giovedì 16 febbraio 2017

MARIA GRAZIA FERRARIS SU "ECHI E SUSSURRI" DI G. BUSCA GERNETTI

Giorgina Busca Gernetti: Echi e Sussurri.


Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade


L’ultimo ricco e significativo libro di poesia di Giorgina Busca Gernetti  (64 poesie), dal titolo Echi e sussurri ( stampato dalle edizioni Polistampa nel 2015), si articola in cinque  sezioni ( Fiori della notte, Alba dell’anima, Seduzioni, Immagini elleniche, il canto di Orfeo) :  un arco di emozioni, riflessioni, ricordi, sentimenti,  canti lirici  che si inseguono nella memoria, nello spazio e nel tempo e  che muovono  dal biografico (in particolare le prime due sezioni) per allargarsi  alla originale rielaborazione del paesaggio (vicino e lontano, quotidiano  e onirico) e del mito greco, fino a culminare con la meditazione su Orfeo: la eterna poesia. Un vero itinerario spirituale.
Fa da guida ad esergo di ogni sezione una citazione di poesie di R.M.Rilke: fascinosa dotta presentazione del libro  che diventa quasi una prova di costruzione strutturale  per la colta scrittrice. Accompagnano- le belle citazioni-  tutto l’itinerario, segnando l’alveo culturale nel quale si muove la sua nuova poesia.
Un esempio: “Tutto seduce. L’uccello più minuto ..il fiore cerca spazio…e quante cose non esige il vento?”, posto all’inizio della sezione SEDUZIONI oppure “ Orfeo canta! ..E tutto tacque. Ma anche in quel tacere/ fu nuovo inizio, segno e metamorfosi”, ad esergo de IL CANTO DI ORFEO.
Già le prime poesie della raccolta fanno esemplarmente da apripista al mondo e ai sentimenti della poetessa: la sera, l’inverno gelido, il buio.. : sentimenti melanconici e desolati che  si allargano via via fino ad  includere il tema esistenziale della fragilità, del dubbio, della solitudine,  del silenzio, del tempo inesorabile, fino l’abisso nero che ci aspetta.
In questo itinerario c’è l’espressione consapevole  della ricerca conoscitiva dell’autrice, corroborata dalle citazioni colte (in primis il Foscolo, di Rilke si è detto):  “Quando scendi invocata/o cara sera amica… sulla mia sorte, nel vagar sull’orme/ che vanno al nulla eterno”, e dallo stile piano, metricamente curato, che ci fa dotti delle sue letture e  frequentazioni classiche, anche nel gusto della sobrietà, nella scelta privilegiata dell’endecasillabo, della  misura, della parola controllata, dell’armonia che allontana ogni rischio di enfasi: “Essere soli. Averne il coraggio,/resistere, serrati dentro a un carcere,/ alle lusinghe del mondo…”.  E via con citazioni rielaborate e condivise  che accarezzano il cuore di chi frequenta le case dei Poeti: “Solo e pensoso sulla rena d’oro/il mare viola il poeta contempla…(Il poeta esule), “Riluce il tremolar della marina/ dinanzi a me…” (Le voci del silenzio), “Per l’antico tratturo verso valle/-erbal fiume silente-/la lunga schiera soffice discende…(Nostalgia delle greggi). Difficilissima operazione quella di mutare in versi la cultura, la conoscenza, la ricerca metafisica se non si possiedono  saggezza e  umiltà, studio e consapevolezza autocritica. Qui l’operazione è debitamente riuscita.
Lo sguardo si allarga, si stratifica  sfrondando l’inutile e il contingente per raccogliere con orecchio allenato il particolare, le sfumature, le voci segrete, i brividi, i misteri  e per elevarsi, elisa ogni interferenza troppo umana, sfuggendo ai baratri spaventosi dell’umano sentire, ad orizzonti ampi, forse irraggiungibili di metafisiche meditazioni ( in particolare nelle poesie di  Immagini elleniche). La musica e l’armonia, la spiritualità e la cultura, i colori e i sogni   svelano con discrezione  il mistero del poeta, il seduttore musico  dell’arcano e del canto  orfico.
Una scelta di poesie ad esempio:

ALBA DELL’ANIMA

Nel lucore dell’alba
l’anima lieve si libra nell’aria
– tenera foglia danzante nel vento –
candida e pura, dall’ombra mondata
degli angosciosi tormenti di ieri.

