusive di premiazione (organizzate con tanto dispendio di risorse finanziarie, fisiche e mentali da parte degli organizzatori) anche quando non si è nella rosa dei vincitori del premio.Si intuirebbero, forse, anche le motivazioni della "famigerata" tassa di partecipazione richiesta agli autori.

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  3. Sono pienamente d’accordo con l’amico Pasquale Balestriere, soprattutto quando afferma che ci sono Giurie impreparate per la funzione a cui sono demandate ed io aggiungerei Giurie che si affidano a sensazioni epidermiche e che non approfondiscono perché costa fatica intellettiva e concentrazione di energie ermeutiche di cui evidentemente sono carenti. O addirittura Giurie che non leggono e che dànno appena una sbirciatina ai primi righi, liquidando così un’opera, e rendendosi responsabili dell’inutilità di questa caterva di Premi per una collocazione di un autore in un contesto letterario. Si deve, comunque, riconoscere, che alcuni mantengono ed hanno sempre mantenuto la loro caratura per l’assennatezza critica di Giurie non influenzabili e preparate ad accrescerne la meritata notorietà. Ma si contano sulle dita.

    Nazario

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  4. La disamina puntuale , approfondita , accorta del caro amico Balestriere può essere soltanto condivisa a pieno , perché purtroppo di premi di poesia e letterari in genere , veri , seri , al di sopra di ogni sospetto ( tranne pochissimi casi che meritano tutto rispetto ! ) non esistono. Vuoi per i famosi "voti di scambio" , vuoi per il favoritismo delle case editrici dal nome altisonante, vuoi per la indegna richiesta della famosa "tassa di lettura", vuoi per lo scarsissimo bagaglio di cultura di alcuni giurati , ecco che la maggioranza dei premi letterari propone volumi di poco conto e di nessun valore. Mi affianco a quanto dice anche l'amico Giorgio Linguaglossa e approvo tutte le sue frasi. Concludo che bisognerebbe disertare categoricamente ogni concorso. Antonio Spagnuolo -

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  5. Colgo volentieri l’invito di Balestriere. Districarsi tra i duemila e più concorsi letterari a livello nazionale non è cosa semplice. Innanzi tutto si deve fare una distinzione tra premi seri e premi meno seri. Nel variegato panorama dei concorsi letterari, infatti, non tutti i premi danno una sufficiente garanzia di serietà, di trasparenza, di credibilità. Ci sono, purtroppo, premi pilotati, premi con spiccato
    risvolto speculativo, premi ove la poesia non è protagonista ma pretesto, per organizzare qualche manifestazione mondana, qualche passerella, che poco ha da spartire con la poesia. Ci sono premi in cui si preferisce premiare il nome famoso piuttosto dell’opera presentata. Fortunatamente ci sono anche i premi seri, che hanno una loro dignità, trasparenza, credibilità; il coraggio di premiare l’opera completamente anonima, indipendentemente dalla fama del personaggio. Partecipare a questi premi è sicuramente un momento di incontro e confronto. Essi possono essere di stimolo alla creatività e favorire veramente una crescita culturale. Lasciatemi citare uno di questi “concorsi”: quello che nel 2012 ha assegnato il primo premio della edizione edita a Nazario Pardini. Grazie a quel premio, ho incontrato personalmente Pardini che mi ha dato l’opportunità di far uscire, grazie al suo blog, tanti scritti che ritenevo morti e sepolti. Se interessa, la storia di questo premio si trova su “Alla volta di Leucade”, digitando PREMIO "MARIO TOBINO" STORIA E PREMIAZIONE
    Un caro saluto a tutti.
    P. Bassani

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  6. Gentilissimi, sono d'accordo con tutti (quindi, cortesemente, nessuno mi minacci di querela). Io ho assistito a concorsi chiaramente truccati, i cui denari finivano nelle tasche di editori che si dichiarano editori non EAP. Ho tutto documentato, in forma scritta. Moltissimi editori (fittiziamente) non EAP utilizzano questo trucco spregevole, mascherando, con le vincite a concorsi truccati, il non esborso "a priori" dei vincitori/autori. Che strani concorsi, con giurie conniventi e disponibili a fare vincere una casa editrice, e con premi che, anziché finire nelle tasche dei vincitori, finiscono nelle casse dell'editore/partito (rigorosamente non EAP)! Certo: a pagare è lo Stato, cioè noi tutti cittadini, dato che, di norma, i premi dei concorsi arrivano dai comuni o da enti statali (sovvenzioni). Bella trovata: concorsi truccati, case rigorosamente non EAP sostenute con sovvenzioni statali (?!): direi, associazioni a delinquere? Saluti a tutti

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  7. Sono convinto di quanto scrive l'amico Pasquale Balestriere in questo stimolante articolo, che è una vera rassegna sui premi letterari. Ho constatato personalmente la sfacciata assurdità di certi giudizi, di certi premi e di certi "giochetti" in concorsi ai quali mi è capitato di partecipare. Ho visto premiare "pensierini" in forma di versi apparenti, raccontini ed apprezzamenti sui fiori e perfino sui dolci, anch'essi in forma apparente di poesie e mi sono chiesto più volte il perché di quei risultati. La risposta, che coincide con quella di Pasquale Balestriere, non è difficile per chi ha insegnato, come molti poeti, letteratura italiana e latina e greca in una scuola superiore ed è quindi abituato a giudicare ed a spiegare agli alunni centinaia e centinaia di poesie dei più grandi autori italiani e stranieri. Mi è capitato anche di vedermi implacabilmente e volgarmente plagiato anche da qualche "poetessa". E' questo il motivo che mi ha indotto a ridurre al minimo la partecipazione ai concorsi letterari, scegliendo quelli in cui le giurie sono serie -e ve ne sono ancora, per fortuna- , dove sono possibili incontri e confronti stimolanti con poeti e critici letterari imparziali. Grazie a Pasquale Balestriere per avere aperto, con il suo solito acume, un dibattito fertile e importante
    Umberto Cerio

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  8. Sono perfettamente d'accordo con l'amico Pasquale Balestriere, che ringrazio per l'analisi approfondita e schietta.
    Purtroppo non credo che si possa facilmente risolvere quanto, fondatamente, denunciato.
    L'unico mezzo che abbiamo è quello di selezionare con attenzione ogni concorso e di condividere le nostre idee, anche se poi si potrebbe cadere in una delle tante ulteriori giustissime osservazioni espresse da quanti hanno voluto esaminare le “magagne” di tali premi.
    E che dire dei plagi?
    Giannicola Ceccarossi

