“Il contrario della paura”
“Perché
terrorismo islamico e Mafia possono essere sconfitti”
di
Franco Roberti, Mondadori.
Recensione
all’opera di Carmen Moscariello
“La società civile è vista dalle mafie come una perfetta mammella
da mungere”.[1]
Un’opera
in cui con maestria l’autore traccia un
percorso di vita al servizio dello Stato e nell’impegno della lotta alla mafia. Roberti saggiamente realizza
un rapporto intenso e costruttivo con il lettore, soddisfacendo le sue attese e
indirizzandolo verso la strada del
coraggio e del bene sociale. L’irrequietezza cronologica alla quale assistiamo nel
testo è dovuta a quest' urgenza. L’azione si svolge in vari luoghi del nostro
Paese; ne prevalgono due: Sant’Angelo dei Lombardi con il terribile terremoto
dell’ottanta e l’amata Napoli con la sua Storia da Vico, a Croce, a Masullo,
senza dimenticare i lati oscuri e malati della città- amata. Un principio
caratteristico dell’opera è il profondo senso del dovere, il rispetto della
legge e dell’uomo. Franco Roberti non si
scaglia mai con veemenza contro la mafia, ma procede come se dovesse scalare un
fortilizio, mattone dopo mattone, fino alla cima per annientarla e costringerla
a non nuocere più. Un capitano (come l’ha giustamente definito Pierpaolo
Filippelli).[2] che guida i suoi uomini
verso un obiettivo chiaro, lo fa senza ombre, sempre nel vigile rispetto della
Costituzione e delle leggi che regolano la vita civile del Paese. L’impulso che
l’autore imprime all’opera è costante e determinato. Le sue strade sono ben
delineate, il pericolo è tenuto
d’acconto, soprattutto per i suoi collaboratori che per lui nutrono rispetto e
amore. Alla mano spietata della mafia contrappone l’ordine, il rispetto della
vita umana: il carnefice deve cadere senza dispersione di sangue. Un peso
determinante lo occupano i fatti, non ci
sono sbavature, tutto emerge chiaro, è il racconto di una realtà dolorosa dove non ci
affida al buon Dio, ma alle leggi. Il movimento del vero si allarga nella
pagina diviene mosaico costruito con pazienza, tassello dopo tassello; la
memoir è la regina incontrastata, essa è referente di vita, ci invita a una
lettura razionale, dove ogni parola è ben soppesata. Un palinsesto dove non ci
sono défaillance, vaghi aneliti, sbavature, inutili sospiri o attese ritardate. La realtà è amara, va
affrontata subito; il male sradicato; la corruzione uccisa; mollare è pari alla
morte.
L’invito
a non cedere alla paura emerge da ogni parola,
da ogni capitolo. Il libro non ha niente di autoreferenziale, tanto che
possiamo affermare che è limitativo definirlo
un’opera autobiografica, quello che è scritto ha per protagonista il
coraggio di una squadra chiamata a fare il proprio dovere e il ruolo di Roberti
è di vigilare, guidarla, battere il
pugno dove sia necessario. Rivelando che le crepe che si sono aperte nel nostro
paese sono le stesse crepe dei muri che il terremoto produsse a Sant’Angelo dei
Lombardi che fecero crollare le case dalle pareti di “marzapane”, che uccisero migliaia di esseri umani inermi.
Per questa tragedia Franco Roberti istruì un processo, con rammarico ci ricorda
che furono tutti assolti.( Per me, da irpina, qual sono e resto, alla quale il
terremoto tolse la casa e ogni bene, la
lettura di queste pagine ha riaperto una ferita dolorosissima).
“C’è stato un momento esatto della mia
vita in cui, per la prima volta ,ho cominciato a capire cosa significasse la
parola mafia. Era domenica. Ed erano le 19,32 del 23 novembre del 1980. Il
terremoto dell’Irpinia, uno dei più terribili e violenti dell’ultimo mezzo
secolo. Da poco più di un anno ricoprivo la carica di giudice a Sant’ Angelo
Dei Lombardi, un piccolo paese in provincia di Avellino, che da quel giorno ,inevitabilmente,
è diventato un pezzo della mia vita.
…… Arrivai a Sant’Angelo dei Lombardi la
mattina del 25 novembre, a bordo della mia auto, in compagnia di mio cognato.
