Prefazione
“Strane,
dove
l'effimero
ci
porta,
si
mettono
radici,
rami,
foglie”
recita
Mario
Luzi
nei
suoi
versi
e
quanto
mai
appare calzante
la citazione
del
grande
poeta
toscano per
introdurci
nei
meandri
di
questo
ultimo
libro
di
Giusy
Frisina,
la
cui
titolazione
apre
scenari
tanto
inquietanti
quanto
evanescenti,
illusori,
ma
intimamente
insiti
ed essenziali al ciclo vitale umano,
tanto
da mettere in gioco
l'esistenza
stessa ed il sogno che ognuno
di
noi
percorre
nel
tempo della propria presenza in questo mondo.
Carmelo Consoli, collaboratore di Lèucade |
Qua
l'effimero
assurge
dunque a
dato
sostanziale, materia
primaria
e
privilegiata
da
evidenziare,
identificazione vitale e
quantum
energetico
per
un
percorso
temporale
onirico e
rigenerante
da
spendere.
Del
resto,
come
non
ammettere
che
noi tutti siamo perennemente soggiogati dalla
sintomatologia
dell'effimero,
misura
transitoria
a cui ricorrere per un
domani
privo
dell'incertezza,
per un sostare in un
indefinibile
presente
che
nasce
e
muore
ogni
giorno.
Dunque
effimero
ci
appare
l'uomo
nella
sua
fragile consistenza,
come
anche
lo scenario della natura, effimeri
appaiono i giorni
della
vita
ed
il
tempo
tutto
della
nostra
esistenza
si
consuma
nella
sua
caducità.
Premessa
questa
di
incantamenti
e
rigenerazioni
esistenziali,
sottofondo
poetico
in
cui
si
esalta
la
poesia
della
nostra
autrice
perennemente
alla
ricerca
di
una
propria
e
altrui
catarsi
che
poi
in
fondo
è
sostanzialmente
ricerca
d'amore,
meglio
identificato
come
amore
eterno
o
per
sempre.
Ma
l'effimero
in
Giusy
Frisina
è
ben
altra
cosa
che
pura
divagazione
che
travalichi
il
dolore,
elimini il
peso
dell'esistenza
e
la
domanda
di
un
Oltre
dogmatico
e
drammatico
e
faccia
alla fine accedere ad
isole
di
sogno
in
cui
risiedere.
E'
invece
depurazione,
purgatorio,
via
ascetica
per
la
ricerca
della
verità.
Questa
poetessa
è
eternamente
in
itinere
in
un
forzato
esilio
senza
approdi
e
senza confini e i suoi percorsi
effimeri
sono
ulteriore
testimonianza
di quel suo vagare tra
cielo,
terra,
mare
e
seguono,
illuminandone
e rafforzandone i contenuti,
le linee
poetiche
precedentemente
tracciate
con
i
libri
:
“Onde
interne
“, “ Il Canto
del
desiderio” e
“ Dove finisce
l'amore”.
Proseguendo
dunque sull'onda poetica dei suoi precedenti lavori la nostra si sintonizza con sé stessa e con i lettori
nella sua interminabile ricerca d'amore, oggetto più alto del suo desiderio,
nell'attesa spasmodica del momento divino, del mitico Kairos.
La caratteristica
principale
di
questa
nuovo
lavoro
appare
sin
dal
suo
inizio
una
navigazione
tra
velature e chiarezze
dell'esistenza
con
una
emblematica
apertura, annunciata dalla prima lirica,
che
debutta con ragguardevoli
considerazioni circa lo scenario
delle
guerre
e
la figura
del
divino.
Davvero
un'
avvio
notevole
su
cui
poi
innestare
un
estatico
percorso
contrassegnato
da
una
costante
inquietudine
in
cui
il
bisogno
dell'evasione
dal
tempo,
mortificato
dalla
falsità
e
dal
dolore,
è
costante.
Vi
è
in
questa
autrice un
perenne
bisogno di appaganti rifugi, una infinita
ricerca
di
protezione
nella
natura,
particolarmente
nell'elemento
marino,
quasi
fosse
questo ancora
un
cordone
ombelicale
mai
distaccato
a
cui
aggrapparsi e
viaggiare
per
isole
e
lidi luminosi, lasciandosi trasportare
in
un
eterno
ondeggiare
di
fragilità
e
godimento
dell'attimo
vissuto.
