mercoledì 3 dicembre 2014

MICHELE BATTAGLINO: "L'EPIGONO DI MAGELLANO" DI U. DEROBERTIS

       Ubaldo De Robertis, L’epigono di Magellano, Catania, Edizioni Akkuaria, 2012, pp. 190



   Ubaldo de Robertis, già noto al pubblico per i diversi racconti e libri di poesia pubblicati, ci offre ora, con L’epigono di Magellano, un’opera narrativa di grosso respiro. Si tratta di un romanzo di formazione, che rappresenta il passaggio del protagonista Michele da uno stato di incertezza, sfiducia, disistima di se stesso («fisico modesto… scrittore senza avvenire… mediocre scienziato e scrittore», si definisce a p. 20 e p. 45), da uno stato di confusione-disordine sentimentale (diverse esperienze con ragazze, ma nessun legame vero e nessuna scelta) a uno stato di chiarificazione e maturazione, col ritrovamento di se stesso, di alcuni valori fondanti e di una propria strada, grazie anche alla compagnia e all’esempio del suo gatto Magellano.
   Il testo, in cui l’io narrante narra due vicende parallele interscambiabili, quella del protagonista e quella del gatto, è nutrito di cultura. Diverse citazioni colte lo evidenziano, ma culturale (e quindi costruito dalla mente e dalla fantasia creatrice dell’Autore) è tutto l’impianto. C’è la dimensione umanistica di questa cultura, dovuta agli studi liceali, all’amore per i classici latini e greci e per la letteratura, la narrativa, la poesia: il protagonista ha scritto anche un romanzo, che poi brucerà. C’è la dimensione scientifica: Michele è un ricercatore universitario in Fisica che spesso affronta tematiche scientifiche, tecniche, filosofiche. Predominante è la dimensione scientifica, ma è giusto così perché contribuisce a creare il milieu più consono alle problematiche toccate e al modo di pensare e di agire proprio di un fisico. Per questo le discussioni (anche quelle in cui si parla della funzione della letteratura, del bravo scrittore, di certi critici, pp. 45, 129, 140, 142, 150s.,49, 111), lungi dall’essere noiose, risultano interessanti e coinvolgenti, anche perché sono misurate, contenute, espresse con estrema chiarezza e vivificate dall’immedesimazione appassionata dello scrittore. 
   Per dare un’idea della quantità di riferimenti dotti, ecco un elenco di nomi: Victor Danemore (personaggio ucciso nel film Foreign Intrigue), Jacques de La Palice, Guillaume Apollinaire, Michail Bulgakov e il romanzo Il Maestro e Margherita (ricordato più volte assieme a Margherita, al gatto Behemot e al diavolo Woland), Joann Sfar, il Faust di Goethe, Giacomo Leopardi e I Paralipomeni della Batracomiomachia, il filosofo austriaco Rudolf Steiner, Molière e la commedia Tartuffe, John Steinbeck e il romanzo Uomini e topi, Carl Gustav Jung, Grazia Bordoni (docente di scuola media e studiosa di astrologia), il fisico e matematico austriaco Erwin Schrödinger, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano e il romanzo storico Memoria del fuoco, Carlo Emilio Gadda e La cognizione del dolore, Isaac Newton, Charles Robert Darwin, l’attore e regista americano Johnny Depp, il cantante norvegese Varg Vikernes, Eugenio Montale, Anna Achmatova… 
   I riferimenti culturali sono sempre inseriti nel contesto creativo, fondendosi con le vicende del romanzo e perdendo la loro natura erudita. Qualche esempio servirà a spiegare questo concetto. A p. 39 si ricorda la gatta Muezza, cui Maometto era molto affezionato, tanto da farsi recidere una manica della veste (dove l’animale si era addormentato), per non turbarne il sonno. Al romanziere de Robertis basta un solo verbo (accoccolarsi) per riempire la scenetta di tutto il suo affetto per la gattina del profeta, per Magellano e per tutti i gatti del mondo: «… una gatta pigra che amava accoccolarsi nella manica della sua veste». A p. 18 viene ripresa una dichiarazione del poeta Apollinaire, secondo il quale, per avere una vita comoda, gli erano sufficienti una donna ragionevole, un gatto e dei veri amici. Prendendo lo spunto da questa affermazione, de Robertis fa un confronto tra il poeta francese e il suo Michele, mescolando le due situazioni e rivestendole con un sottile filo di ironia, che è una caratteristica fondamentale e diffusa della sua scrittura e che, a mio parere, è il vero elemento autobiografico del romanzo. Ecco il pezzo: «… Io di amici ne avevo solo uno [Marco Pardini]; il migliore gatto in circolazione rispondeva al nome di Magellano, ma della femmina ragionevole nessuna traccia. Anzi, Camilla pareva animata da una gelida ostilità».
   L’epigono di Magellano ha una struttura lineare. A parte qualche flashback, possiamo dire che fabula e intreccio qui coincidano, in quanto la narrazione in genere segue l’ordine cronologico-causale degli avvenimenti. I personaggi sono presentati con pochi e illuminanti tratti, in parte all’inizio e in parte nel corso della vicenda. In genere si dà spazio più alla descrizione della fisionomia psicologica dei personaggi che alla descrizione dell’aspetto fisico. I dati fisici sono più presenti nei ritratti femminili. I pochi flashback arricchiscono il quadro e scolpiscono meglio personaggi e stati d’animo 
   Quanto al tipo di prosa, siamo di fronte a una prosa generalmente referenziale. Come è noto, una lingua si dice referenziale quando denota, indica chiaramente, esplicitamente e in modo oggettivo 
una realtà o un contesto situazionale, senza voler aggiungere o sottintendere alcuna connotazione, alcun significato simbolico recondito. La poesia è il campo privilegiato della connotazione. Tuttavia, questo linguaggio, sia pure referenziale, ha in sé (non so se in modo cosciente o inconsapevole da parte dell’Autore) una forza espressiva tale da sprigionare e sollecitare emozioni, sensazioni, sentimenti.
    La lingua usata è un italiano medio-colto, preciso, attuale, lineare, asciutto, sintetico. La sintassi predilige forme paratattiche, più snelle e rapide, oltre che più efficaci. Naturalmente, nelle
discussioni scientifiche o tecniche il linguaggio si fa più sostenuto e il periodare si snoda lungo strutture ipotattiche, più complesse.
    Come ho già lasciato intendere, questo romanzo non è un prodotto semplicistico (simile a tanti altri in circolazione oggi), ma ha una matrice colta. Lo scrittore Ubaldo de Robertis mostra di possedere una grande padronanza della tecnica compositiva, ma questa tecnica e questa cultura sono nascoste sapientemente, tanto da sembrare inesistenti. E l’arte, la vera e grande arte sta proprio là dove la tecnica c’è ma non si vede e, quindi, non soffoca il sentimento.
   Assodato che il romanzo va letto per capirlo veramente e gustarlo e che qualsiasi recensione è sempre una lettura parziale e incompleta, concludo con la citazione di un passo (p. 57 s.), in cui una serie di piccoli e semplici accorgimenti tecnici (intenzionali o non intenzionali) trasmettono con la più grande naturalezza di questo mondo una serie di informazioni, allusioni, sentimenti. Michele adolescente va col padre per la prima volta a raccogliere funghi sui monti vicini alla loro città (mai nominata nel testo, ma identificabile con Pisa). Il ragazzo, immerso nella natura, scopre a poco a poco un mondo nuovo, straordinario, che gli accende gli occhi, la mente, i sensi. La narrazione incomincia con un verbo in terza persona plurale («Iniziano le perlustrazioni») e subito passa alla seconda persona singolare («e cominci a scoprire i mondi vicini e quelli un poco più lontani, mai visti prima»), un tu che l’io narrante in realtà rivolge a se stesso stupito. Lo stupore aumenta man mano che Michele osserva gli elementi circostanti, che vanno dal più grande al più piccolo («Anche le colline più prossime alla città, le guardi con insolita attenzione, e più d’appresso il sottobosco, le piante, i cespugli, e per ogni fungo…»), fino a fermarsi, una volta trovato il fungo, sulle sue singole parti, il cui elenco è tutto pieno di meraviglie e non conserva più niente della sua origine tecnico-scientifica («e per ogni fungo: il cappello, l’anello, il gambo, le lamelle, le spore»). Il pezzo si chiude con la descrizione del luogo che si sta calpestando, insistendo a lungo sulla consonante sibilante s, che esprime efficacemente i suoni, il brusio, lo scalpiccio prodotti dal camminare nel silenzio palpitante della natura («Il fruscio sotto gli scarponi, sfuggito al silenzio del bosco, il passo accorto del genitore lungo i sentieri sterrati che serpeggiano sotto castagni secolari, dentro lo scricchiolio delle foglie calpestate, e l’aria fresca che sa di muschio. È quanto di meglio si possa immaginare!»).      