Vidi quello che in quei giorni avevo sentito raccontate alla televisione, alla
radio, sui giornali. Ma era molto di più, incomparabilmente di più di quanto
era possibile soltanto immaginare: enormi crateri nel terreno avevano sconvolto
il paesaggio circostante, la distruzione regnava ovunque, i militari
dell’esercito erano giunti da poco sul luogo del disastro. Sant’Angelo era un
cumolo di macerie sotto un cielo livido….. Convocai subito i verti ci della
polizia giudiziaria. Qualche tecnico di cui sapevo potermi fidare. Cominciammo
a fare qualche domanda. Mi dissero subito che il cemento che era servito a
realizzare quei palazzi ,i costruttori l’avevano acquistato da Nuvoletta, una
delle più importati famiglie camorristiche della zona. …. E che quel cemento
fosse scadente, magari allungato con l’acqua… mi ricordo che, dopo pochi mesi
dal sisma del 1980,arrestai per peculato il sindaco di Guardia dei lombardi.
Poi ci furono altri arresti. … Una
domanda però continuava a rimbombarmi nella testa, senza tregua. Logorandomi.
Perché i palazzi nuovi di Sant’Angelo si erano sbriciolati come fossero stati di marzapane?.... Facemmo
perizie accurate ,rinviammo a giudizio numerosi costruttori e pubblici
amministratori perché avevano realizzato edifici che violavano la normativa
antisismica…… Alla fine furono assolti.[3]
Un fatto che non doveva più accadere e che
invece abbiamo visto ripetersi, con la medesima violenza, durante il terremoto che ha distrutto
l’Aquila, con altre morti, giovani morti.
Sembra
ritrovare nel testo la pragmatica delle comunicazioni di Bateson e la filosofia
del linguaggio di Russell. L’opera ha
finalità etiche altissime, va letta e commentata nelle scuole soprattutto per
educare le coscienze a qualcosa che la didattica moderna non tiene bene in
conto: si può essere coraggiosi, si può divenire coraggiosi, si può educare al
coraggio, parlare finalmente a testa alta di mafia, senza l’untuosa patina
della compromissione. Emerge Dall’opera la forte condanna della corruzione e di come,
a volte, uomini indegni occupino, per
nostra disgrazia, ruoli che non gli
competono e di come le mafie, oggi più che mai, siano decise ad entrare senza intermediari nelle amministrazioni dello
Stato. Certe indagini di uomini eletti, (nel senso di egregi) hanno spesso
messo in luce proprio questo delirio di onnipotenza, ad esse non
basta più il denaro proveniente dalla spaccio di droga e dalle
estorsioni, vogliono essere dove si
decidono gli appalti. Roberti, inoltre, sottolinea senza ombra di dubbio che
l’indagine aperta da Giuseppe Pignatone
è un’indagine di mafia e che i reati
contestati sono reati di mafia, più esattamente ci dice: Veniamo a mafia capitale: qui intorno
all’amministrazione della capitale d’Italia, si è creato un gruppo eterogeneo,
fatto di criminali di strada, amministratori pubblici, imprenditori, che si è
sostituito di fatto allo Stato. E ha deciso chi e come doveva governare la
città Com’è stato possibile? “Proprio grazie a quella carica intimidatoria decisamente
orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali
concorrenti nelle pubbliche gare” come dice la Cassazione. Mi spiego: tutti
sapevano che dietro alcune aziende c’erano pericolosi pregiudicati. E tutti ne
avevano paura. Quindi non partecipavano ai bandi, o rispettavano “quelle
regole” , scrive sempre la Cassazione, la cui apparente imperatività è stata
resa possibile solo grazie all’accumolo di una forza criminale ben conosciuta e
temuta nella realtà sociale” Anche perché i mafiosi romani erano conosciuti
anche dagli altri esponenti criminali, con i quali trattavano alla pari e
decidevano come spartirsi il potere nella città. Tuttavia “Il nome”- e di
conseguenza la paura che suscitava- non era l’unica arma utilizzata. La
seconda, precisa spietata, più di un fucile da cecchino ad alta precisione, è
sempre stata la mazzetta. …. Gli obiettivi erano intuibili : ottenere tramite
la corruzione favori dai pubblici funzionarie, attraverso la continua
violazione del patto di fedeltà da parte di un uomo delle istituzioni,
determinare inevitabilmente ”la generale sfiducia della collettività nella
imparzialità delle scelte compiute dagli organi amministrativi”[4]
Più chiaramente ci ha spiegato e fatto ben
capire questo libro il Professor Aldo Masullo
che lo ha presentato a Napoli con
altre illustre personalità.[i]
Ha esordito, partendo da un principio cardine del Suo pensiero, quello
della libertà: ”noi perseguiamo la libertà”, ha sottolineato come questa categoria appartenga anche a Franco Roberti e come queste pagine non siano di
facile lettura. Egli precisa che nel nocciolo del discorso del nostro autore si