L'interminabile
viaggio
dunque contraddistingue
la
sua
poetica
tanto
profonda
di
contenuti
quanto
straordinariamente visionaria e
magmatica
nell'irruenza
del
suo
manifestarsi,
come
se
il
versificare
fosse dettato da un continuo
stato
di
trance
compositiva
in
cui,
liberarsi
dagli
stadi
dell'insofferenza e
dal quotidiano
riconoscersi
in
una
mancanza
di
vitalità
esistenziale,
diventa
esigenza
assoluta.
A
questo
si
aggiunga
che
molto
risentono i suoi versi degli
studi filosofici a
cui
si
è
sottoposta in gioventù e poi dedicata con l'insegnamento
presso
gli
istituti
superiori;
particolarmente si alimentano del dettato platonico con il quale la
poetessa è in comunanza d'anima, in
sintonia esistenziale.
Come
ama sempre dire e, come scrive con evidenza sul suo sito web, Platone nel Fedro
poneva tra le quattro follie la poesia visionaria.
Dunque
proprio la sua poesia e da qui una scelta poetica di vocazione e carattere.
Quella
di creare una parola lirica estremamente liquida e irrefrenabile nelle
emozioni, urgente e liberatoria nella
rappresentazione.
Insomma
una impellente necessità di trasferire sul foglio immagini e concetti allo
stato puro che fuoriescono dalla sua sensibilità di artista.
Modalità
di processo lirico rappresentata con un prolungato, lucido, armonioso delirare.
Da
notare che la bella copertina del libro è opera dell'autrice la quale si rivela
anche abile disegnatrice nel rappresentare la dimensione di un percorso onirico
in continuo movimento.
Come
vediamo riproduce una sognante fanciulla che segue un surreale itinerario di
nuvole, fiori, note musicali in un tripudio di cromie e fragranze.
Sensibilissima,
caratterizzata
da
innumerevoli
nervature
umorali
le cui estremità vanno
da
immersioni in abissali profondità
di
silenzi
e
oscurità a elevazioni in solari abbagli, a luminarie
altezze,
la
sua
scrittura
ci appare dibattuta e
combattuta
costantemente tra
realtà
e
fuga
dalla
realtà,
alla
continua
ricerca
di
ripari segreti
in
cui
proteggersi
e
ritrovare
la serenità,
l'intimo concetto della bellezza,
ossia quella della magnificenza del mondo greco al cui culmine si pone
l'immagine della divinità.
Cinque
le
sezioni
che
compongono
questo
corposo
volume
di
cui
una,
l'ultima,
dedicata
alla
canzone
e
al
cantautore-poeta
preferito
e
amato,
suo
nume
protettore
per eccellenza e cioè
il
grande
Leonard
Cohen,
l'artista
canadese
che
ha
incantato
generazioni
di
uomini
e
donne
con
le
sue
rappresentazioni
graffianti
della
vita
e
al
quale
l'autrice
ha
dedicato
il
suo
libro: “Il
Canto
del
desiderio”.
E
non è un caso che l'effimero si coniughi perfettamente con la musica
esaltandosi nell'attimo virtuoso dell'ascolto, nel cogliere preziose sfumature,
sussulti tumultuosi, abbandoni emozionali.
Del
resto la poetica di Giusy Frisina risulta pregnante di musicalità e sulla sua
scrittura ha influito in modo
significativo la figura e l'arte del notissimo artista.
Sezioni,
le
cui
titolazioni
simbolizzano
subito
ed
efficacemente
come
l'autrice
si
muova in continuità in una
dimensione
tra
luminosità
e
oscurità,
tra
morte
e
rinascita,
( Ombraluce, Squarci, Rinascite) mettendo
in
moto
poi una
“Ricerca
interminabile”
di
terre,
luoghi,
condizioni
esistenziali in
cui
giungere e sostare in idilliaca dimensione.
