martedì 9 ottobre 2012

Vittorio Sartarelli: La mia "prima volta"


 La mia “ prima volta”



Forse non tutti ci siamo resi conto ed abbiamo considerato con attenzione che durante la nostra vita, negli accadimenti che ci sono toccati o nelle esperienze che abbiamo fatte, per ciascuno di noi c’è stata sempre una  “prima volta”.  Solo il ricordo di essa potrà darci di nuovo un’emozione tanto intensa, come fosse la prima volta. Perché è della prima volta che ci ricordiamo.
Io sono uno scrittore che scrive, pubblica libri e partecipa a concorsi letterari nazionali ed internazionali, ormai da dodici anni e, durante l’arco temporale di questa mia attività, mi è capitata una prima volta che ricordo sempre con gioia e soddisfazione. E’ stato quando ho ricevuto il mio primo premio per la narrativa edita, per la prima volta nella mia vita. Scrivevo già da sei anni quando ho ricevuto la comunicazione telefonica, da parte della segretaria di un concorso letterario al quale avevo partecipato con una mia pubblicazione, con la quale mi si informava di avere vinto il I° premio per la narrativa edita  con l’invito alla premiazione nella manifestazione conclusiva del concorso.
Non è facile descrivere quello che ho provato in quell’occasione, anzitutto, quella era per me una consacrazione della bontà dei miei scritti, finalmente qualcuno, molto qualificato, si era accorto anche di me e, considerato quella che è attualmente la galassia dell’editoria e degli scrittori contemporanei, vincere un primo premio costituiva un prestigio ed una rilevanza notevoli.
Non stavo più nella pelle e già pensavo di organizzarmi per partire e andare a ricevere quello che per me costituiva una grande soddisfazione e, soprattutto, era una cosa nuova ed insolita partecipare pubblicamente e in prima persona ad una manifestazione di cultura alla presenza  di persone molto qualificate nel campo della letteratura e di un pubblico intenditore ed appassionato.
Fatte le valige, quindi, ed avendo convinto anche mia moglie a seguirmi, con la mia macchina partimmo alla volta della Campania dove giungemmo dopo due giorni di viaggio piacevole e divertente. La cerimonia di premiazione era stata fissata nell’aula consiliare del Comune, nel tardo pomeriggio, poi, alla premiazione sarebbe seguita una cena offerta dall’organizzazione del concorso. Giunti in Albergo e prenotata una stanza per la sera, ci recammo all’appuntamento, da parte mia con trepidante attesa e comprensibile emozione. La sala era già occupata da un folto pubblico che si era sistemato sugli scranni, in basso, tuttavia, vi erano i posti  riservati agli autori invitati che sarebbero stati premiati, di fronte ad essi il tavolo della Giuria del Concorso con i premi costituiti da coppe, targhe e trofei che recavano, ognuno, il nome e cognome dell’autore al quale era destinato. Prima di accomodarci nei posti riservati ebbi l’opportunità di scorgere quello che era il mio premio, costituito da una grande coppa e una targa artistica nella quale spiccava il mio nome e cognome. Quella vista, la presenza di tanta gente e l’arrivo di alcuni dei personaggi deputati alla consegna dei premi, mi generò un’emozione ed una commozione che a stento riuscii  a dominare e delle quali mia moglie fu testimone. Completato, in fine, lo schieramento della Giuria, il Presidente prese la parola e con un sobrio discorso attinente alla Cultura ed alla manifestazione, iniziò la presentazione degli autori e dei premi loro conferiti, nella varie sezione del concorso letterario. Quando venne il mio turno ebbe parole di plauso e di ammirazione per la mia pluriennale attività letteraria e per la mia pubblicazione che si era meritata il primo premio per la Narrativa  e consegnandomi il Premio mi chiese di prendere la parola per esternare le mie impressioni e il mio stato d’animo. Non potei fare a meno di dimostrare la mia emozione ed il mio compiacimento e con qualche difficoltà di adattamento psicologico, trovandomi per la prima volta di fronte ad un microfono, così mi sono espresso :