affiancano due cose: terrorismo e mafia. Perché si possa vincere o resistere, bisogna rompere la loro coesione. Esse sono la
rappresentazione di come l’Italia
sia apparsa a costoro come una perfetta mammella da mungere. La società
civile è diventata così una mammella che
la mafia munge. Aggiunge che il livello
di complessità a cui sono arrivate le cose è preoccupante. Si può meglio capire
il fenomeno partendo da lontano, dagli anni 60, quando si decise il finanziamento dei partiti con denaro
pubblico. Da allora ebbe origine anche l’indebitamento del nostro Paese e, cosa non meno terribile, la corruzione. L’industria di stato dovendo
pagare i partiti portò all’alterazione
dei mercati e a quell’indebitamento di cui siamo tutti vittime. Il grande Filosofo precisa che cominciò così
l’ incesto tra politica ed economia che favorì il prodursi di una serie di
passività, a questo corrisponde un
processo di decadimento istituzionale. La moltiplicazione dei centri
di spese contribuì a determinare il
gravissimo debito pubblico. Continua l’Emerito Professore dall’altro canto, subito
dopo la guerra, la criminalità si dedicò al contrabbando organizzato, un’enorme
forza contro lo Stato . La quiescenza della Stato e dei cittadini contro questo
crimine si manifestò in un contorcimento
sentimentale e morale, diede luogo a processi solidali tra
istituzioni, cittadini e criminalità. La tolleranza di certi comportamenti
criminali, fece si che essi non fossero schiacciati fin dall’inizio. Tolleranza
significò non punire, ed ecco perché andiamo, per le stesse cause di allora,
incontro allo sfacelo e ci troviamo di fronte a un nemico esteso, così
tremendo. La tesi fondamentale è ,dunque,
che non riusciremo a resistere al terrorismo se
per prima non riusciamo a combattere i difetti
interni. Infine, l’invito del Filosofo al pubblico e al popolo è di
prendere coscienza di ciò che ci stanno preparando e lottare, prima di ogni cosa, contro la
corruzione. Il libro di Franco Roberti sembra che all’unisono con il grande Maestro metta
il dito nella piaga, con dolore parla di
interventi necessari a Casal Di Principe,
per esempio, dove c’è oggi un buon sindaco con buoni amministratori, a
dimostrazione che si può cambiare, qui, ora, finalmente, sarebbe necessario
anche l’aiuto dello Stato per non naufragare di nuovo. Migliorare la situazione
umana delle città attaccate da questo cancro è un dovere, come è preminente favorire lo sviluppo di buone scuole, affinché
i giovani non prendano strade pericolose, apparentemente agevoli. Non a caso il convegno, voluto ed egregiamente
organizzato dall’Assessore alla Cultura Nino
Daniele, si è tenuto a Napoli
nell’Istituto di Studi Filosofici, nei luoghi della rivoluzione napoletana del 1799, nelle
splendide sale del Palazzo Serra di Cassano
che fu protagonista con Gennaro
Serra di Cassano (giustiziato) della prima grande rivoluzione che affermò
e difese il diritto dell’uomo alla libertà e all’autodeterminazione
(Repubblica Napoletana). Emerge chiaro che se Franco Roberti ha scritto questo libro, non
è solo per far conoscere i danni che le mafie hanno provocato e provocano ai
nostri territori, alle persone e all’economia o per raccontarci ciò che egli ha fatto contro la mafia per distruggerla , ma
piuttosto per coinvolgerci tutti, l’intera Nazione, giovani e meno giovani nel
farci comprendere quale pericolo tuttora
essa rappresenti e che la lotta e il
sacrificio di pochi non bastano per annientarla: le parole di questo libro sono
di fuoco, invitano il popolo tutto a ribellarsi a lottare contro di essa a
isolarla nella sua melma. Il nocciolo per noi è il grido di dolore, seppur
stemperato da una calma feroce dell’autore, nel richiamare il popolo intero a
dire basta a un fenomeno che può annientare il Paese moralmente ed
economicamente. In verità, mentre vicini ad Aldo Masullo ascoltavamo le Sue
analisi, per niente stemperate, nonostante il Suo ’est modus in rebus” che è il vestito d’organza del grande Relatore, esse ci giungevano giusto al
petto , come cannonate. Mentre Lo ascoltavamo,
abbiamo pensato in contemporanea a un altro grande della storia a Papa
Wojtyla, alle parole che leggemmo sul Corriere
della sera, poco dopo l’assassinio dei Martiri Falcone e Borsellino, anche allora nella
Valle dei Templi risuonarono parole forti che avrebbero dovuto cambiare le
nostre coscienze : “Non abbiate paura” urlò
il Papa (sembra che il libro “Il
contrario della paura”, faccia eco al grande Papa) «Lo dico ai responsabili:
convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio». (Parole pronunziate contra
la mafia ad Agrigento, il 9 maggio del 1993).