                                                                                    Michele Battaglino






Biografia di Michele BATTAGLINO

Michele Battaglino, nato a Genzano di Lucania (PZ) il 22-3-1944, si è formato culturalmente a Potenza, Bari e Pisa, dove si è laureato in lettere classiche. Per venti anni docente di italiano e latino nel liceo scientifico del suo paese, è stato, poi, preside di liceo classico a Susa, Volterra e Pisa (in cui risiede da diversi anni). Dal 1991 al 1997, come membro del Consiglio Direttivo dell’IRRSAE della Basilicata e responsabile del servizio “Metodi e tecniche della ricerca sperimentale” nella scuola superiore, ha partecipato in qualità di relatore a vari convegni nazionali e ha tenuto in Basilicata corsi di aggiornamento per docenti, soprattutto sulle metodologie dell’insegnamento del latino, compresa la cosiddetta didattica breve. Dal 1996 al 2001, ha diretto corsi di formazione per docenti immessi in ruolo e ha presieduto commissioni di concorsi a cattedre.
   Ha pubblicato quattro raccolte di poesie (Sotto il cielo di tutti, Milano, Editrice Italia Letteraria, 1980; Miopia, Venosa, Edizioni Osanna, 1987; Radici e ali, Lecce, Manni, 2006; Variazioni lucane, Pisa, ETS, 2008), un romanzo (La scomparsa della luna, Lecce, Manni, 2010), racconti (apparsi su riviste), saggi di storiografia lucana (come Aquilina di Monteserico, Venosa, Osanna edizioni, 2008; Ipotesi sulle origini di Genzano, Venosa, Osanna edizioni, 2010; Filippo de Marinis e la repubblica napoletana del 1799, in Uomini e comunità dell’Alto Bradano, Bari, Puglia grafica sud, 1985) e saggi di critica letteraria (fra i quali, La dimensione elegiaco-epigrammatica della poesia sinisgalliana, in Atti del simposio di studi su Leonardo Sinisgalli, Matera, Liantonio, 1987; La “spiritualità” di Orazio: ideale etico ed estetico nelle “Odi”, in Conoscere Orazio, Potenza, Associazione Humanitas, 1991; I luoghi dell’infanzia nella poesia oraziana, «ESSEFFE. Sistema formativo», Bollettino dell’IRRSAE della Basilicata, giugno 1995, n. 1).
   Ha tradotto anche molti testi poetici di autori greci, latini, spagnoli, portoghesi, francesi e tedeschi (per ora in gran parte inediti).



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