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  9. Sicuramente tutti diranno: Lorena Turri… “Carneade, chi era costui”?
    Sono in realtà una casalinga che scrive poesie. Nata nel web, cresciuta nel web.
    Non ho mai preso in considerazione i concorsi letterari, le pubblicazioni a pagamento; non ho mai stressato editori inviando pacchi di poesie, non ho mai cercato di aprirmi varchi attraverso conoscenze o amicizie virtuali. In sostanza, non ho mai fatto nulla per rendermi nota nel mondo della poesia e uscire dalla rete. Anzi, ho quasi sempre usato un nickname anziché il mio vero nome. Solo quest’anno ho deciso di partecipare a qualche premio letterario.
    Credo che il mio nome, qualora in sede di giudizio venga violato l’anonimato, sia sconosciuto ai più, anzi, quasi sicuramente a tutti.
    Ho partecipato a 4 concorsi piuttosto noti e accreditati: al primo ho ricevuto un premio della giuria, al secondo un premio in una sezione speciale sul cibo, al quarto non ho vinto alcunché, ma al terzo ho ricevuto il Primo Premio per la Poesia in lingua italiana e anche il premio speciale di una nota casa editrice consistente in un pubblicazione gratuita di una silloge poetica.
    Alla luce di questi fatti, potrei smentire chi dice che vengono premiati solo “i nomi” o contestare chi sostiene che vengono premiate delle improbabili poesiole sui fiori e i dolci. La mia poesia vincitrice è un polimetro in perfetti endecasillabi e settenari, l’altra che ha ricevuto il premio della giuria è una strofa di canzone leopardiana, e l’altra ancora, una ricetta in filastrocca in perfetti ottonari a rime baciate.
    Però, leggendo nel web le poesie premiate in molti concorsi, mi sono resa conto che parecchie giurie mancano di una effettiva competenza. Ricevono primi premi poesie con improbabili forme metriche o con precarie strutture lessicali. Poiché tendo a dare ad ogni mia perplessità una giustificazione, ho pensato che, forse, venga premiato il “meno peggio”, scagionando così, in cuor mio, i giurati.
    Non ho ancora ben capito il funzionamento effettivo dei premi letterari, ma di certo, nonostante il mio “successo”, covo l’intenzione di non parteciparvi più. Il mio timore è quello che sia tutta un’illusione.

    Lorena Turri

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  10. E' un annoso e difficilmente risolvibile problema quello che solleva l'amico Balestriere. Ho avuto modo di esperire entrambe le posizioni (quella del concorrente e quella del giurato, intendo) e posso assicurare che nessuna delle due è agevole. Voglio dire che chi partecipa ai Premi si trova inizialmente a muoversi nel caos, poi, prendendo dimestichezza, a sentirsi nauseato, tentato a non concorrervi più. Non diversa la situazione per chi si trova dall'altra parte del tavolo: il giudicante (e valutare non è mai semplice) è anch'egli tra due fuochi: l'astio (più o meno mascherato) di chi non vince e in alcuni casi (cosa che, a me -devo dire - non è mai capitata) il possibile, mancato accordo con uno o più suoi colleghi. Comunque vada, si sarà fatto dei nemici, e la cosa peggiore è che ciò è in netto contrasto con il nobile proposito, di cui Pasquale si fa portavoce e totalmente approvo, che è la prerogativa dei Premi: creare cioè momenti di confronto, di conoscenza, di stima reciproca, dai quali - non proprio raramente - nascono vere amicizie. E' questo il motivo principale per cui si dovrebbe partecipare e, forse, non fa smettere di farlo. Certo, in modo attento e moderato, selezionando il più possibile, ma, soprattutto, con la consapevolezza che non sono i successi (anche quelli eclatanti) che fanno il vero scrittore.
    Grazie per l'opportunità che mi è stata data di esprimermi,

    Sandro Angelucci

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  11. Vorrei solo aggiungere, sulla base di quanto asserisce il prof. Balestriere e ribadisce il prof. Angelucci, che è pur vero che i Premi letterari offrono la possibilità di momenti di confronto e sono un viatico per creare o consolidare rapporti di stima e amicizia, ma è altrettanto vero che, perché questo avvenga, bisogna aver ricevuto almeno un riconoscimento, altrimenti non si presenzia alla premiazioni. Oltretutto, il vero gravoso onere, non è tanto la tassa di lettura, quanto il costo dei viaggi e dei soggiorni lungo lo Stivale, per andare a ritirare i premi che, nella maggior parte dei casi, si riducono a targhe, coppe e pergamene non compensanti la spesa.
    Chi ha difficoltà economiche, ad esempio, non se lo può permettere.

    Lorena Turri

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  12. "L'anello che non tiene".

    Carissimo Pasquale,
    sono grata alla vita che mi ha fatto incontrare te sul mio cammino, anzi, in un Ateneo dove entrambi eravamo vincitori di un premio letterario. Ed ora ci ritroviamo ospiti in un bellissimo blog, a cercare di capire chi giudica le nostre poesie.
    "E' qui che reinventiamo ad occhi aperti,
    sul mondo che non vede, quelle fiabe
    che alla luce del sole si sfocarono
    come le foglie logore a settembre" (Nazario Pardini).
    Per fortuna, di versi fantastici come questi se ne scrivono ancora e di bravi poeti ce ne sono in ogni paese, in ogni città.
    "La mia città respira oltre le stelle,
    ha un fremito leggero se accarezzi
    una selce anche solo con lo sguardo" (Umberto Vicaretti).
    Ma certe giurie non li riconoscerebbero, li confonderebbero con quei pensieri poetici che, pur belli e suadenti, non potrebbero mai entrare nell'Olimpo della Divina Poesia. Perciò io mi domando: se un musicista mediocre è definito "strimpellatore", un pessimo pittore "imbrattatele", un atleta di scarso rendimento è un "bidone", cantanti ed attori poco dotati sono dei "cani", se perfino uno scrittore scadente è considerato uno "scribacchino", perché allora gli autori di brutte poesie, talvolta prive delle più elementari regole di grammatica, vengono premiati? Essi non rispettano neppure la giusta posizione degli accenti, per ottenere una corretta musicalità ed il verso finisce andando a capo. Quel modo di scrivere vuole apparire "moderno"? Ma la poesia è moderna soltanto quando è scritta usando un linguaggio attuale, affinché tutti la possano comprendere. Inoltre, come fanno a distinguerla dalla prosa se è priva della metrica che caratterizza i versi ed è alla base del ritmo?
    Svegliatevi, giudici! Ed anche voi, critici che siete i primi a non capire nulla di sillabe e di accenti. Salvo lodevolissime eccezioni con capacità di giudizio, sono proprio le giurie dei premi letterari a reggere certi ignobili giochini ed farli stare in piedi. In qualsiasi tipo di competizione, un simile comportamento verrebbe colpito con ammende, squalifiche, perfino con il carcere. Solo nei premi letterari il tutto si svolge senza problemi, si cita nel curriculum e trova perfino i suoi estimatori.
    "Eppure non svelata sei, mia vita,
    in ombra quasi, pallida lucerna
    che sa il dolore e il sale del rimpianto
    come un fanciullo senza più aquiloni. (Giovanni Caso).
    Chissà se siamo ancora in tempo a salvare quel soffio vitale e lieve chiamato "poesia" oppure continueremo a stupirci se nessuno più acquisterà un libro di versi. Questo, appunto, è "l'anello che non tiene".

