Antonio
Spagnuolo: Oltre lo smeriglio
Kairós
Edizioni. Napoli. 2014. Pg. 58
Così, attendo talvolta nel
tramonto
il riflesso leggero di un
colore
che mi stupisca,
come allora il bisbiglio
delle tue labbra rosate, nelle
sere.
Un
azzardo continuo verso cime che annullino una realtà, frantumandola,
spicciolandola, per renderla meno pesante; ma, anche, per renderla più presente,
più vicina, se rivissuta con potente emotività memoriale. E si sa che la
memoria può essere un grande patrimonio dalla duplice valenza: coscienza di un tempo
che irrevocabilmente fugge, privandoci di voci vitali; o edenica quietudine di
rievocazioni che tanto sa di rinascita. D’altronde l’immagine stessa è un vissuto
che torna ingrandito, indeterminato, diverso, e rivestito di un sentire che si
fa carburante generoso per una resa poetica. E qui, direi che Spagnuolo usa tutti
i mezzi del subconscio per svincolarsi da un reale troppo umano; per sfuggire alla
morsa di thanatos che tanto è inconciliabile col fatto di esistere, dacché tutto ingloba e sotterra, tutto annulla in un
niente perpetuo di difficile comprensione per la mente umana. D’altronde le
categorie del finito e dell’infinito, del sempre e del nulla, hanno sempre
creato problemi alla miopia congenita della nostra essenza. E per superare quel
vincolo che ci tiene legati alla morsa indissolubile della precarietà il Poeta ricorre
a sublimazioni d’incontri d’amore, di giochi di fianchi, di strette
incandescenti, che vincono, alla grande, su tutto ciò di cui si nutre la morte:
l’oggi, l’ieri, il domani, le cose, gli affetti, la vita. Ricorrendo, appunto,
ad un mondo fatto di cospirazioni che né il tempo né il luogo possono
annientare, e ad un mondo che tradisce la fine, ospitando il Nostro in una sfera
che si fa oltre terrena, sovrumana, direi. Non, certamente, metafisica, ma
topos a cui si giunge partendo da crude terrenità: “Ora potrei contare le tue
ossa/ e inorridire al buio della bara”, da particolari di sofferenza di cui si
nutre l’esistenza con le sue sottrazioni. Ed è per questo che la vicenda si fa
piedistallo su cui erigere un tempio che vinca la clessidra; che faccia del
passato un presente au dessus de la mort. Uno stadio spirituale che agguanti
con ermeneutica energia la coda dell’eterno; quello stadio per cui la donna
amata e tutte le cose che lei ha sfiorate compreso quelle di una natura
collaboratrice, vengono trasferite in una specie di iperuranio dove possono
avvicinarsi solo le anime capaci di grandi trasalimenti. Di quei subbugli
interiori che dopo una decantazione da via crucis si guadagnano l’accesso a
tale categoria esistenziale. Ma per raggiungere questo oltre, questo Oltre lo smeriglio, per guadagnarsi le
sfere che accolgono “il bisbiglio/ delle tue labbra rosate, nelle sere” il
Poeta sa giocare contro l’ora, fino a svanire, fino ad invocare l’infinito,
perché sa, e ne è cosciente, che i guizzi emotivi della sua storia vanno proprio
oltre il condizionamento delle vicissitudini terrene. E sa che è capace di
ridurre o di annullare quella distanza che lo separa dalla “vita”: “Sfioro gli
intarsi di novembre/ rincorrendo gli incanti della tua distanza”.
Due
mondi, sì! Il reale e il subconscio; e fra i due una scala etimo-fonica di urgente
potenza creativa che sa unirli con perspicua vicinanza umana; con l’impiego di
un verbo che si inanella agilmente in una metaforicità di effetto significante;
in un verso agile, generoso, ora forte, ora dolce, che sa cristallizzare con le
molteplici varianti le oggettivazioni dell’animo, e che sa affidarsi ad armonie
endecasillabe nei momenti di maggior ispirazione empatica.
Nazario
Pardini
Eh, sì, caro Nazario. La poesia di Antonio Spagnuolo ha radici in una lunga pratica creativa e in un' acuta sensibilità, resa più commossa e vibratile da un grande dolore. Ora i versi del poeta napoletano sono percorsi dal nervo scoperto di un’ humanitas che arricchisce ed emoziona, scuote e gratifica. E affascina con la sua sofferta grazia, rivelando tutta intera la pena e le laceranti nostalgie di chi ha perso un bene preziosissimo. Ma la persona amata, scomparsa dal mondo, ritorna sempre in figurazione poetica, invade la memoria, magari per un dato minimo, per un dettaglio, fino a occupare tutto intero il cuore del poeta. E a tenerlo, sia pure per un attimo, come una volta.
RispondiEliminaComplimenti a te, Nazario, per aver colto i tratti salienti della poesia di Antonio Spagnuolo, che affettuosamente saluto.
Pasquale Balestriere
La poesia di Antonio Spagnuolo, già bella e significativa prima, si è arricchita di una semantica linguistica sciolta e sublimante, che fa della memoria un coacervo di immagini, di suggestioni, di emozioni fortissime, tali da indurre il poeta ad una grazia linguistica e ad una organizzazione delle strutture liriche molto ben congegnate. La sensibilizzazione della perdita è stata per lui un'esplosione quantistica, come un vulcano che erutta che cenere e lapilli: la memoria è solo un dettaglio subliminale della nostalgia. Egli è ancora dentro la sfera sentimentale e onirica del suo passato felice, ragione che ne ha fatto affiorare e affinare la sensibilità, consentendo alla parola di visitare le latebre più profonde della coscienza di uomo e di amante, portando a galla ricordi e figurazioni mai sopiti. Complimenti anche per questo libro, che porta il segno della configurazione emotivo-sentimentaledell' oggetto amoroso."Elena" ancora gli vive dentro. E' in lui, nell'aura intensa dell'anima, ha ancora la potenza evocativa dell'emozione, annullando spazio-tempo. Un abbraccio.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà