Voci discrete che fanno eco a
PENSANDO A TE, di Franco Campegiani
1
Già prima d'incontrarci,
da qualche parte eravamo insieme.
Ci conoscevamo,
non sarebbe possibile altrimenti
la complicità scoppiata
all'improvviso tra di noi,
quell'intenso guardarci nel tramonto
con occhi al di là dei nostri occhi,
per sapere chi siamo veramente,
vogliosi di totale comprensione.
Di sicuro c'era, non visto,
un altro sole nel cielo,
al di là del tramonto,
quella sera a brillare.
E noi due sulla spiaggia purissimi,
nel sorriso calmo e lucente
che invadeva sottecchi le cose.
2
Morire in te,
nei neri laghi
dei tuoi occhi limpidi,
come sole che muore
nel notturno mare.
Spegnermi come si spegne
questo ciclone di fuoco che cade
nella rete del pescatore.
Così, languente,
cadere anch'io mollemente
nella rete pescatrice
dei tuoi capelli al vento
nella dolce sera.
E come stella accendermi
nel golfo delle tue ciglia vivide,
nel palpito fremente
del grembo universale.
3
Il tuo sorriso è un passaporto
per viaggiare dentro la vita
senza farsi invischiare dalla vita,
senza cadere nelle trappole del male,
nelle panie del dolore,
nelle ferite della volgarità.
Il tuo sorriso è l'innocenza
che viene dalle roride aurore
con passi lievi ed alati,
fedele alle vertigini
del primo giorno che la terra fu.
4
Baci di fuoco
sull'arenile arrossato
nell'ultimo gocciolare della sera.
Poi un chiaro di luna sul mare,
al di là dei finestrini appannati,
e nella distesa argentata
eccoci galoppare a perdifiato
sui nostri cavalli alati,
occhi negli occhi
nel sincronico respiro
fino a cadere stremati.
Dopo un sonno di pietra
ci sorprenderà l'aurora
come Adamo ed Eva nel vagito
del primo mattino.
Scioglieremo l'abbraccio
quando il carro di fuoco verrà
per la sua corsa vorticosa
nelle piste del cielo.
Vi saliremo impavidi
in un grido di guerra
armati soltanto del nostro
invulnerabile cuore.
5
Mi hai trovato infine
in fondo ai silenzi.
Ero torre solitaria
lungo i litorali deserti,
bastione eretto a difesa del nulla,
contro l'assalto delle onde e dei venti.
Hai spalancato ogni uscio
entrando con l'uragano
del tuo sorriso d'argento,
delle tue mattine di spuma.
Hai riempito ogni stanza
con i voli bianconeri
delle tue ali d'angelo,
con quella tua gioia
onesta e incontenibile
che vola sul mare
nei chiari di luna e si fonde
con i sobri colori delle aurore.
6
Non vederti
mi procura sofferenza,
ma la gioia è più grande
perché so che ci sei.
Questo vuoto è colmo di te,
questo silenzio scoppia di vita.
Pusillanime Orfeo,
quando eri al mio fianco
io non sentivo il respiro tuo ansante,
le tue carezze, i tuoi baci.
Così svanisti, Euridice,
perché io ero pieno di me, del mio canto,
non avevo altro spazio nel cuore.
Ed ora frecce nel cuore
allo spuntare del giorno...
Questo dolore fa bene, rinnova.
Ora che son vuoto di me
e finalmente sono Nessuno,
indosso i panni di Ulisse
e tu ancora sei qui, mia Penelope,
pur essendo lontana.
Tu, pensiero tenace,
tu soffio incerto di nuvole
più potente del tornado.
7
Penso a te,
al tumulto innocente
di fiori e d'albe
che il mistero mi regala.
Non ti sciuperò, saprò tenerti
nel giardino senza coglierti,
così da restarne per sempre ammaliato.
Legarti a me per lasciarti libera,
come io son libero
quanto più a te mi sento legato.
Nel sole nero dei tuoi occhi
mi specchio
e mi vivo.
L'uomo, da sempre, ha bisogno di credere in qualcosa per vivere sereni tramonti ed aurore radiose.
Oltre la fede, anche l'Amore è fiamma che alimenta i cuori e
riempie i vuoti dell'anima.
Franco Campegiani, spalleggiando l'illuminato assunto di Bolettieri sul tema dell' “equilibrio tra felicità e infelicità”
(La felicità assente - Armando Editore - 1995), qui mi sorprende
piacevolmente con sette liriche stupende, limpidi segnali di speranza che, a
ben vedere, oltrepassano la linea di confine creata dall'immaginario collettivo per separare le gioie dalle angosce.
“La felicità senza dolore non esiste”... e Franco ne è ben consapevole:
“Non
vederti
mi
procura sofferenza,
ma la
gioia è più grande
perché
so che ci sei.
Questo
vuoto è colmo di te,
questo
silenzio scoppia di vita.”
E
ancora:
“Questo dolore fa bene, rinnova.
Ora che
son vuoto di me
e
finalmente sono Nessuno,
indosso
i panni di Ulisse
e tu
ancora sei qui, mia Penelope … “
Persino il disincantato Hegel, in alcuni suoi scritti giovanili,
asserisce: “Colui che prende non si trova con ciò
più ricco dell'altro:
si arricchisce, certo, ma altrettanto fa l'altro; parimenti quello
che dà non diviene più povero: nel dare all'altro egli ha anzi
altrettanto accresciuto i suoi propri tesori”.
Campegiani va oltre e...
“Il tuo
sorriso è un passaporto
per
viaggiare dentro la vita
senza
farsi invischiare dalla vita,
senza
cadere nelle trappole del male,
nelle
panie del dolore,
nelle
ferite della volgarità.”
“Hai spalancato ogni uscio
entrando
con l'uragano
del tuo
sorriso d'argento,
delle
tue mattine di spuma.
Hai
riempito ogni stanza
con i
voli bianconeri
delle
tue ali d'angelo, “
… un solo sguardo compiacente dell'amato appaga l'amante in maniera esaustiva, lo riscatta dalle “panie del dolore”, rende innocue le ”trappole del Male”!
Persino Adamo ed Eva, evitando la soglia del loro tramonto nel Paradiso perduto, si appropriarono di un Eden illuminato dall'alba dell'Amore e percorsero i sentieri dell'umana esistenza accompagnati dai battiti accesi di un “invulnerabile cuore”,
protetto dalla corazza del dolce sentimento.
Erich Fromm teorizza (L'Arte di Amare – 1957) che l'Amore è la forza motrice dell'uomo (e quindi della società), ma occorre impegno
e dedizione per conservarlo. Quindi può essere inserito apieno titolo tra le Arti, essendo un patrimonio dell'umanità, da proteggere
e da rendere incontaminato, “libero” dai soprusi di una ragione ipocrita :
“Non ti
sciuperò, saprò tenerti
nel
giardino senza coglierti,
così da
restarne per sempre ammaliato
Legarti
a me per lasciarti libera,
come io
son libero
quanto
più a te mi sento legato.”
L'incanto del “colpo di fulmine” lascia spazio al sortilegio del deja vu sperimentando complici sensazioni e atteggiamenti amorosi che resistono
al tempo e alle lacerazioni dell'abbandono:
”Già
prima d'incontrarci,
da
qualche parte eravamo insieme.
Ci
conoscevamo,
non
sarebbe possibile altrimenti
la
complicità scoppiata
all'improvviso
tra di noi, “
“Di
sicuro c'era, non visto,
un altro
sole nel cielo,
al di là
del tramonto,
quella
sera a brillare.”
E quel …
” Morire in te,
nei neri
laghi
dei tuoi
occhi limpidi,
come
sole che muore
nel
notturno mare.”
… è
tutt'altro che un soccombere fisico!
“eccoci
galoppare a perdifiato
sui
nostri cavalli alati,
occhi
negli occhi
nel
sincronico respiro
fino a
cadere stremati.”
L'unione dei corpi sublima l'idillio amoroso e annulla (“morire
in te”) le angosce e le paure ancestrali proprie di un Adamo stremato
dalla “corsa vorticosa” sul ventre della terra: negli attimi del
piacere (la felicità) il seme dell'uomo (la fatica) viene accolto nel caldo
rifugio della donna amata... e si realizza il prodigio del concepimento.
Io non conosco appieno le motivazioni interiori che hanno
suggerito a Franco componimenti di tale levatura.
La sublimità di quei versi è pari alla loro vocazione di
allertare i cuori maschi privi di tenerezze invitandoli ad abbandonarsi alla dolce abitudine dell' “amorosa e costante devozione”.
L'Orfeo dei nostri giorni è ancor più “pusillanime” di colui che
adorò Euridice ma la perse perché – pur amandola intensamente – fu distratto
dai demoni dell'alterigia e della diffidenza.