    Maria Ebe Argenti

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  13. A molti di noi sarà capitato - immagino - di avere partecipato a premi letterari, sia in qualità di concorrenti, sia di giurati, e di esserne stati gratificati senza essersi macchiati di chissà quali colpe o manovre. Dico questo per ristabilire, nel dibattito in corso, la doverosa distinzione da fare tra realtà e principi. In linea di principio i premi dovrebbero svolgere la nobile funzione di far emergere talenti che altrimenti resterebbero sconosciuti, e non credo che nella realtà questo non sia mai accaduto. A dispetto del malcostume imperante, c'è sempre la possibilità, per colui che vale, di ottenere qualche soddisfazione. Il valore e la verità vengono continuamente soffocati, ma grazie a Dio vengono anche riscoperti in continuazione. Non voglio dire, con questo, che di fronte al malcostume imperante si debba restare impassibili e non si debba tentare di reagire. Ci mancherebbe altro! Sono contrario a chi sostiene la necessità di barricarsi e chiudersi in una sterile auto emarginazione, tant'è che mi sono fatto artefice, insieme ad altri, di un manifesto culturale ("Il Bandolo") che si propone di sostenere queste (ed altre) sollecitazioni. Resto tuttavia convinto che il donchisciottismo non giovi e che il relativismo debba farla comunque e sempre da padrone. Ciò che più conta, al di là delle pubbliche denunce e delle dirette contrapposizioni, è sempre l'esempio personale e diretto di correttezza che ciascuno di noi può dare. Vuoi come autori, vuoi come critici, ma vuoi soprattutto come semplici esseri umani.
    Franco Campegiani

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  14. Con la consueta franchezza (e con l’abituale bravura) Pasquale Balestriere pone un problema che spesso ricorre nelle conversazioni tra gli addetti ai lavori, ma che resta sempre confinato sullo sfondo, senza assumere contorni precisi e guadagnare spazi concreti di discussione e confronto. Si tratta, però, di un problema che riguarda tutti: chi in qualità di poeta/scrittore, chi in qualità di partecipante-giurato-organizzatore di rassegne letterarie, chi in veste di semplice lettore o visitatore di riviste, siti, blog letterari, come appunto questo di Nazario Pardini che generosamente ci ospita. Balestriere, pur premettendo che non mancano concorsi letterari che si affidano a giurie “serie, competenti e oneste” (e a sua volta fa bene Franco Campegiani, al riguardo, a puntualizzare e a relativizzare il problema, pur ammettendo che si è di fronte ad un “malcostume imperante"), punta decisamente il dito contro due tipologie di giurie: quelle incompetenti e quelle “di parte” (che Maria Ebe Argenti individua, montalianamente, come “l’anello che non tiene”…). CONTINUA

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    1. ... Le prime si distinguono per l’incapacità/inconsapevolezza/assoluta carenza della “necessaria competenza specifica”, e i cui componenti, annota Balestriere, “troppo spesso non sanno distinguere un verso da un rigo”. Le seconde vengono individuate in quelle commissioni giudicatrici dedite alle indecenti pratiche del “voto di scambio”, espressione al vetriolo con cui Balestriere denuncia le poco onorevoli usanze dell’italico costume, transitate dai corrotti contesti della politica ai più nobili (in teoria) territori culturali e artistici del nostro decaduto Belpaese. Inutile dire che mi trovo assolutamente in linea con l’affilato giudizio dell’amico Pasquale, il cui “j’accuse”, tra l’altro, viene autorevolmente condiviso e suffragato da Giorgio Linguaglossa, a sua volta testimone diretto di tali inaccettabili maneggi. Ma preso atto del dolo dei furbetti del “voto di scambio” e della variegata turba di “clientes” che ruota intorno a loro, dico che un uguale giudizio negativo deve necessariamente estendersi (questa volta per ‘colpa grave’) anche a quelle giurie di incompetenti/incapaci/inesperti, tutti però consapevoli di non poter assolvere con decenza un compito che richiede specifiche competenze. Ma la presunzione, l’immodestia, la superficialità, la confusione dei ruoli (ormai tutti presumono di potere/sapere fare tutto), unite all’incompetenza e all’approssimazione, costituiscono quella micidiale miscela di povertà culturale le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Un discorso a parte meritano quelle commissioni in cui spesso compaiono insegnanti dei vari ordini di scuola. Fatta sempre salva la competenza di tanti docenti competenti, è però incontrovertibile il dato di fatto per cui sempre più spesso le giurie sono inflazionate da vecchi professori (absit iniuria verbis!: sono anch’io un “vecchio” professore e dirigente scolastico…) e professoresse in disarmo (ma attenzione: la vecchiezza e il disarmo non attengono ai dati anagrafici, bensì a quelli culturali specifici cui prima accennavo). Con tali “esperti” inseriti nelle commissioni dei premi letterari, sembrerebbe che gli organizzatori abbiano scelto le persone giuste, dei veri specialisti; circostanza, questa, troppo spesso smentita dai fatti, una sorta di ‘pubblicità ingannevole’. Come rimediare? Difficile cambiare le cose con suggerimenti e/o interventi magari affidati alla buona volontà dei singoli: il problema è, mi si consenta, di ordine “strutturale”. Solo una rivoluzione culturale (ma in senso ampio e generalizzato) può portare al cambiamento. Sarebbe però necessario che ognuno stia responsabilmente al suo posto. Dice bene Franco Campegiani quando afferma che “Ciò che più conta ( … ) è sempre l’esempio personale e diretto di correttezza che ciascuno di noi può dare”.
      Quindi, a ciascuno il suo, nessuna invasione di campo: il poeta, il critico, il giurato, l’editore, ognuno nel suo piccolo, recitino la propria parte con lealtà, passione, onestà intellettuale. Se queste vi sembrano ovvie e scontate raccomandazioni…
      Umberto Vicaretti