“Gentili Signore e Signori, buona sera, sono particolarmente lieto di essere stato invitato a partecipare a questa bella manifestazione di cultura. Ringrazio in primo luogo la Giuria del Premio che ha voluto attribuirmi questo riconoscimento e desidero esprimere un plauso agli organizzatori del Concorso.
Il fatto di avere vinto un primo premio per la narrativa edita oltre ad essere un riconoscimento prestigioso è anche  un omaggio alla Cultura,  non capita tutti i giorni, la cosa m’inorgoglisce e conferma la validità e la capacità tecnica nel comunicare del  mio ordito narrativo.
In fondo che cos’è uno scrittore? E’ una persona di una certa cultura ed una particolare sensibilità che ha avvertito l’esigenza di comunicare agli altri, con la scrittura, il suo mondo interiore, le sue conoscenze, la fantasia, i pensieri, le sensazioni, le proprie esperienze di vita, i ricordi  e, in fine, i suoi sentimenti. Con questo mio libro, che è autobiografico ho voluto raccontare alcuni episodi che hanno caratterizzato la mia esistenza, e con essi alcuni personaggi che hanno interagito con la mia vita contribuendo a formare il mio carattere e la mia personalità. Niente di particolare o di eccezionale, semplicemente, normali accadimenti di vita che possono essere riferiti a chiunque, tuttavia, quello che hanno mosso il mio desiderio di raccontare, sono stati i sentimenti, i ricordi e, un po’, anche le cattiverie dei nostri simili. Le difficoltà della vita, le aspirazioni, i progetti sul futuro, l’amore, l’amicizia, lo sport, il destino sopra tutti, sono il filo conduttore del mio racconto, in fondo, tutto un mondo nel quale un giovane di cinquanta anni fa cercava di ritagliare i sui spazi esistenziali. Ma, cos’è un libro? Qualcuno illuminato ha detto: “ E’ la porta di un mondo che si apre, un invito a restare, a fermarsi in compagnia di una storia, dei suoi personaggi. E’ una traccia che ci portiamo dentro, se il libro che abbiamo letto ci ha conquistato e che può anche cambiarci la vita”. Ritirare questo premio, in fine, mi gratifica molto e mi sprona a proseguire nella mia attività di scrittore. Ho sempre considerato lo scrivere un godimento dello spirito e un appagamento per l’intelletto,esso costituisce per me una sorta di valvola di sicurezza, alle ansie, alle angosce ed alle insoddisfazioni esistenziali della quotidianità. E, come nasce un libro?  C’è un momento “magico” in cui la pagina bianca si copre d’inchiostro e si riempie di lettere di parole, di frasi che diventano, mentre leggiamo, immagini, emozioni, sentimenti e significati.
A ben riflettere, ciascuno di noi è un “libro”, un meraviglioso contenitore che, a volte rimane chiuso per un po’ o per tutta la vita, se la persona che lo possiede non sa, o non vuole far conoscere agli altri il suo mondo interiore. E questo libro immaginario, che racchiude in se tutti gli accadimenti, le gioie, i dolori, le speranze e le certezze della nostra vita, man mano che il tempo passa, inesorabile, aumenta sempre più le sue pagine. Ma, quando invece, la porta viene aperta e l’autore di quel libro ha deciso di comunicare con gli altri, avviene il miracolo, perché non è calcolabile o immaginabile l’effetto di impatto e comunicazione sui lettori di tutto quell’universo di bellezza, bisogno di partecipazione, di racconto, di poesia e di sentimenti che esiste nell’animo di ogni persona. Comunicare agli altri il proprio sentire, le cose che contano veramente, le esperienze e le speranze, che non debbono mai finire, costituisce per lo scrittore un modo per rendersi utile, per far comprendere che, alla fine, non è la cattiveria umana o l’invidia  e la superbia che vincono, nella vita, ma sono l’amore, l’onestà e la fede che  trionfano. Questo fatto vorrà pur dire qualcosa, chi scrive crede fermamente in questi valori e si è sforzato di comunicarlo ai lettori, magari sommessamente, chi sa, se il suo messaggio verrà recepito da tutti?
Grazie, per il premio, l’attenzione e la considerazione!”