Dunque
continua
il
suo
viaggio
errabondo
iniziato
con
le sue “Onde interne” e
sulla
scorta
di
quel “Canto
del
desiderio”
che
annunciava
una stagione
alla
ricerca
degli
scenari
del
desiderio,
immaginato
come Amore
simbolo
di
Verità
e
luminosità, proseguito
poi
con
la
silloge
“Dove
finisce
l'amore
” una
quéte
amorosa,
secondo la definizione di Gavina Cherci
nella
sua
prefazione,
alla
scoperta dell'isola senza
tempo
come
se
un
destino
oscuro
ma
inesorabile
la
destinasse
a
quella
stella
che
la
attrae
da
sempre,
con
la
forza
di
un
potentissimo
aimant”.
La
prima sezione “Ombraluce” apre
le
danze
di
questa
ultima raccolta,
dopo
una
prima poesia
di apertura dedicata alla
“fata
madrina”Grazia;
un
delizioso
e
delicato
quadretto.
E
subito
fanno
capolino
le
tematiche
care
all'autrice
e per
gran
parte
avvolte
dal
filo
rosso
dei
ricordi.
Innanzi
tutto
la
visione
o
per
meglio
dire
l'apparizione visionaria degli elementi
che
si
posano
sul
suo
sguardo
sia
che essi
siano
quelli del
gelsomino
o
di
un
piccolo uccello sul fiume, oppure la figura del
poeta
amato
Leopardi,
a cui dedica una lirica
che
si
ispira
al
recente
film
di
Mario
Martone
“ Il
giovane
favoloso”.
L'elemento
acqua
dilaga
come
anche
il
senso
dello
smarrimento
e
dell'inganno.
A
chiudere
la
prima
parte
del libro due poesie
che riportano la scrittrice e il lettore
all'attualità della nostra amara realtà odierna, con la dolorosa
denuncia
delle
atrocità
della
guerra,
( tematica alla quale si mostra molto sensibile) ma anche ad un confronto/
identificazione con e nella sostanza divina di Gesù nella lirica “A
un
certo
Gesù”
condotta magistralmente tra il
donarsi
al Salvatore e il
ritrarsi
in
umanissima
dimensione.
Seguiamo
alcuni
passaggi
significativi di questa prima parte del volume.
“Ogni
inizio è visione “ scrive in apertura della lirica “Via
del Gelsomino” e le visioni poi si susseguono nei percorsi memoriali di marine,
uccelli sul fiume., acque scroscianti, con cambi di luminosità che vanno dalle
solarità più accentuate ai grigiori della pioggia, mentre si affacciamo gli
amori inafferrabili, quelli che se ne vanno in un interminabile addio, in: ” smarrimento di sterminate prigioni
di stelle e vasche traboccanti di pensieri” in cui vanamente ritrovare il
suo principe.
Ma
forse l'aspetto più inquietante di questo inizio è il senso dell'impotenza
della propria ricerca e dell'inganno della luce che fa ripiegare l'autrice in
una dimensione sfuggevole e sfumata;
significativi sono i versi della poesia “Nella Penombra” : “ / Ma la penombra è pur meglio del
buio/Non so più se in entrata o in uscita.../ l'importante è che il dubbio ci
sia/ E sfumato ritorni poesia/ .
Sarà
questa incerta luce di amori e verità che accompagnerà la nostra Giusy per tutto l'arco della
silloge la protagonista assoluta nel suo esistenziale ritrovarsi.
Ricerca
che continua in “Squarci” ,
tipica dimensione di improvvisa luminosità , con incroci tra gli elementi
naturali come il sole e lo scirocco e la sottolineatura degli stadi umorali che
vanno dall'estasi, alla passione, dalla sofferenza, all'incanto alla vista dei
quadri di grandi pittori come il “San Pietro e Paolo” di Caravaggio e la
“Visitazione” del Pontorno.
Altre
liriche di rilievo sono “Destinazione dell'infinito”, una sorta di
definizione dello spazio con la
impossibilità di opposizione al vuoto dell'infinito e di navigazione
senza meta e : “dove lo spirito aleggia/ e ti conforta/
con il suo pianto ridente/ e “
Impossibili ricordi ” in cui ritorna prepotentemente la tematica
dell'amore; come sempre in Giusy Frisina un “amore-non amore”, una nascita come
scrive “ Alla vigilia di una delle mie tante morti” e dove l'amato ha la perenne maschera delle
tristezza.