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  15. PALLIDE TOGHE ED EREDITÀ CULTURALI
    Molti di noi sono convinti che comporre poesie sia impresa facile: basta incolonnare dei versi e il gioco è fatto.
    Costoro non si rendono conto che – per l'animo umano – il “dopo” la lettura di una lirica (che si possa ritenere tale) non è più come il “prima”.
    Qualcosa è cambiato: quei versi ci hanno trasmesso un'emozione consegnandoci le intime riflessioni dell'autore.
    Una lirica non è autentica se non riesce a suggestionare il lettore, e il lettore iniziato all'arte poetica è poco più di un principiante se non sa cogliere le emozioni suscitate da un componimento pregevole.
    “L'anello che non tiene” individuato dall'amica Maria Ebe deve essere sostituito per far sì che la catena regga: la Cultura non può accettare, tra i propri difensori, dei dilettanti allo sbaraglio con la veste di paladini senza arte né parte.
    Se il Poeta è quell'Essere che con una matita e un foglio tenta di esplorare un altro altrove, il Critico deve essere in grado di immedesimarsi in quell'altrove. Ma non basta: occorre anche che sappia riconoscere, nei versi di Nazario, Umberto o Giovanni – citati da Maria Ebe – dei perfetti endecasillabi.
    Mi sia permesso di obiettare: come si può assegnare il ruolo di giurato, in un Premio di Poesia, ad un illustre personaggio per il quale le forme metriche sono un territorio ancora da esplorare ? A quale giudizio verrebbe sottoposto un sonetto classico che, pur se suggestivo e convincente nel contenuto, racchiudesse un paio di endecasillabi zoppi ?
    Tenendo ben saldo il testimone di Maria Ebe amplio il discorso: come possiamo chiamare poesia una cascata di versi strampalati che, fustigati da una prosodia da urlo, racchiudono un'accozzaglia di vocaboli chiassosi o terribilmente immaginifici, introdotti con saccente convincimento dall'autore per camuffare la sua poca dimestichezza col vocabolario dell'italica lingua?
    All'amico Pasquale, che ancora non conosco di persona, assicuro: in Italia sono operanti alcuni sodalizi letterari che “respirano” cultura ed arruolano, nei Premi letterari che periodicamente organizzano, giurati di buona taratura per accogliere, con saggio equilibrio, le opere da valutare.
    Io faccio parte del corpo giudicante di alcune realtà culturali; come te, credimi, troppo spesso nella biblioteca della vita ho sfogliato i volumi del dolore, e così, quando varco l'uscio di un autore che con versi sublimi dipinge i propri patimenti, mi accosto a quell'anima con devota empatia e ammirazione, ma non posso esimermi dall'esprimere un parere rigoroso sugli altri elementi, strutturali, dell'opera oggetto di analisi.
    Nel calarmi nei panni del critico occorre ch'io operi con le “ali dell'anima” e la “forbice dell'intelletto”: mi adagio sulle strofe per distinguere il bel verso da quello pacchiano, mi impegno ad individuare e sanzionare strutture metriche scorrette e forme lessicali non appropriate. Altrimenti l'autore di pregio, qualora venisse giudicato in maniera superficiale o scriteriata, si allontanerebbe dal giardino di un Parnaso che riterrà piagato da giudizi discutibili o, peggio ancora, assoggettato al “servilismo da richiamo” o ai “voti di scambio”.
    A Lorena chiedo con fraterna simpatia di non covare l'intenzione di non parteciparvi più (ai Premi letterari).
    Aver vinto con onore non è assimilabile ad un'illusione: custodire nella borsetta il curriculum di una Cenerentola non significa – salendo sul podio più alto – vivere gli attimi frizzanti di una favola, ma ci si proietta nella dimensione del “palpito allargato” del nostro cuore. L'encomio della giuria e gli applausi che riceviamo per i nostri “pensieri profondi” non devono procuraci eccessiva euforia ma neppure avvilente disincanto. Un'opera vincitrice viene letta e riletta decine di volte da coloro che, assennatamente, la premiano, e quindi il verdetto è da accettare senza riserve: quei versi hanno raggiunto l'ambìto bersaglio dell'anima! CONTINUA
    Roberto Mestrone

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  16. CONTINUA

    Franco intravvede spiragli di luce ritenendo, anch'egli come me, che non tutti i giurati sono macchiati di chissà quali colpe o manovre. E ci ripropone le buone intenzioni de “Il Bandolo”.
    Vorrei condividere con voi la lettura del primo articolo di questo eloquente Manifesto Culturale da me sottoscritto: “ Spesso oggi si assiste allo spettacolo di un'arte per iniziati che non parla di umanità, ma si avvita su se stessa in forme capricciose e futili, molto più amanti di sensazionalismo che di verità. ( ….. ) L'arte non deve essere il fine dell'artista, strumentalizzando e asservendo l'uomo a quella finalità, ma al contrario, deve essere un mezzo al servizio dell'umanità. Vogliamo un'arte meno vanesia, che si lasci ispirare dai valori autentici dell'uomo, dalla sua essenza, dalla sua universalità (…..).

    Sandro, sottolineando il convincimento di Pasquale secondo cui il compito nobile dei Premi letterari è quello di creare momenti di confronto, di conoscenza, di stima reciproca, dai quali - non proprio raramente - nascono vere amicizie, tenta di rendere evanescente la linea di confine tracciata tra i giudicanti e i giudicati e ci infonde la consapevolezza che non sono i successi (anche quelli eclatanti) che fanno il vero scrittore (o il genuino poeta), ma è la missione di messaggero d'Arte che questi incarna a renderlo degno dell'alloro.