Vittorio Sartarelli

Vittorio Sartarelli nato a Trapani il 20/02/1937

Via G. B. Fardella, 237 – 91100 Trapani

Tel. 0923/ 540668 – Cell.: 3287454908






Costume e Società


 “Verità o false verità ?”




            Ci siamo mai chiesti che relazione intercorra tra la comunicazione di scoperta di nuove tecnologie o di nuovi traguardi della medicina o della biologia o della scienza in genere, e la verità sulle reali applicazioni di queste nuove scoperte? Forse no, eppure spesso, per orientare l’opinione pubblica o la maggior parte di essa, la verità sulle nuove scoperte della scienza e della tecnica, viene taciuta o peggio, sofisticata  strumentalizzata  quando, addirittura, non viene sostituita con una di comodo.
            Tutto viene ricondotto, purtroppo, molto riduttivamente e poco eticamente, all’imperativo del condizionamento ideologico delle masse a fini quasi esclusivamente politici e di profitto. Quello che a dirsi può sembrare un’enormità assolutamente inaccettabile per la morale antropologica, in realtà, tuttavia, quotidianamente  prendiamo cognizione ed accettiamo informazioni, che non hanno altra funzione se non quella di orientare le opinioni in una certa direzione.
            Gli esempi, a questo proposito, possono essere molti e riguardare le discipline più disparate dello scibile umano. Chi può dimenticare le emozioni che dispensarono, a milioni di telespettatori, le immagini del primo uomo sulla luna? Era il 20 Luglio del 1969, per la prima volta l’uomo era riuscito, non solo ad avventurarsi nello spazio, ma anche a mettere i suoi piedi su un corpo celeste, al di fuori della Terra.
E’ a tutti noto come in quel periodo, tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, fosse in corso una lotta senza quartiere e contro il tempo per la supremazia nello spazio. L’episodio, storico ed epocale, fu pubblicizzato adeguatamente e forse, oltre il necessario, dai mezzi d’informazione, non trascurando ma, anzi, evidenziando il fatto che sul suolo lunare era stata piantata la bandiera statunitense. Quel gesto, oltre a simboleggiare il possesso, indicava il primato.
Alcuni anni dopo lo storico evento, cominciarono a circolare nell’ambiente giornalistico americano, alcune perplessità sulla effettiva realizzazione dell’impresa, forse, si diceva, c’era alle spalle di tutto il confezionamento di un filmato molto accurato e, scenograficamente, quasi perfetto che sarebbe stato messo in onda in sincronia con la data e l’ora dell’effettivo allunaggio.
A seguire, si andò oltre, la cinematografia statunitense produsse addirittura un film, che fece il giro del mondo, nel quale addirittura si spiegava, dettagliatamente, come si fosse realizzato  il falso evento. Fu vera gloria, dunque, o siamo stati raggirati dalla più grossa “bufala” del secolo XX? Non fu mai provato niente e il dubbio, anche se inquietante, svanì pian piano, nell’oblio del tempo.
Di recente, tuttavia, il problema è stato riesumato dai soliti bene informati e la conclusione alla quale gli scettici sono pervenuti è che anche le successive missioni della NASA con destinazione il nostro satellite, siano state una perfetta sofisticazione dell’informazione, in quanto pare si sia trattato di altrettanti film molto ben congegnati e sceneggiati. Credere o no è opinabile, tuttavia, una cosa è certa, il dubbio rimane.
            Altro tema dibattuto che, oltre a riguardare l’ingegneria genetica e la bioetica, investe anche e soprattutto la corretta informazione delle masse, è la scoperta e l’applicazione pratica dei così detti “OGM” che altri non sono che degli organismi geneticamente modificati. Di questa scoperta della biotecnologia non è, attualmente, quantificabile l’entità ed il numero di applicazioni pratiche possibili queste, infatti, possono riguardare sia il regno vegetale che quello animale e, purtroppo, nel regno animale c’è anche l’uomo.
            Quello che stupisce, poi, oltre al fatto economico e speculativo che ne deriva, è che queste modificazioni di organismi possono essere brevettate, con tutte le possibili e intuibili strumentalizzazioni di ogni tipo, non escludendo la relazione con l’industria, il commercio e quindi il profitto. La possibilità di estendere questa pratica a tutti gli organismi più complessi e ai procedimenti industriali che ne permettono l’ottenimento, suscita atteggiamenti diversi e contrastanti, infatti, notevoli sono le perplessità sui possibili effetti a lungo termine sulla salute umana del consumo di prodotti derivanti dagli OGM.
