Intervista a Stefano
Labbia
N. P.: Quali sono le occasioni della vita che
più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è
nelle sue opere? lei pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di
impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia
sempre lirica qualsiasi argomento tratti?
C'è una buona parte di me, nelle mie
composizioni. Perché sentite, vive, quasi. Vere. Scrivo di getto quello che
provo, ciò che ho provato. Quello che ho dentro. Nel bene e nel male. La poesia
è arte, è cultura, è frutto dell'anima: quindi è sempre impegnata, è sempre
diretta all'anima.
N. P.: Essendo uno degli interpreti della poesia
e della cultura contemporanea, ci vuole illustrare la sua poetica e
gli intendimenti sociali o estetici che ripone nei suoi scritti?
Sono un autore dei miei tempi, per quanto io ami
e sia rivolto ai poeti del passato e pur sentendomi più vicino a loro che ai
cosiddetti poeti moderni. Descrivo quello che vedo attorno a me: disagio,
indifferenza, problematiche sociali che nell'ultimo decennio a mio parere hanno
subito un'impennata devastante nell'oggi. Ma parlo anche di amore, della vita,
riflettendo ed interfacciandomi con gli stimoli quotidiani che ricevo.
N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si
dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige?
perché?
Sono onnivoro in letteratura. Amo, oltre alla
poesia, i romanzi gialli. Quest'ultimo genere riesce a stimolare la parte
razionale del mio io, mentre le liriche mi pervadono, rilassando la mia anima.
La pettinano. La scarmigliano. I poeti che prediligo sono Dante Maffia, Alda Merini, Pablo Neruda, Khalil Gibran,
Garcia Lorca. Ne dimenticherò di certo qualcuno... Per esempio ho da poco letto
“Cartoline di mare”di Nico Orengo e le poesie inedite di Dylan Thomas
apprezzando e scoprendo entrambi.
N. P.: Fino a che punto le letture di altri
autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?
La poesia, la narrativa e la letteratura tutta,
vivono di contaminazioni. Ogni autore ha un suo stile che viene continuamente –
almeno negli scrittori moderni – sconvolto, scombussolato, shackerato dalle
letture che ha compiuto, che compie o che compirà. Arte chiama arte, poesia
ispira poesia, libro invoca libro. Ma ognuno ha una visione personale, privata,
propria delle cose. Un modo di essere, di pensare, di vivere. E ciò è
bellissimo...
N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice,
quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e
rifiuta ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si
contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una
rigida metrica?
Io sono un poeta anomalo. E sono, al contempo,
un purista. Un “integralista” con molte aperture. Amo le liriche di un
tempo, l'uso di parole o modi di dire
(andati perduti) dei poeti che furono. Scrivo e compongo col cuore, d'impulso.
Spontaneamente. Non riassetto, non sistemo la composizione, o almeno lo faccio
di rado. Non ho, dunque, pur avendo sempre amato comporre ed avendo una
conoscenza sostanziosa della regole di composizione lirica, devozione ad una
struttura. Ad una metrica. Credo che, come Keats affermava, «Se la poesia non
nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non
nasca neppure.».
N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di
questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di case editrici? di
questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio
nazionale?
L'editoria vive un momento particolare. E non mi
riferisco solo alla bagarre di Milano – Torino. Autori (emergenti e non) e le
Case Editrici si sono avvicinate incredibilmente. Questo grazie anche alle
nuove tecnologie che hanno svolto un ruolo primario e fondamentale nel rapporto
autore – editore. Ma molto ancora c'è da fare... Perché in un legame forte come
quello scrittore – casa editrice i contratti non bastano. Le regole non sono
sufficienti. Gli “standard” servono sino ad un certo punto. Bisogna aprirsi,
rischiare, talvolta, anche se la crisi del settore – a quanto ne so,
statisticamente, si pubblicano in Italia più libri di quanti se ne riescano poi
a vendere – costringe ad una cautela e ad una prudenza necessaria. Così
troviamo case editrici (di medie o piccole dimensioni) che non possono
investire, rischiare, lanciare un giovane autore in cui credono, in cui
vorrebbero scommettere perché il mercato, la domanda, è quella che è. E
troviamo in vetrina, nei grandi store, l'ultima perla dello sportivo di turno.
I Premi letterari del Belpaese aiutano ma arginano, tamponano solamente il
fenomeno del “visto in tv”, che ha, ormai, preso il sopravvento. Abbiamo, in
Italia, giovani autori di talento che non possono permettersi il lusso di
esplodere, di farsi notare, di dire la loro. Costretti all'auto pubblicazione o
ad accettare di svendere i propri scritti. Per non parlare dell' EAP... Non è
una questione di soldi... ma di dignità. Di cultura. Di crescita. Personale,
autoriale e civile.
N. P.: Certamente sarà legato ad una sua opera
in particolare. Ne parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di
scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che
pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione
della realtà nei confronti di un’analisi interiore?
Sono molto legato a tutte le mie opere, a tutti
i miei scritti. Se dovessi scegliere, a fatica, ora come ora direi la mia prima
pubblicazione, “Gli Orari del Cuore” edita da Leonida Editrice. Un viaggio, un
cammino lungo trent'anni: amore, vita, satira... Corse, cadute, sogni, nuovi
orizzonti, natura, vento, baci, feste, addii... Vita vissuta. Vita vera. Da me
a voi. In poesia sono ciò che scrivo. Né più, né meno. La memoria, poi, è
importante. Il ricordo è fondamentale. Così come l'analisi... Lo scandagliare
l'anima attraverso gli scritti, compito più dei letterati quest'ultimo, che
degli autori, forse. Mi riconosco nelle liriche che compongo. Sono parte di me.
Nel bene e nel... meno bene.
N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura
Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi
Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…?
e del rapporto fra poesia e società? fino a che
punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale
(ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro
di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi?
La poesia deve mettere in discussione, deve
alzare la voce, quando serve, deve sbugiardare la società. Mettere alla gogna i
suoi atteggiamenti malsani, puntare il dito, schiaffeggiare. E coccolare,
amare, carezzare quando serve. Riguardo ai Premi letterari... ho già espresso
il mio parere: sono importanti ma non fondamentali nel panorama culturale
italiano, all'oggi. La letteratura italiana contemporanea non ha nulla di che
invidiare a quella attuale straniera. Basterebbe solamente rischiare un po' di
più. Ma sono conscio che il momento non è dei più sereni per l'editoria tutta. Speriamo
in un futuro migliore che possa alzare il livello culturale di un paese come il
nostro, che è sempre stato esempio di fermento e cultura per tutti i popoli del
mondo.
N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo
della cultura o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi
poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?
In
un paese dove la cultura domina e dà sostegno al proprio popolo, è difficile vi
sia la guerra. La scuola, per i giovani di oggi - gli adulti del domani - è
formativa e dovrebbe essere un perno nella cultura di un paese libero.
Nell'ultimo periodo ho notato invece molto “Panem et circenses” e non nascondo di
temere questa condizione... L'arte e la cultura andrebbero sponsorizzati, su
ogni media esistente. In ogni modo possibile. Veicolati nelle case, nelle
strade. Perché arte è espressione. Cultura è libertà. E senza queste non vi è
crescita per un popolo ma solo morte civile.
La sua intervista è stata pubblicata
sul BLOPG LETTERARIO: “ALLA VOLTA DI LEUCADE”.
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