    Umberto (Vicaretti) auspica, per il futuro, una rivoluzione culturale che possa porre fine al dilagare della confusione dei ruoli: la presunzione, l’immodestia, unite all’incompetenza e all’approssimazione, costituiscono quella micidiale miscela di povertà culturale le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
    Ciascun operatore culturale e tutti gli amanti del Bel Verso dovrebbero immergersi nella lezione crociana che assegna al Poeta il compito di ricondurre l'individualità all'universalità, il torrente del finito all'oceano dell'infinito, e pur individuando nella “liricità” la fonte di ispirazione comune a tutti gli uomini, chiarisce che l'estro creativo diventa Poesia con il contributo della Conoscenza.

    Agli amici Antonio, Giorgio, Nazario, Umberto (Cerio), e a tutti coloro che sono intervenuti replicando con argute argomentazioni alle sollecitazioni di Pasquale, rivolgo un invito: chiediamo ai giovani di accompagnarci nei salotti che frequentiamo e alle manifestazioni cui assistiamo.
    Il consumismo che sta dilaniando la società rischia di atrofizzare le loro intelligenze rendendoli computer-dipendenti e schiavi dei gioielli informatici. Spalanchiamo ai nostri nipoti le porte del sapere “a buon mercato” ed aiutiamoli ad accostarsi all'Arte: introduciamoli nei reading poetici, nei cenacoli letterari, nelle sale che ospitano le manifestazioni dei “sani” Concorsi di Poesia.
    Convinciamo le “nuove leve” che non tutte le nostre eredità culturali sono infangate dal malcostume o dal pressapochismo. Se riusciremo a conquistare la loro fiducia sarà più agevole prospettare, anche ai talenti più riluttanti, un futuro migliore, rendendoli orgogliosi delle capacità intellettive che posseggono ma che non riescono a valorizzare poiché privi di una guida.

    Riprendo in mano il filo conduttore del dibattito, e augurandomi che giurie esaminatrici e liriche partecipanti percorrano sempre i limpidi sentieri dell' “onestà intellettuale”, concludo rammentandovi il saggio monito di Maria Ebe : “ chissà se siamo ancora in tempo a salvare quel soffio vitale e lieve chiamato "poesia" oppure continueremo a stupirci se nessuno più acquisterà un libro di versi. “

    Roberto Mestrone

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  17. Caro Pasquale, Ti ringrazio vivamente per avermi dato l'appellativo di -promotore- o qualcosa di simile di questo bellissimo dibattito che si è via via venuto a formare sul tema dei concorsi di poesia. Bello e interessante leggere i numerosi e dotti interventi che per Tuo autorevole tramite sono venuti alla luce, e anche per mezzo di questo meraviglioso blog del Prof. N. Pardini che per Sua magnanimità e copiosa generosità ci ospita. Tanta vivacità mi fa dire che il tema in argomento è alquanto sentito e partecipato. Nel mio piccolo mi sono soffermato solo sull'aspetto economico che a mio avviso è il più appariscente e il più odioso.Debbo darti atto che allargando il problema sono venute fuori numerose ombre in materia che dopotutto, pur mai esternati magari in un consesso, intimamente se ne ha la consapevolezza. Chi, di vecchi partecipanti non sa e/o non intuisce che dietro a un premio letterario ci sono dei nei più o meno vistosi e per i quali l'anno successivo viene eliminato dal pensiero di parteciparvi?. Dopo anni di partecipazione a detti premi, per tale ragione, la mia adesione si è più che ridotta a un numero esiguo contate sulle dita delle mani e che siano prioritariamente senza o quasi tassa di lettura. In risposta alla Prof.ssa Ferraris in fondo al mio articolo dicevo che la validità dei premi comunque non è eliminabile per almeno 3 motivi: per un continuo confrontarsi tra poeta e poeti; per un continuo mettersi in discussione al fine di valutarne lo stadio poetico raggiunto e, infine, se si vuole, per continuamente aggiornarsi sull'evoluzione degli stili poetici che si delineando nel tempo. Una delle cose che si potrebbe fare di concreto, per cercare di arginare quei nei di cui sopra, potrebbe essere ( e lo dico come modesto suggerimento al caro Prof. Pardini) sarebbe quello di non pubblicare nel blog premi con una tassa di lettura che non superi una certa cifra ( da stabilire) e quelli dei quali se ne avverte il sentore di poca o niente obbiettività, serietà, chiarezza e quant'altro in merito. Grazie Pasquale, con la tua bravura espositiva hai indotto tutti ad esternare il proprio pensiero sull'argomento che per noi lettori del blog è più che importante per avere le idee chiare quando ci accingiamo a partecipare. Hai sempre la mia stima Pasqualino Cinnirella

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  18. No, intervengo. Linguaglossa non può dire che si è escluso lui dai concorsi, è stato cacciato via perchè incompetente e non valido. Linguaglossa si è persino permesso di dire ad amici che si è allontanato lui dal sito di Erato, quando sa bene che non è cosi, per la sua padronanza e nonrispetto è stato cacciato dal sottoscritto. Linguaglossa, lei insieme a Puzzoni e la Simeone, continuate pure nella non poesia, la non poesia vera, quella che intendo io, ovvero il nulla poetico. Ma non dica falsità. Sono capace di smentirla in tutto.

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    1. Rispondo al personaggio Luciano Nota che me ne sono andato dal blog Erato quando il medesimo era precipitato in un blog per signorine e per dilettanti.
      Una nota al Nota: il "puzzone", come lui lo chiama, è un poeta degno di questo nome e non un dilettante astioso e invidioso come lei.

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    2. Lei è falso in tutto, e la sua falsità la divorera' come noce. Non merita più risposta.

      Luciano Nota

      p.s.

