(*)E guardi il mare quieto
I
versi dell’autore si caratterizzano, come sempre, per una marcata attenzione
alla realtà naturale, còlta nella sua varietà vitale di elementi diversi,
accostati e descritti nella loro specificità captante e tonificante per l’animo
dell’osservatore curioso e partecipe.
Dinanzi
al mare si registra una duplicazione del punto di vista: dalla prospettiva
aerea, a distanza, denotante l’estraneità “diffidente” del gabbiano, si passa
alla visione ravvicinata che favorisce e accompagna un contatto di superficie, che a sua volta
vale la premessa di un’immersione, e rivela un interessante scarto semantico.
Il perpetuum mobile dell’acqua marina
si fa metafora della coscienza dell’uomo, il cui ritmo interiore –
imprecisabile, sempre sfuggente – è scandito dal continuo trascorrere di
determinate attimalità, scaturite da “ situazioni del presente”, nel repertorio
personale ordinato e vissuto della memoria, nella più vasta storia individuale.
La
mente umana vive infatti della dialettica costante del tempo, divisa fra il
bisogno di approdo, di auto-limite, di radicamento, e la passione
etico-intellettuale per l’ “oltre” (“il mondo oltre la boa,/ oltre l’azzurro
profondo”), per tutto ciò che è mistero e fatica, illusione di mète temibili
eppur affascinanti.
Floriano
Romboli
E guardi il mare quieto, dall'alto, con occhi di gabbiano,
diffidente, da vicino lo vedi spumeggiare di moti impercettibili,
corpi minuti si confrontano, divergono, s'infrangono, senza tregua,
ora qua, ora là, in ogni orientamento, in ogni dove, onde
luccicanti al sole come mosse da un vento invisibile che soffia
in superficie dove nulla permane di ciò che sull'acqua cammina.
Niente di sé conduce l'onda marina, solo l'eterno scivolare.
Non è un oggetto, non ha argomenti, la chiara identità
delle sabbie finissime, degli scogli. E' solo un fluire di eventi,
al pari del tuo corpo nudo fatto di incostanti molecole.
E più l'onda s'appressa, più l'animo trascende l'attimo
appena vissuto prima di sciogliersi, nuovamente in mare.
Chiedersi se la mente sia la rada dove ammarano i gabbiani
il porto che si lascia docilmente insabbiare da voci rauche,
sentimenti, in un solo pensiero. Ecco perché temi il mondo
oltre la boa, oltre l'azzurro profondo, il fosco remigare,l'orizzonte.
“DIECI POESIE INEDITE di Ubaldo de Robertis da Parte del discorso (poetico)”
La prima considerazione è questa: che la poesia di
Ubaldo de Robertis sia ancorata attorno all’endecasillabo e all’onda sonora
dell’endecasillabo. La seconda considerazione è che l’onda sonora fluisce
indisturbata di poesia in poesia, infatti quasi non ci sono i punti finali tra
una poesia e l’altra. La terza è che nella poesia di de Robertis si intuiscono
grandi spazi, i luoghi non sono mai determinati ma disseminati, sembrano
trasmigrare da uno spazio all’altro, di qui la predilezione per il mare e i
paesaggi marini, per eccellenza liquidi, i gabbiani, le barche, la foce etc. La
luce è «luce meridiana» che investe lo spazio là dove il «tempo» sembra
arrestarsi:
il tempo stesso rallenterà
il suo corso
fino ad arrestarsi
L’io sembra defluire e dissolversi e restare
indeterminato. È una tipica procedura della poesia lirica; de Robertis non si
propone di rivoluzionare la lirica ma di concentrare le sue forze in un discorso
compatto, nel quale i versi fluiscono a solenoide, l’uno nell’altro, l’uno
oltre l’altro, fino a disegnare la figura di un «labirinto» dal quale l’io non
può uscire se non per trasmigrare in un altro tempo e in un altro spazio. Ecco
spiegato l’impiego di certi versi all’infinito (che è una declinazione
dell’inazione del verbo):
Ruotare attorno ad una stella
pianeta di luce sospesa
abbandonando il punto
L’origine
Di qui anche l’uso di certe immagini irrrealistiche come
l’arcobaleno:
Dentro l’arcobaleno si vive
di un tepore sottile
coscienza nuova che imprime
nuova vita l’amore.
Direi, a prima vista, che è una poesia dove non avviene
niente (tipico della poesia lirica) se non la fenomenologia di una attesa
estatica e panica affidata a certi verbi riflessivi «si vive»…
La mia
osservazione sull’uso dei verbi all’infinito da parte di de Robertis non vuole
essere una constatazione di valore ma un rilevamento di come un certo uso dei
verbi all’infinito sia in connessione con una poetica precisa, ed è in relazione
con il modo in cui questa poetica viene sviluppata nella concretezza della
poesia che deve essere letta quella mia osservazione. Anche nell’Infinito di
Leopardi non succede nulla, ma ciò non toglie che sia una grandissima poesia.
Vorrei chiarire la frase che ho usato riguardo alla poesia di de Robertis là
dove scrivo che nella sua poesia «non accade niente»; anche nella poesia di un
Mallarmé non accade nulla di verificabile e di accertabile, ci sono solo
sfumature, vibrazioni, allusioni, ma ciò non implica un giudizio di valore,
almeno da parte mia, ma è soltanto una constatazione di fatto.
Se leggiamo con attenzione la poesia di de Robertis ci accorgiamo che il suo
“oggetto” è qualcosa di impalpabile, di non referenziato, che il lettore deve
tradurre con la propria sensibilità in una significazione valida anche per lui.
E guardi il mare quieto dall’alto con occhi di gabbiano
diffidente da vicino lo vedi spumeggiare
di moti impercettibili corpi minuti si confrontano
divergono s’infrangono senza tregua ora qua ora là
in ogni orientamento in ogni dove onde luccicanti
al sole come mosse da un vento invisibile che soffia
in superficie dove nulla permane di ciò che sull’acqua cammina…
Siamo qui davanti ad un registro
linguistico e stilistico che rigetta la significazione letteralizzata. Ma queste sono particolarità stilistiche che ogni poeta utilizza
secondo le proprie posizioni di poetica e la propria sensibilità.
E vola il pensiero alla lirica di Cardarelli: "Non so dove i gabbiani abbiano il nido / dove trovino pace"... Ritrovo l'eterno migrare di queste creature del cielo, così simili al 'fluire degli eventi' umani, ma il Poeta s'immedesima nel gabbiano fino a guardare "il mare quieto, dall'alto"... Fino a spingersi verso l'oltre, al quale accenna il Professor Nazario. Un oltre che apre scenari d'ogni genere. Le liriche sul mare sono, da sempre, battenti sull'orizzonte della vita che si schiudono, ma nel caso dei versi di Floriano Romboli, diviene "Niente di sé conduce l'onda marina, solo l'eterno scivolare", ovvero un divenire lento, pigro, privo di slanci verso il dopo, verso il futuro. Le figure dei gabbiani hanno timore di spingersi in mare aperto, "oltre la boa, oltre l'azzurro profondo", hanno grida roche e non fanno nidi. Creature destinate a 'balenare in burrasca'. Struggente la lirica dell'Autore, il ritmo simile alla risacca, che evoca il nostro perenne rischio di restare spiaggiati o di mulinare tra la boa e la riva, privi di sentieri per provare a inventare un domani...
RispondiEliminaMaria Rizzi
Errata Corrige: i versi sono di Ubaldo de Robertis. Mi scuso con l'Autore!
RispondiEliminaMaria Rizzi