A questo, punto sorge, inevitabile e necessaria, la corretta e veritiera informazione per la pubblica opinione. Oggi, purtroppo, in un mondo ormai condizionato fortemente dagli interessi economici e dalla ricerca del profitto, anche l’informazione può venire manipolata e indirizzata con finalità che niente hanno a che spartire con l’etica e la tutela della salute pubblica. E così, anche di questi “OGM” non si sa esattamente se siano dannosi oppure no, e i dubbi persistenti tendono ad ingrossare, alternativamente, le file dei fautori dell’iniziativa da una parte e dei denigratori dall’altra. E allora, qual è la verità vera? Il “popolo” rimane disorientato!
Che la “Scienza” debba progredire non ci sono dubbi, che questo progresso debba essere rivolto essenzialmente al miglioramento delle situazioni di vita dell’uomo e del suo ambiente è altrettanto incontrovertibile, quello che non è assolutamente accettabile, invece, è l’uso dei nuovi ritrovati della scienza e della tecnica a fini esclusivamente utilitaristici, riservati ad una parte dell’umanità, magari la più ricca, a danno dell’altra parte di umanità, quella più povera e derelitta. Questo, oltre ad essere eticamente esecrabile, ci appare come un crimine contro il genere umano.
La disamina del problema iniziale continua, limitatamente ad un altro argomento che è venuto alla ribalta, non molto tempo fa: intendiamo parlare delle “Cellule Staminali”. Ma, gli esempi da trattare potrebbero essere molti altri, tuttavia, lo spazio che ci è consentito non ci permette di ampliare la nostra disquisizione etico-filosofica. Anche questo settore della scienza appartiene alla ingegneria genetica e come tale contiene in sé il germe dell’umanità, per la qualcosa, non si può intervenire in questo settore, senza prendere in considerazione la sacralità dell’essere umano sin dal suo concepimento.
Se l’esistenza di cellule e tessuti capaci di rigenerarsi è un fatto noto da tempo, la scoperta delle cellule staminali è un fatto relativamente recente, l’isolamento e la coltivazione di cellule embrionali umane risale al 1998. Una grande quantità di queste cellule ottenute da embrioni congelati derivanti da procedure di fecondazione in vitro, eccedenti per tali finalità, potrebbero in teoria essere utilizzate per la ricerca. Nell’adulto le cellule staminali permettono la ricostituzione di tessuti danneggiati, tuttavia, verso la fine degli anni novanta è stato dimostrato che esse possiedono capacità inaspettate, molte delle quali devono ancora essere scoperte.
L’impiego di cellule staminali adulte, anche se disponibili in minore quantità e di più lenta proliferazione di quelle embrionali, ha fornito risultati incoraggianti. Alcuni ritengono, giustamente, inaccettabile l’uso di embrioni e pensano che le cellule staminali prelevate dagli adulti rappresentino una valida alternativa alla ricerca. Altri ritengono, invece, che la sperimentazione debba procedere, parallelamente, su entrambi i tipi di cellule e che possa addirittura integrarsi con le tecniche di ingegneria genetica. Anche qui, qual è la verità? I mass media non ci aiutano!
            Occorrerebbe, a questo punto, auspicare un incremento della correttezza nel pluralismo dell’informazione, ai fini della ricerca della verità, possibilmente aumentando i dibattiti pubblici sui temi e chiamando al tavolo della discussione, proprio i responsabili delle nuove scoperte e delle innovazioni tecnologiche. Quanto precedentemente espresso, apre scenari inimmaginabili per la qualità della vita futura dell’intera umanità. Basterebbe pensare ad un utilizzo più razionale ed universale delle risorse a disposizione, che non sia in contrasto con la coscienza morale e civile dell’individuo, fatto ad immagine e somiglianza dal suo Creatore, con finalità sicuramente diverse da quelle finora perseguite da alcuni dei suoi simili, non proprio ecumeniche.