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  19. Ops, scordavo di firmarmi. Luciano Nota

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  20. Come non condividere l’articolo di Pasquale Balestriere, e come non essere d’accordo con tutti i vostri commenti? E come non sottoscrivere la chiarissima risposta di Roberto Mestrone? Certo: sono d’accordo! Come tutti… ma mi permetto di stuzzicarvi un po’ dicendo: attenzione! Il problema dei premi letterari è secondario rispetto al primo dei problemi. Non dimentichiamo che in Italia vi sono circa 2700 editori e si pubblicano quasi 70000 titoli l’anno! Se pensiamo che molti editori hanno il proprio premio letterario, si fa presto ad arrivare ai quasi 2000 premi letterari di cui si dibatte, e detta così mi sembrano anche pochi.
    Ma veniamo al punto: si sa che i premi di maggior risonanza sono appannaggio degli editori dominanti (ma parliamo forse di una dozzina di concorsi?), si sa che alcuni premi di minima rilevanza non faranno la storia della letteratura (e sono la maggioranza), ma di questi quasi 2000 premi, ce ne saranno almeno 150-200 (il 10%) da salvare?
    Credo che il nostro dovere non sia chiudere le porte a queste dinamiche, semmai dovrebbe essere quello di valorizzare gli esempi virtuosi e con questo dare orientamento a chi ne ha bisogno (e mi sembra che alcuni blog, tra cui Léucade, in parte lo facciano già). CONTINUA

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  21. CONTINUA: Per tentare di risolvere il problema sollevato da Pasquale Balestriere sarebbe utile che il dibattito si focalizzasse su quali siano i parametri da valutare quando si intende partecipare a un premio letterario. Chi di queste cose ha esperienza dovrebbe guidare chi invece questa esperienza non ce l’ha. Gli autori emergenti vanno aiutati a scegliere. Così facendo le iniziative di valore avranno maggior seguito e quelle di meno valore dureranno quanto meritano.
    Mi permetto di fare qualche osservazione specifica:
    1) Di recente mi è capitato tra le mani un bando di un premio ritenuto importante, che premiava anche poesia e narrativa edita. Probabilmente i giurati erano di grande qualità , ma sapete, quando ho letto che tra la data di scadenza e la data di premiazione c’era solo un mese… come potevo dar credito al bando? Me lo dite voi come si fa a leggere e valutare circa 200 romanzi o duecento volumi di poesia (perché quelli sembrava che fossero i numeri) in poche settimane?
    2) Molti premi letterari hanno scopi umanitari, oppure sposano cause civili. Non so quanto possano essere credibili per la storia della letteratura, ma già l’impegno degli organizzatori e la causa che portano avanti meritano il contributo di chi vi partecipa.
    3) I premi letterari chiedono tasse di lettura, e lo capisco: bisognerà pur trovare i fondi per gestire l’organizzazione o per la cerimonia di premiazione. Questo non significa che i rari premi che non chiedono contributo siano più o meno seri.

    Ora mi si consenta di fare un esempio molto personale. Sono il promotore del premio letterario e fotografico “La voce di Porta Portese oggi”. Ho iniziato senza pretese, ma con la convinzione che il mio quartiere ne avesse bisogno. Bene, ho coinvolto il Municipio, i commercianti di zona, le scuole, ho preparato un po’ di documentazione e ho fatto presentazioni sulla storia del quartiere alle elementari e alle medie semplicemente per coinvolgere i bambini in questa iniziativa. Ebbene, i bambini hanno scoperto il loro territorio, le scuole hanno aderito con entusiasmo, e di recente è anche uscito anche un bellissimo libro (recensito in questo blog) che raccoglie i lavori dei bambini di Porta Portese. Questo lavoro è diventato un messaggio alle istituzioni, aiuta il Comitato di quartiere nelle sue battaglie per il verde e la pulizia, e ha fatto sì che le famiglie si riunissero… insomma, è chiaro che un premio letterario e fotografico che non ha nessun valore per alcuni può essere invece di grande valore per la comunità? Se qualcuno mi venisse a dire che il mio premietto insignificante va disertato perché non è serio me lo mangerei vivo!
    Concludo dicendo che al riguardo è stato redatto da me e da Franco Campegiani un Manifesto Culturale, anch’esso pubblicato su questo blog, che consiglio a tutti di leggere.
    Grazie
    Claudio Fiorentini

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  22. Ringrazio vivamente gli intervenuti, i quali -tutti (meno uno)- hanno portato preziosi contributi al dibattito, che si è sviluppato ricco e multiforme.
    A quanto ho già scritto ( che confermo in toto) aggiungo- e sono d'accordo con Lorena Turri- che un concorso letterario degno di tal nome non può non mettere i premiati in condizione di essere presenti alla cerimonia finale, quanto meno contribuendo alle spese di soggiorno e di viaggio (l'Italia, si sa, è lunga e gli spostamenti costano). In tal senso una "democratizzazione " della poesia sarebbe auspicabile, visto che non sempre i poeti sono ben provveduti economicamente.
    E, per passare a una fase operativa, vorrei anche avanzare una proposta: di creare, cioè, da qualche parte (magari su un blog, in un sito, ecc.) uno spazio dove i poeti potrebbero segnalare quelli che, a loro parere, sono i premi letterari più virtuosi e seri, citandone le positività e firmando la segnalazione, a garanzia di affidabilità.
    Ciò per consentire a chi partecipa a un concorso di potersi difendere da mascalzoni e lestofanti. E pure per riconoscere il giusto merito a tanti operatori che lavorano davvero per la Cultura.
    Che ne dite?
    Pasquale Balestriere

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    1. Giustissima l'idea di una guida ai premi letterari, ma anche lì
      attenzione: le giurie cambiano, i concorsi evolvono, molti nascono,
      altri muoiono.... forse più che una guida ai premi, sarebbe meglio
      definire i criteri di scelta e lasciare che ogni individuo li applichi
      sulla base delle proprie esigenze.

      La questione monetaria, invece, la lascerei agli organizzatori. A parte
      alcuni casi che non meritano la nostra stima, molti di loro (e mi ci
      metto anch'io) sono dei volontari appassionati che spesso mettono mano
      al portafoglio per portare avanti l'iniziativa.

      Piuttosto parliamo della visibilità che potrà dare il premio all'opera
      vincente. Andate in libreria il giorno di una premiazione, e vi sfido a
      trovare non dico una vetrina coi volumi premiati, che sarebbe il
      massimo... ma almeno una locandina che parla del premio... Ecco, lì mi
      soffermerei: un premio deve dare visibilità all'opera vincente e
      all'autore. Non serve a molto avere una pergamena da appendere al
      muro... serve invece che si parli dell'opera, che le librerie mettano
      in
      evidenza i volumi premiati... che qualche giornale ne parli... quello
      dovremmo pretendere dai premi letterari.

      Buona giornata
      Claudio Fiorentini

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    2. Bella idea caro Pasquale che condivido in pieno ed ha una fattibilità immediata e anche incisiva. Anche il suggerimento di Claudio Fiorentini mi pare altrettanto valido. Cerchiamo di unificarli e senza indugio concretizzarli quanto prima. Anch'io ho diversi premi da suggerire per la loro serietà e validità letteraria.
      Pasqualino Cinnirella.