Questo invito ce le ripropone Roberti con pari
energia ne ”Il contrario della paura” con l’inchiostro del coraggio di chi ha
messo la propria vita al servizio dello Stato.
Con questo suo lavoro vuole scendere tra la gente e chiedere a tutti il massimo della
collaborazione, pochi uomini coraggiosi possono fare molto, ma ancora di più
possono realizzare, se noi gli stiamo accanto, li sosteniamo, anche noi col
nostro coraggio. Quella “cappa”[5]
che si forma in tutti i luoghi in cui si sono annidati i mafiosi, è morte, è
incapacità di sentirsi liberi. La schiera di accoliti, povera gente e potenti di turno, che appoggiano la mafia ha gravi responsabilità. Ricordo le parole
di un altro grade Magistrato dell’antimafia Federico Cafiero De Raho, parole
che ascoltai nelle sale del vecchio tribunale di Porta Capuana , qualche mese
prima di essere trasferito in Calabria,
alla presenza della ministra, disse che anche l’appoggio esterno alle
mafie va punito con la galera, con
molti anni di carcere. E, ancora, l’ ”Urlo”
[6]
di Papa Wojtyła, così poco riproposto
oggi dai potenti mezzi di comunicazione
rimane inequivocabile: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime
umane devono capire, devono capire che non è permesso uccidere gli innocenti.
Dio ha detto “Non uccidere”. L’ uomo, qualsiasi umana agglomerazione o la
mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo
popolo siciliano talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, non
può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà della morte. Lo dico ai
responsabili. Convertitevi». “La civiltà
della morte” ha preso piede nel mondo intero. Assistiamo alla strage
degli innocenti che ogni giorno coinvolge popoli interi nel dolore. Sulle
spalle di Franco Roberti non c’è solo la mafia,
egli non è “solo” il Procuratore Nazionale Antimafia, alla sua persona,
alla sua luminosa intelligenza è stata affidata anche la lotta al terrorismo.
Alla luce di ciò dobbiamo credere nel dialogo e al valore della cultura, in quanto è
urgente rieducare l’uomo. Ci sono popoli interi che vanno ripensati e ricostruiti. C’è l’urgenza di un
rinnovamento della politica, orientandola sempre di più alla ricerca del bene
comune e non già gestita, come le
cronache ci raccontano, da persone che
hanno come unico obiettivo il proprio tornaconto, senza parlare della
corruzione e della commistione con le mafie, vera rovina dei territori,
annientamento anche di città bellissime dove il cancro si estende, silente mette radice per poi annientare.
[1] Aldo
Masullo al convegno tenutosi a Napoli il 29 giugno per la presentazione del
libro di Franco Roberti “Il contrario della paura”.
[2]
Pierpaolo Filippelli, giovane e coraggioso
magistrato ha fatto parte della squadra guidata da Franco Roberti. Oggi,
dopo aver lavorato a lungo come magistrato nella DDA di Napoli ,è Procuratore
aggiunto di Torre Annunziata.
[3] Pgg.
52,53,54,55 (Paragrafo: ”Quando il
terremoto diventa business”, Op. Ct.
[4] Pg
129-130, “Il contrario della paura”.
[5]
Paragrafo: “La cappa”, pg.61, Op.Ct.
[6] Munch,
“L’Urlo”
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