Vittorio Sartarelli






Rimembranze

            Ascoltare i “suoni e silenzi dell’anima” equivale a raccontare e decodificare tutto quanto è insito nella sensibilità di ciascuno, mettendone a nudo gli aspetti più reconditi e profondi. L’anima, principio vitale di tutti gli organismi viventi è, più specificamente, la parte immateriale ed incorruttibile dell’uomo, di origine sicuramente divina e considerata sede delle superiori facoltà umane, come il pensiero, il sentimento, la volontà, la coscienza morale.
            Tutto questo ci induce a considerare, “i suoni”, le espressioni estrinsecate materialmente nelle varie facoltà umane, “il silenzio”, i pensieri, i sentimenti, i ricordi. Tutto quanto, in definitiva, attiene all’essenza più intima ed elevata di una persona, con il corredo della sua cultura, dell’esperienza, delle passioni e del suo intelletto.
Il silenzio, spesso, incute timore e, al tempo stesso si configura come un’esperienza che affascina. Perché incute timore? Perché ci rappresenta l’ignoto, ciò di cui non abbiamo cognizione e che, quindi, temiamo e, tuttavia, induce a guardarsi dentro, a fare un’indagine retrospettiva nelle profondità della nostra anima. Personalmente , mi è sempre piaciuto il silenzio, sarà perché sono piuttosto introverso e mi piace anche la solitudine. “Il silenzio è d’oro” dicevano i nostri avi e questi per esperienze e per saggezza, difficilmente sbagliavano. Nella mia vita ho sempre privilegiato il silenzio, sono di poche parole, parlo sempre il meno possibile e mai a sproposito, sono fatto così.
In silenzio si riflette meglio, si può meditare su ciò che si è fatto o su quello che si vuol fare e poi, si apre uno spazio segreto e molto privato che può avvicinarci a Dio con l’anima e la preghiera. Perché, poi, il silenzio può affascinarci? Perché esso ci appare come un luogo magico ed ancestrale, nel quale possiamo rifugiarci e dedicarci, al riparo da sguardi indiscreti, ad un faccia a faccia con noi stessi. Alla scoperta  dei meandri più oscuri ma, anche più eccitanti e sconosciuti della nostra psiche. A ricordare fatti, sentimenti e sensazioni, che hanno il contorno dolce e sfumato di cose che costituiscono le nostre “memorie” più care degli anni trascorsi.  
Da questo punto di vista, il silenzio ci appare sempre più come un bene prezioso da custodire e difendere dall’incessante rumore di fondo che accompagna la modernità dell’uomo nelle sue giornate.
            Le considerazioni sopra esposte mi portano a raccontare episodi ed aneddoti della mia più giovane età, partendo dalla prima infanzia, “memorie”, che sono rimaste impresse nella mia mente e nella mia anima, per un concorso talmente inscindibile di “suoni e silenzi”, che hanno permesso loro di fissarsi in modo sicuramente indelebile.
            Della Via Garibaldi, altresì detta “La Rua Nuova”; della mia città, conservo diversi ricordi legati alla mia fanciullezza e, man mano, fino alla mia adolescenza e poi alla giovinezza. Il motivo dominante e giustificatore di questi ricordi è sempre ed essenzialmente di natura sentimentale ed ha costituito, nel susseguirsi degli anni, una costante degli accadimenti e delle attività della mia vita. 
Questi ricordi, ordinati cronologicamente nel loro divenire, mentre costituiscono la memoria storica di un’epoca che ha dato la stura ad una serie di trasformazioni e di cambiamenti epocali, sono stati i testimoni dell’evoluzione costante dell’uomo e della società e, ancor oggi, il tempo dei mutamenti e delle sfide non sembra essere finito.
            La mia nonna materna, era proprietaria di una casa ubicata proprio all’inizio della strada;  la nonna, assieme ad una zia, gestiva una rivendita di tabacchi, questa, poiché era l’unica nella zona, era sempre molto frequentata da un gran numero di clienti, giova ricordare che correvano gli anni ’40 ed io avevo allora circa cinque anni.
            Dolce è il ricordo di quelle visite alla tabaccheria della nonna, la quale spesso e volentieri, fiera del suo nipotino, mi metteva a sedere sul bancone di vendita dal quale, intrattenevo, amabilmente, in conversazione gli avventori della privativa.
La casa della nonna, per un bambino, ha sempre un fascino speciale, quasi da favola; si trattava, in effetti, di una vecchia costruzione che si sviluppava su tre piani. Al terzo piano esisteva il salone di rappresentanza, lì, avvenivano i pranzi e le cene con tutti i parenti, durante le grandi festività.