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  23. Prego i commentatori di usare termini adeguati per un salotto culturale attorno al cui tavolo ci dovremmo riunire abitualmente per discutere con educazione e decoro di temi che ci rendano amici e che aiutino la Poesia nel suo delicato compito di elevarsi dal singolare al plurale. Qualora riscontrassi interventi non consoni ai sani obiettivi di Lèucade mi troverei obbligato ad eliminarli.
    Il vostro Nazario

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    1. Ben detto e ben scritto caro prof. Pardini; non si può macchiare questo blog culturale di beghe meschine tra gli intervenuti le quali vanno a mortificare l'alta finalità fino ad ora preservata. Pasqualino Cinnirella

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  24. GIURIE E PREMI.

    Leggendo la ben illustrata analisi di P. Balestriere e i commenti che ne sono scaturiti, ho provato una strana sensazione, e cioè che tutti dicono cose giuste, ma anche, per qualche aspetto, discutibili o, comunque, da approfondire. Contravvenendo ad ogni regola di scrittura, parto dalle conclusioni, così chiarisco immediatamente il mio punto di vista, da perfetto “concorsaro” quale sono. Si partecipa ai vari premi letterari perché credo sia l’unico modo (parlo di carta stampata e non di blog) per far circolare la poesia, che è fuori da ogni logica di mercato (qui un’Associazione intelligente, lì un Assessore alla cultura illuminato, ecc., in comunione con un manipolo di persone che amano la poesia). Quando partecipiamo ad un premio, dobbiamo essere assolutamente consapevoli che: 1) non conosciamo i gusti e il valore dei vari componenti della giuria (solo poche volte, e correttamente, vengono annunciati i loro nomi nel bando); 2) sappiamo cosa noi abbiamo scritto, ma non conosciamo la qualità degli scritti altrui; 3) dobbiamo sempre accettare il verdetto della giuria, anche quando è spiacevole nei nostri riguardi, altrimenti è meglio non partecipare. Insomma, le giurie ci vengono imposte, non siamo noi a sceglierle, e sono insindacabili nelle loro decisioni (criticabili, sì!).
    Queste, dunque, le mie conclusioni. Ora vengo a qualche dettaglio sulla questione, così vivacemente illustrata dall’Amico Pasquale. Farei immediatamente una distinzione: alcuni premi di poesia sono destinati a nomi “illustri” supportati da case editrici “risonanti” (premi dedicati all’edito, gestiti – come è stato ampiamente detto – secondo una prassi clientelare); altri chiedono esorbitanti tasse di iscrizione, mettendo in palio la solita medaglietta (meglio evitarli); altri, infine, e sono una buona parte, consentono ai vincitori di intervenire alle cerimonie di premiazione, prevedendo un gettone di presenza, l’ospitalità o un rimborso spese (l’Italia è lunga, come dice Pasquale, e i costi logistici di viaggio e pernottamento sono onerosi). E sono proprio questi ultimi concorsi, a mio parere, ad essere gestiti con onestà intellettuale e serietà d’intenti.
    È passione autentica quella che ci fa andare in giro per l’Italia quando abbiamo il piacere di entrare nella cerchia dei vincitori, è una grande occasione per conoscere posti nuovi e per incontrare amici con cui parlare del fascino della nostra Arte (e non solo). CONTINUA

    G Caso

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  25. CONTINUA: Sono d’accordo con chi sostiene che una giuria debba essere la più eterogenea possibile, meglio che in essa vi siano poeti più che professori: per poter giudicare un testo, bisogna essere amanti della poesia, bisogna “sentire” la poesia. Chi ama la poesia non fa una lettura frettolosa ed epidermica dei testi sottoposti al suo giudizio, ma scava in profondità, cerca la luce della verità e della bellezza, ove vi sia. Un premio serio non deve essere una manifestazione mondana da abbinare alla sagra delle lenticchie, né una passerella di premiati: deve essere prima di tutto un omaggio alla Poesia.
    Per quanto riguarda il problema della metrica (e lo dice uno che si nutre di endecasillabi), questo è il mio pensiero. Certe poesie sono così fresche, semplici, genuine, spontanee, da doversi scrivere senza seguire una particolare metrica, da doversi pronunciare con leggerezza se tale leggerezza è contenuta nelle parole. Preferisco una poesia completamente libera da schemi metrici, ma che pure abbia un suo respiro interiore, ad un sonetto che suoni vuoto come un cozzare di conchiglie, o che abbia versi zoppicanti, o che si avvalga di rime approssimative, stucchevolmente ripetitive. Anche una poesia “libera” può avere una sua musicalità, una sinuosità espressiva che affascina e cattura l’intelligenza e il sentimento del lettore. Se non vi fosse stato il verso libero, non avremmo potuto goderci, ad esempio, le poesie del primo Ungaretti o del secondo Montale, né le traduzioni di tutti gli stranieri (i grandi anglosassoni, ispanici e francesi), quando le traduzioni non risultino piatte e siano animate da sincero afflato lirico.
    Ma attenzione! Non c’è che un sottile confine a dividere la poesia dalla prosa, la poesia da quella che viene detta prosa poetica, perché quest’ultima è spesso didascalica, descrittiva e non ha in sé un’anima poetica. Inoltre, l’endecasillabo crea un problema che non è di scarsa importanza: eccetto in qualche rara occasione, ho sentito letture a dir poco raccapriccianti, durante le quali i versi sono stati “cantati” con voce stentorea e stonata, incurante del ritmo e degli accenti. Anche l’orecchio vuole la sua parte di godimento, come l’intelletto, come il cuore!