Oggi, l'uomo, spesso è “torre solitaria”, “ bastione eretto” a
difesa della propria propensione a snobbare i nobili sentimenti e a prevaricare
la compagna di vita.
Rolan Barthes, famoso saggista inserito nel contesto dello Strutturalismo
francese, nella sua opera “Frammenti di un discorso amoroso” (1977) testimonia, con dovizia di esemplificazioni, che
“l'amore è un'alleanza tra due cuori”.
Guai se così non fosse!
Ogni uomo si ritroverebbe, solo, ad annaspare “in fondo ai
silenzi”...
privo della “gioia onesta e incontenibile che vola sul mare nei
chiari di luna”... lontano dal “sorriso calmo e lucente che invadeva sottecchi
le cose”.
E il cuore di Adamo indosserebbe la veste del tiranno.
Roberto
Mestrone
Ti sono grato, Roberto, per queste stimolanti ed acute riflessioni. Aiutano anche me a fare luce sulle motivazioni interiori che mi hanno spinto a scrivere questi versi e che, francamente, neanche a me sono del tutto chiare. Hai fatto benissimo a citare "La felicità assente" del Senatore Antonio Bolettieri, che ebbi modo di presentare in varie circostanze sul finire degli anni Novanta e che recensii poi nel mio saggio "La teoria autocentrica". E' vero: "La felicità senza il dolore non esiste", l'uno e l'altra sono fasi alterne della vita regolate da una legge equitativa, che è poi la legge dell'armonia dei contrari. Identico principio vale per l'amore, che è chiamato a confrontarsi con il suo contrario, quindi a mettersi alla prova, ad impegnarsi. L'amore è fede, è sacrificio, è devozione, purché - è ovvio - tutto questo sia scevro da dogmatismi e da moralismi. E' bene ricordare infatti che l'amore è scuola di libertà nello stesso tempo. Grazie ancora per le riflessioni che, da par tuo, svolgi e induci a fare.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Recentemente ho letto una poesia di Victor Hugo che si conclude con queste frasi:
RispondiElimina"L’uomo è un Tempio. La donna il Santuario.
Dinanzi al Tempio ci scopriamo
davanti al Santuario ci inginocchiamo".
Quello che hai scritto è meraviglioso.
E, se inizialmente appare chiaro, poi d'improvviso diventa inafferrabile e lascia quasi storditi. Perché il senso, l'emozione piano piano si allargano e accompagnano in altri lidi sconosciuti ma familiari, ad esplorare l'esistenza e l'Amore in tutti i loro strati.
Si allarga anche il cuore mano mano che si continua a leggere.
Un rispetto profondo e solenne si riceve da questi versi, lo stesso che poi si ha voglia di restituirgli attraverso gli occhi, la voce, il pensiero.
Ogni parola sembra vibrare della propria potente fragilità, dovuta all'autenticità di un sentire che si è, necessariamente, prima fatto esperienza.
Leggendo ho avuto l'impulso di ricollegarmi alle frasi di Hugo probabilmente perché è' un po' come se avessi aperto le porte del tuo Tempio ai lettori, che nel tuo lento e leggero scoprirti si scoprono a loro volta, e prima che se ne possano accorgere son già tutti lì, ad inchinarsi, ognuno di fronte al proprio più intimo e universale Santuario.
Camilla Viscusi
Grazie Camilla. Anche tu, come Roberto ed altri, cogli la vibrazione sacrale che mi ha spinto a scrivere questi versi. Tu in modo particolare registri il senso del mistero da cui sono animati: mistero della Vita e dell'Essere, di fronte al quale bisogna soltanto inchinarci in profonda devozione.
EliminaFranco Campegiani
Sono molte le riletture fatte prima di intervenire, caro Franco, per lasciar dissolvere varie superfici pluristratificate di vissuti personali che finiscono per determinare letture limitanti, sovrapposizioni d'abiti che celano ciò che il potere della lirica può evocare. In questo caso, il vissuto d'amore, necessitato all'ineffabilità.