Amore
che assume spessore rilevante nella successiva sezione “La ricerca
interminabile” la cui poesia d'apertura è una sorta di manifesto in cui si
rivela l'annuncio di un infinito itinere per terre, mari e cieli alla scoperta
come scrive del “dolce amore”.
Da
qua in poi la poetessa vaga per località come Roma, Bruxelles, Istanbul,
Dublino, l'isola di Hydra e la città di Napoli, passando in rassegna luoghi,
immagini, storie, momenti estatici e aurei alla ricerca di sé stessa, di
approdi felici e di un lui aspirato e sognato, arrivando al termine alla sua
“Favola Kantiana”: “la sublime favola
di luna e mare”, in una sorta di trovata certezza quando recita in chiusura
della poesia: “E corri ora corri/Non farti più fermare/Non temere la morte
che non c'è/ Per il tempo che resta- se tempo c'è/ Con il cielo stellato su di
te-ora si/ E la coscienza di sé- sola coscienza morale/ La stessa luce del
cielo/ Ancora in te/”.
In
chiave ricostruttiva l'ultima parte della silloge titolata “ Rinascite”.
Dopo
le ombre, gli squarci di luce e la ricerca interminabile ecco che arrivano le
rinascite, siano esse racchiuse nei ricordi di una giovinezza solitaria o
dentro un Novembre dai frutti d'oro, oppure affidate ad un poeta ” Mago
dell'immaginazione” e “pescatore di anime con la sua rete” e ancora
consegnate ad una pioggia purificatrice, ad un sonno che sia propedeutico ad un
risveglio di rigenerazione.
La
raccolta si conclude con l'ultima sezione intitolata “ Canzoni per L.C ” un
omaggio, come già accennato all'inizio, a quel grande cantautore e poeta,
figura per l'autrice
altamente rappresentativa di bellezza artistica e spirituale, di cui
essa è anche la traduttrice dalla lingua madre.
Liriche
appassionate, di cui tre in inglese, come
dialogo, confessione, liberazione con e attraverso il suo angelo custode,
incursione nel suo canto, immedesimazione nella sua musica.
Insomma
depurazione che si fa gioia con questi versi esemplari tratti dalla sua lirica:
“
Canzone dell'attesa infinita: “ / Veleggiando ai confini del mondo/ ho
incontrato la tua canzone/e ho cambiato la tristezza/ e il mio pianto congelato
/ in un inno di dolcezza.../”
Concludendo
si può certo parlare della poesia di Giusy Frisina come di una parola innovativa e audace, irruenta e spasmodica
nel suo manifestarsi, difficile da imbrigliare nei canoni della classicità poetica sia per la versificazione iper-libera
nella sua impostazione che per la costante assenza della punteggiatura.
Ma
proprio per queste caratteristiche essa ci giunge assolutamente originale e
coinvolgente , direi meglio travolgente e tale da provocare cumuli di emozioni e umanissime fragilità;
una fonte in cui il riconoscersi diviene spontaneo, necessario,
stimolante per far affiorare i limiti delle proprie certezze e percorrere
sentieri del tutto visionari ma affascinanti e ricostruttivi, prima
sconosciuti.
Carmelo
Consoli
DAL TESTO
Inizio
E’ rimasto davvero poco tempo
Se davvero tempo c’è
Se i bambini feriti piangono
Sempre più inconsolabili
Nei bui teatri di guerra
Se
tu sei fermo o cammini
Sopra cumuli di macerie
E
non è la comune realtà
Che potrai mai percepire
Attraverso il tuo desiderio
Sotto la cupola di stelle
Che ti inventi ogni notte
Basta solo che la guardi
Ma ti hanno parlato di un Dio
Troppo lontano per esistere
E ti hanno parlato di Buddha
Che non ti chiede nulla
Se non di liberare il cuore
E ti parlano di Gesù
Troppo scomodo sulla Croce
Del suo coraggio e della sua paura.
Ma ora guardiamo più dentro
Il cielo vuoto che sale piano
E non sappiamo che chiamarlo
Col sacro nome del silenzio
Nel sussurrare una canzone
Quasi fosse un nuovo Inizio.
Via
del gelsomino
Ogni inizio è visione.
Una notte insonne
Un mistero da svelare.
Meraviglia di cristalli e oro
Sulle azzurre distese marine.