    Giovanni Caso

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  26. "Chi ama la poesia non fa una lettura frettolosa ed epidermica dei testi sottoposti al suo giudizio, ma scava in profondità, cerca la luce della verità e della bellezza, ove vi sia...", mi fa veramente sorridere questo Caso. Sembra sceso da Marte. E non è un caso che le giurie si trovino davanti a più di mille composizioni da leggere e valutare in poco più dio un mese. Perché se non lo sa (e non ci credo) glielo dico io: queste sono le statistiche. Di media partecipano dai centocinquanta ai trecento concorrenti con tre poesie a testa; fate voi il conto. Dove si può cercare quella verità tanto proclamata da questo signore. Un'altra media che è più o meno nota è che le giurie hanno poco più di un ,mese per la lettura e la valutazione. Non sarà che Caso, guarda caso, si trova fra quelli che fanno parte di un numero considerevole di giurie...? Diceva il mio amico Giulio che a pensar male si fa peccato ma il più delle volte si indovina.
    Di Biagio Antonia

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    1. Giovanni Caso non ha certo bisogno di avvocati difensori (né qui io intendo minimamente assumere tale veste), ma le parole in (incredibile) libera uscita che leggo nei suoi riguardi meritano di essere accuratamente recuperate con la ramazza e messe in sicurezza nei cassonetti della spazzatura. Sono del tutto gratuite e infondate, nei confronti di una persona assolutamente trasparente e di un poeta dalla voce alta e limpida come poche, ovvero quella di Giovanni Caso, le rudi allusioni della tale che si firma (prego!...) per cognome e nome (ma si sa che ormai la grammatica italiana è divenuta ostaggio di avventurosi orecchianti di ritorno, i vari “Rossi Giuseppe” o “Verdi Giacomo”…). Lasciando tuttavia da parte quelle apodittiche e fantasiose insinuazioni sul Giovanni Caso poeta-giurato-addetto ai lavori (insinuazioni che si commentano da sole), vorrei qui porre l’accento su un aspetto più leggero ed “elegante” (si fa per dire) posto alla nostra attenzione dall’imprevista interlocutrice, ovvero l’approccio ad una questione, diciamo così, “ontologica”: Giovanni Caso è stato bellamente apostrofato con l’appellativo di “questo signore” (con virgolette, trattandosi di una citazione). In verità credo che questa signora (senza virgolette, trattandosi di patrimonio esclusivo suo proprio) ha forse provato disinvoltamente e furbescamente a disfarsi di un ingombrante appellativo che le appartiene di diritto, appioppandolo maldestramente ad una persona che, per il titolo in parola, è invece irreparabilmente un (per così dire) “non avente diritto”…
      Sono (quasi…) sicuro che vorranno comprendermi, e vorranno perdonarmi, i pazienti e incolpevoli amici del blog.
      Umberto Vicaretti

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    2. Condivido totalmente l'intervento di Umberto Vicaretti. Lo scritto della sedicente "Di Biagio Antonia" (!) trasuda astio e malanimo da ogni parola. Mi viene anche da pensare che la firma sia artatamente apocrifa. Comunque si tranquillizzi, signora (o signore?). Caso è poeta -solo poeta- di grande bravura e notorietà, stimato e benvoluto, anche se io dubito fortemente che lei non lo sappia.
      Aggiungo, per dissolvere i suoi dubbi, che per un lettore e conoscitore di poesia (come per passione, professione o studio dovrebbe essere un qualsiasi componente di giuria) non è assolutamente impresa impossibile esaminare in un mese un migliaio di liriche. Le assicuro che nei concorsi poetici odierni -non so in passato- già all'atto della prima lettura si può procedere ad un'ampia scrematura, quanto meno di un 80% dei componimenti che non valgono niente e sui quali è assolutamente inutile perder tempo; perché le sciocchezze si possono leggere pure quattro volte, ma rimangono sciocchezze. Il vero lavoro del giurato viene dopo, su quel 20%, su cui dovrà operare con grande accortezza, rispetto, competenza e sensibilità.
      Pasquale Balestriere

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  27. Ho letto con stupore/indignazione le considerazioni riguardanti il poeta Giovanni Caso e vorrei ricordare che i suoi scritti sono un esempio di altissima poesia.
    Giustissima ed apprezzata la puntuale analisi di premi e giurie.
    Per quanto poi concerne “il problema della metrica” non posso far altro che condividere il commento di Giovanni.
    Giannicola Ceccarossi

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  28. Non c’e’ molto da aggiungere a quanto detto nei molti post precedenti, tranne che le giurie sono formate da uomini e, come tutte le attivita’ umane, sono soggette a pecche, corruzioni, debolezze.
    Nei miei anni di partecipazioni ai concorsi ho trovato di tutto, dale giurie provinciali che premiano qualche individuo sconosciuto che, guarda caso, proviene dallo stesso paesello del presidente di giuria, a pompose manifestazioni che premiano case editrici conosciute solo per dare maggior lustro ai loro concorsi. Allo stesso tempo, mi sono anche imbattuta in giurie di grande rigore e onesta’, che non meritano di essere categorizzate insieme a quelle meno scrupolose e oneste.
    Come ultima cosa, credo sia importante sapere che non esiste LA POESIA come entita’ unica, immobile e immutabile nel tempo. E, come la poesia, anche I tipi di giurie sono varie e variegate. Spesso chi non viene premiato accusa la giuria di incompetenza, il che spesso non e’ il caso. Faccio un esempio. Io, che non scrivo versi in metrica, sono certamente esclusa da concorsi dove la metrica e’ un requisito fondamentale. Allo stesso tempo, ci sono giurie piu’ proponse a giudicare favorevolemente un tipo di poesia sperimentale, una scrittura di tipo innovativo che non da tanto peso alla forma metrica e tende a non favorire un linguaggio lirico. Queste differenze necessariamente implicano l’essere esclusi da una o l’altra categoria, ma non riflettono necessariamente sull’onesta’ o la comepetenza dei giurati. Semplicemente ne riflette I gusti e meno male che I gusti sono molteplici e non sono discutibili.
    Daniela Raimondi

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  29. Rispondo brevemente alla mia carissima amica Maria Ebe Argenti, che si pone il seguente quesito "Ma la poesia è moderna soltanto quando è scritta usando un linguaggio attuale, affinché tutti la possano comprendere. Inoltre, come fanno a distinguerla dalla prosa se è priva della metrica che caratterizza i versi ed è alla base del ritmo?"

    Nella mia modesta opinione, ci sono solo due criteri che distinguono la prosa dalla poesia / la capacita' di sintesi e il potere visionario. La liricita' del linguaggio e la forma metrica non sono i soli criteri di giudizio. Un abbraccio.

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  30. Sono d'accordo sul giudizio che si dà, erroneamente, alla poesia. Ossia si giudica il contenuto e non la forma, ossia il rispetto delle regole che attengono alla composizione poetica: l'uso di termini meno conosciuti, l'uso di figure retoriche, la metrica, le rime, etc. Tutti elementi che solo commissari preparati sono in grado di valutare.

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