Fresca rugiada sull’erba, sui rami
dei meli in fiore, dei mandorli e peschi,
tutto ristora, disseta, risveglia,
rafforza e fiero vigore v’infonde
per la lotta del vivere.

Rugiada scende limpida nell’anima
– puro lavacro in sacrosanto rito –
e pace effonde, luce più serena,
intima forza ad affrontare il giorno
senza tetri timori.


La mia pianura

Amara nostalgia della mia terra
piana, per vaste lande senza limiti,
senz’orizzonte certo, mai immobile
per essere raggiunto dallo sguardo.

Sconfinata pianura dell’Emilia
distesa  al sole, invasa dalla nebbia,
lambita dal maestoso lento fiume
con silente carezza alla sua sponda.

Dorata dalle spighe di frumento
-musica serenante delle reste
ondeggianti nel vento carezzevole-
quando l’estate viene a offrire doni.

Mare di spighe, di vigneti ed alberi
di frutti variopinti, profumati,
gioielli di bellezza inimitabile.
Senza mai fine la pianura fertile.

Con lei mi fondo, anch’io senza orizzonte
certo, ben definito, teso l’animo
all’infinito vago, irraggiungibile,
unica meta per il mio vagare.


TYRRHENUS

Il dio Tirreno m’accoglie paterno
tra le sue sacre braccia cristalline.
Ecco di nuovo i pesci a me d’intorno
guizzanti senza tèma
del corpo mio di terrestre creatura.

Nel giorno torrido della Canicola
improvvisa una gelida corrente
per donarmi frescura m’accarezza
nell’azzurro tepore dell’abbraccio
di Tirreno divino.

Acqua, mia amica limpida e fedele,
eccomi nel tuo grembo
più sicura e serena che tra gli uomini
sulla terra, creature indifferenti,
incuranti di chi vive tra loro.

Nel tuo grembo materno, acqua, ritrovo
il caldo affetto troppo raramente
goduto per gli abbracci degli umani
nella mia triste infanzia solitaria,
muta di luce e amore.


IL PIANTO DI ORFEO

Che fare solo, dove mai andare
dove mai trascinarsi senza lei,
due volte a lui rapita, amata sposa?
Fredda, già navigava nella lieve
piccola barca stigia verso l’Ade.
Orfeo si lamentò per sette mesi
sotto una aerea rupe presso l’onda
del solitario Strìmone, negli antri
gelidi, con la lira e il triste canto
tigri ammansendo e trascinando querce
con l’angosciante, arcana sua poesia
di sciamano che incanta e smuove pietre.

Come dolente un usignuolo piange
nell’ombra fitta d’un frondoso pioppo
i figli suoi perduti, ancora implumi,
rapiti da un crudele zappatore
che li scoprì nel nido, i becchi aperti
in attesa del cibo e della madre;
essa piange la notte sul suo ramo,
di giorno il canto doloroso e il pianto
rinnova e riempie ogni luogo dintorno
di lamenti, così l’affranto Orfeo,
della lira le corde accarezzando,
canta dolente una mesta poesia.


L’ETERNO CANTO DI ORFEO

Ovunque è poesia. Ovunque guardi
con animo commosso ed occhio attento
al più piccolo fiore tra le pietre
sbocciato a stento, ma con vital forza
d’aprirsi un varco, d’innalzarsi al cielo,
c’è poesia fiorente intorno ai petali
come intenso profumo in primavera.

Orfeo risorto, non mai morto Orfeo.
Perenne il canto suo nella natura,
nel cielo, nelle stelle, nella luna
piena, calante, oppure nuova e tacita
nella valle, o crescente sopra i colli
come sottile falce all’orizzonte.
Ovunque è poesia. Eterno è Orfeo.
*

M.Grazia Ferraris

1 commento:

  1. Un commosso ringraziamento alla bravissima Maria Grazia Ferraris per la sensibile, profonda, acuta, empatica e colta lettura del mio libro di poesia "Echi e sussurri".
    Giorgina Busca Gernetti

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