RispondiEliminaE quando il linguaggio deve riconoscere il suo limite di fronte a ciò che lo genera e lo alimenta, misterioso ed enigmatico, deve misurarsi con lo sforzo lirico, lasciarsi coinvolgere in quel turbine estatico transpersonale che, nel rischio tragico dello spaesamento dissolutivo dell'io quotidiano, si concede alla possibilità mitopoietica dell'azzeramento della conoscenza. L'accelerazione orgastica dionisiaca culmina nella metanoica freccia apollinea: una mente si dissolve con tutto il suo bagaglio, e una mente non più mendace si ritrova, neonata, ad essere utero di un vissuto mai vissuto, per il pensiero mai pensato, per la parola mai pronunciata.
Questo, Franco, è il locus solus della lirica e il tuo "Pensando a Te" mi giunge come tensione di un volontario annegare nel Mare, senza nome o identità, della necessaria rigenerazione che, ora, la nostra storia esaurita deve patire. E so di dirla grossa (bisogna pur osare..): un Mare che Leopardi sfiora soltanto e per questo "...per POCO il cor NON si spaura..."
Un silenzio che, rischiando di ritrovarsi nel seno di parole la cui storia culmina nell'abuso depotenziante, ne coglie la forza residua in un rinvio simbolico: il parlare diventa coscienza del non-poter-più parlare, il dire tenta la trasmutazione nella muta immagine, di cui la tua lirica è finemente ma possentemente tessuta. Qui, forse, abita il mistero della mitopoiesi che, appunto, è la muta ("mythos", "myein") emergenza dell'Immagine dalla insondabile abissalità psichica, immensa perché senza misura. Tu sai e non sai del vissuto che si propone attraverso la tua lirica, che per me HA questo potere. Simboli che si rincorrono, si sequenziano, sembrano esistere l'uno dentro l'altro in quel Chaos puro e possente che fa dell'estasi amorosa la cifra di quell'istante in cui la Verità dell'Essere si svela nascondendosi in ciò che mostra: la "A-lètheia" (il non-nascondimento) come strazio ispirativo in cui l'uomo è dilaniato dal contatto istantaneo del vagabondare del dio ("Ale-thèia").
Per questo ti posso dire, io che vivo il Silenzio dell'Immagine, in cui parole e numeri sono meravigliose foglie stagionali destinate all'autunno, che sei nel giusto quando chiami questo tuo vissuto dal frutto lirico "vibrazione sacrale" ed è questa vibrazione sacrale che ora abbisogna del massimo sforzo di amplificazione e diffusione.
La misteriosa iscrizione che sembra fosse presente nel retro del tempio apollineo delfico, ma nota ormai solo come spunto tradizionale, "ESCHATO BABELOI" ("Giunga alla fine la confusione", nel cui termine si associano anche i significati di "barbarie" e "ignoranza"), può essere, insieme alla più nota iscrizione del fronte d'ingresso "GNOTHI SEAYTON" ("Conosci te stesso") il programma di uno sforzo comune con cui dare profondità e forza alla linea del vostro manifesto "IL BANDOLO", cui vorrei dare personale adesione.
Grazie, Franco, e a presto
Vito Lolli
Caro Vito, la tua lettura delle mie poesie d'amore è particolarmente profonda e suggestiva. E' un'interpretazione esemplare che aiuta (anche me) a comprendere meglio gli intenti della mia scrittura: "un volontario annegare nel Mare, senza nome o identità, della necessaria rigenerazione". Il Tutto e il Nulla non sono che facce della stessa medaglia: l'Assoluto. E cos'altro è l'Amore se non esperienza e ricerca dell'Assoluto? Bisogna morire per rinascere, ma morire davvero! Tornare a capo, voltare pagina, perché ogni pagina scritta fa a sé, è un'esperienza in sé conclusa, "un istante in cui la Verità dell'Essere si svela nascondendosi in ciò che mostra". Ed è per questo che occorre perennemente ritornare nella "vibrazione sacrale", "nella vertigine del primo giorno che la terra fu". La grazia e la disgrazia si rincorrono. Come la Luce e le Tenebre, come l'Ordine e il Caos. Sono l'uno nell'altro. Per cui, se è vero che oggi siamo a un passo dalla fine, è altresì vero che si viene preparando l'inizio di un'era nuova. Sono queste le speranze del ("nostro", non "vostro") Manifesto culturale. Ti conosco da anni, Vito, e sono certo che la tua adesione al BANDOLO sarà proficua e significativa.Grazie.
EliminaFranco Campegiani
Ricorda, Franco, che sei stato il primo e l'unico ad aver sentito la provenienza misteriosa e sacrale delle Immagini che mi tocca dipingere. Grazie a te.
EliminaVito Lolli