 Spesso sostavo a lungo su quel balconcino adorno di piantine sempre verdi e fiorite e mi piaceva guardare i passanti o il tram che transitava, fragorosamente, sferragliando sulle rotaie con il conducente che avvisava chi, incautamente, stesse attraversando la strada, con un campanello a pedale, molto caratteristico, dal suono metallico e ritmico che ho ancora negli orecchi.
Quel momentaneo fragore era l’unico rumore molesto che si poteva percepire nella mia città a quell’epoca la cui vita scorreva per quasi tutto il giorno in una apprezzabile quiete piuttosto  riposante
            In quel salone c’era poi, per me, un’atmosfera particolare, l’aria delle feste familiari, quando tutti c’incontravamo trascorrendo insieme parte della giornata festiva. Quegli incontri, dei quali ho vivo il ricordo, avevano il sapore caldo e affettuoso delle vecchie famiglie patriarcali siciliane che, nella riunione conviviale, celebravano l’unità e il rafforzamento del vincolo familiare, con una ritualità di tradizione secolare. E i ricordi si affollano e ritornano alla mia mente, sempre silenziosamente, avvolti nella nebbiolina del tempo che è trascorso trasformandoci, tacitamente, quasi senza accorgercene, da bambini in uomini maturi e, alla fine, purtroppo in vecchi.
            In quel contesto temporale della mia fanciullezza, esplose la seconda Guerra Mondiale, i ricordi di quel periodo non sono tutti belli, ce ne sono anche di brutti e spaventosi, legati alla guerra ed ai bombardamenti sulla mia città. Lo sfollamento per motivi bellici, fu un fenomeno di massa caratteristico di quegli anni, Tutti fuggivano dalle città, terrorizzati dai famosi “bombardamenti a tappeto” effettuati dalle famose “ fortezze volanti” americane.
            Gli altri ricordi della Via Garibaldi di una volta, paradossalmente, pure essendo relativamente più vicini nel tempo, sono sfumati nelle nebbie degli anni che sono trascorsi, mi vedo passeggiare per quella strada, mentre tornavo a casa dalla Scuola Media, avevo ancora i calzoni corti ed ero insieme ad alcuni miei compagni di classe, c’era ancora il tram, che sferragliava sulle rotaie consumate dal tempo.
            Più avanti negli anni, quando frequentavo il Liceo Classico, percorrevo, di corsa, la strada tutta d’un fiato con la bicicletta, la mattina presto, con i libri sul manubrio, legati dagli elastici, i tram non c’erano più e neanche il basolato a terra, era subentrato l’asfalto, anche perché, ai tram erano subentrati i filobus ai quali, ben presto si sarebbero avvicendati gli autobus.
            Gli anni della gioventù sono sempre i migliori della propria vita e per me lo furono in modo intenso e indimenticabile perché ho avuto il privilegio d’incontrare l’amore e con esso la donna della mia vita. Ancor oggi, che ho superato da un pezzo i settanta anni, mi assale il ricordo, con indicibile e struggente nostalgia, di quegli incontri con la mia ragazza che sapevano di gioventù e avevano la freschezza ed il profumo della speranza, rappresentavano  il raggiungimento di una felicità nuova, mai provata prima.
            La gioia di guardare i suoi occhi scuri e profondi nei quali specchiarmi e scorgere quella luce misteriosa che mi scaldava il cuore. La tenerezza di tenerla fra le braccia, baciare la sua bocca e sentire il profumo inebriante del suo corpo giovane e vibrante che, da solo, costituiva per me un grande godimento. Era il tempo delle mele che in genere accade una sola volta nella vita e, poi, non ritorna più. Il nostro, all’inizio, non fu un amore facile perché eravamo troppo giovani e vivendo in un ambiente sociale ancora fortemente legato alle tradizioni e agli usi “antichi”, non potevamo vivere il nostro amore da vicino. Ci siamo amati a lungo in silenzio, da lontano ma, ugualmente in modo intenso e fedele.                                                    
            In seguito, eravamo già agli inizi degli anni ’60, quasi prossimo alla laurea, avevo trovato un posto di lavoro, fui assunto presso un settimanale politico locale. La tipografia dove si stampava il mio giornale e dove passavo molte ore, si trovava nella via Garibaldi, a due passi dalla casa di mia nonna, ma quante cose erano cambiate e quante trasformazioni ci sarebbero state, ancora nella mia vita!



Sartarelli Vittorio

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