Assordante silenzio
Di una sacra sera estiva
Quando appaiono le prime stelle.
Ed è attesa di un tempo inconsueto
Un dolore che si scarta piano
Rivelando il suo cuore di perla,
Una mano che accarezza il nulla,
Una siepe che si chiude invano,
Uno sguardo complice alla luna
Che ora corre sulle rotte del vento
E del profumo di gelsomino.
Naufragio
Disastro
è una
pioggia di stelle
sul
mare salato,
sola
risposta possibile
se luci
fioche
avanzano dalla
terraferma
per
l’inutile salvataggio.
Grondanti
approderemo
così
sull’
isola dei morti,
se mai
saremo pronti
a
rinascere.
Quasi
novembre
Era il
tempo dei frutti d’oro
Gialli
kaki invasi dal sole
Lì
rifugiato per l’inverno
Era la
notte dei frutti di bosco
Intrappolati
nelle tragiche conserve
Era
l’ora dell’Angelo spaurito
Ripiegato
sulle foglie sfumate
Nelle rosse brume dell’alba
Non era
più tempo ma c’era
Ancora tempo
E tu
correvi sempre
incerta se mai
fosse ancora giorno,
Oppure già tramonto
viola,
In una
mano solo perle azzurre
Nell’altra neri rovi
E quasi
sempre vento
E tu
correvi verso te
o verso
lui indecisa
Mentre l’Oriente bruciava
-
E noi con loro -
In
un’Apocalisse annunciata
E mai
finita in mare
Ma in
una pozza di sangue
Che mai potrai prosciugare
Con
quel tuo piccolo guscio di noce
Con cui
speravi trovare risposta
Dal
mattino in cui sei nata
Sotto
una coltre di neve
Quando
già pure volavi
Sulla
tua spiaggia assolata
Ancora la pioggia
Ancora
la pioggia,
se il
rosso vivo delle foglie ci accompagna
nel
cieco mattino senza sconti di pena,
se
lucida annebbia tutti i tuoi pensieri
e segna effimeri percorsi musicali
con le
sue vuote dita di ghiaccio.
Ancora
la pioggia
con i
grani preziosi dei tuoi gesti
di
amato amante e di noi,
senza alcun
domani,
tra gli
alfabeti di candide corolle
sulle
apparenze di oscuri cerchi d’acqua.
Ancora
la pioggia,
e siamo
quasi salvi,
nella
selva dei fili argentati,
senza
alcun ordine geometrico rimasto,
con mare e lacrime confusi nello sguardo
e ancora cielo caduto tra le mani.
Lullaby
Quale silenzio
Si nasconde dentro questa musica
Così dolce
Ben
diverso dal silenzio
Della notte murata
Oscillante e profondo
Come un abissale abbraccio
del Nulla
E con
la tua voce che graffia leggera
Alle
calme porte del mistero
Forse potrò avventurarmi
Fino
a commuovermi
Nei deserti del tuo miele
E
seguirò la tua scia
Fino a morire tra le braccia
Di una
luna nuova
E sulle orme della mia ricerca
Tramuterò questa goccia
Di me
In una
piccola fiamma d’argento
Vuota
luce di angelica presenza
Grazie a questa muta voce
Dell’infinito desiderio
Trasmessa nell’etere
Grazie alla parola che non giudica
E
che trasforma piano
Parlando solo al Silenzio
Nascosto dentro a una canzone
Che dolcemente si conclude
Col mio respiro
Nella
notte aperta
Nelle
nere stanze della luna
Nelle nere stanze della luna
Si agitavano sonni inquieti
E
passavano ombre di sogni
Su tappeti di filigrana.
Ho ricamato quei tappeti d’oro
Con bianche mani da pianista
E intessuto con fili di perle
Le parole che scrivevo
Negli altopiani del dolore
E della gioia senza nome.
Tu eri lì, vestito di rame
Sulle porte del mio deserto
Tra le mani un volto di pietra
Nello sguardo acqua di mare.
Aspettavi nel sacro silenzio
la luce rara che arriva dal monte
nella notte dei mille timori.
Io aspettavo il tuo canto lontano
Nelle nere stanze della luna
su
tappeti di filigrana .
Giusy Frisina
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