lunedì 9 giugno 2014

CARLA BARONI SU: "ALDA MERINI"




A CURA DI CARLA  BARONI


ALDA MERINI

Queste due recensioni sono state scritte prima che Alda Merini venisse a mancare. La loro pubblicazione, perciò, dato il tono un tantino polemico, potrebbe sembrare inopportuna. Ma se ritenevo fosse necessaria una revisione critica dell'enorme quantità di materiale pubblicato in tempi recenti dalla Merini, lo ritengo maggiormente ora poiché molti editori si affretteranno a mettere in vendita tutto quanto possa essere attribuibile alla poetessa per perpetuare un fenomeno mediatico che niente ha a che vedere con la vera poesia.

                                           Carla Baroni




Carla Baroni

ALDA MERINI
CLINICA DELL'ABBANDONO


Alda Merini

C'è un detto che recita Gioca coi fanti ma lascia stare i santi. Tuttavia io sant'Alda la voglio strapazzare un po'. Questo libro della Merini (Einaudi Editore, 2003) già dal titolo sfrutta quella pretesa follia con cui l'autrice vive, da tempo, di rendita. Perché clinica se la parte principale l'ha, come al solito, il letto? Un letto su cui gli amori carnali consumati non appagano la protagonista che vorrebbe essere qualcosa di più del semplice svago di un'ora. Non è il fatto che un'ultra settantenne abbia in mente ancora amplessi a ruota libera che lascia dubbiosi - il poeta è uno scrittore come un altro e l'invenzione è il suo pane quotidiano - bensì che questa continua ecolalia, che sembra spesso il prologo o l'epilogo di ogni incontro in un albergo a ore (titolo di una celebre raccolta della stessa Merini) possa soddisfare i palati più esigenti. Anche altri hanno scritto in tarda età di rapporti amorosi però che abisso tra il popolaresco e delirante modo di esprimersi della poetessa milanese e quello raffinato di una Maria Luisa Spaziani nella "Traversata dell'oasi"! Tuttavia quello che non convince è anche il modo con cui queste liriche sono state scritte. Abbandonata la buona musicalità dei primi lavori, alcuni testi, decisamente in prosa, ricavati dagli appunti della Merini sono seguiti da altri che risultano dettati. Ma come si può trascrivere un consistente corpo di liriche dalla viva voce dell'autrice senza che questa le corregga, stabilisca le pause, la lunghezza dei versi, la punteggiatura, tolga le ripetizioni? Se facesse veramente tutte queste cose per ogni poesia, con l'intralcio dello scrivano, ci metterebbe un'eternità. Invece la procedura deve essere stata adottata, nel migliore dei casi, proprio per intensificare la sua produzione che, in questo modo, dubito che non risenta della personalità di colui che butta giù materialmente i testi. Afferma Giovanna Rosadini - curatrice del libro - con una punta di saggezza, che potrebbe rivelarsi interessante un'analisi delle diverse sfumature che assume la scrittura di Alda Merini in relazione dell'interlocutore del momento, e della necessità e funzionalità di questo tipo di figura nella sua ultima produzione poetica… E con questo è detto tutto.
E allora le casalinghe che prendono a esempio la Merini, senza conoscere un Luzi o un Montale e magari neanche un Pascoli, e si improvvisano poetesse parlando di sperma e di rose sfiorite sappiano che ogni lirica ha bisogno di un cesello continuo e non si detta come la lista della spesa. Né si impreziosisce con parole arcaiche. Lasciamo lo spiro a Dante e a Manzoni soprattutto se non si hanno esigenze di metrica e di rima; non sono grandi per questo.
Ma ognuno ha il poeta che si merita!

                                     A cura di Carla Baroni



  ALDA MERINI
Cantico dei Vangeli

Questo "Cantico dei Vangeli" di Alda Merini (Frassinelli 2004) è una specie di drammatizzazione di alcuni passi del Vangelo; in sintesi l'autrice immagina dialoghi che non si trovano affatto nel Nuovo Testamento parafrasando i vari testi e cogliendo da essi le parti più suggestive. È inutile dire che si tratta di un'operazione tipo "Il Codice da Vinci" che umanizza molto Gesù Cristo il quale, più che un pastore di anime, sembra uno dei protagonisti di "Tempesta d'amore", i soliloqui dei quali sono sempre in bilico tra passione e dubbio. Presente, quindi, una certa carnalità in quanto le figure retoriche hanno spesso per oggetto il grembo della donna violato, accarezzato, desiderato ed in fondo unico veicolo di vita anche spirituale. Pure il concepimento di Gesù travalica di gran lunga quello che ci hanno insegnato a scuola. Però, velando l'autrice queste morbose ossessioni con ambigue metafore, "Il cantico" è certamente, nel genere, uno dei suoi migliori testi, perché riesce a restare, malgrado tutto, nei limiti del buon gusto. Sarebbe interessante un'opera omnia tanto per vedere quanto di ripetitivo c'è nella scrittrice.
Da rilevare poi che questa vulgata della Vulgata  - si fa per dire - non è affatto un libro di poesia anche se c'è un certo lirismo nei monologhi e ogni tanto si va a capo. Forse lo era nelle intenzioni della Merini e di colui o di colei che ha trascritto i testi dettati dall'autrice. Le mie riserve sulla validità di tale operazione le ho già espresse in altra sede; comunque la poesia è musica, checché se ne dica, e un briciolo di armonia è necessario. D'altronde un poeta non è obbligato a proporre sempre versi. E quando una è conosciuta come la Merini può scrivere qualsiasi cosa, sicura che verrà letta e soprattutto pubblicata dalle case editrici che, a turno, le mandano il segretario a domicilio.
Fatti la fama e curcati dice Camilleri e la Merini si è già, da tempo, curcata.


                                       A cura di Carla Baroni



2 commenti:

  1. Mi piace questa impennata di Carla Baroni, sebbene tardiva e ad assenza di Alda Merini. Con tutto il rispetto per la grande poetessa scomparsa, Carla Baroni non ha bisogno di scusarsi, perché non ha tutti i torti né nei confronti della Merini né di editori che non sanno più fare il loro mestiere né tanto meno nei confronti del battage mediatico di certa stampa e di certi giornalisti i quali, chiudendo gli occhi (dovrei dire tappandosi il naso) di fronte a quanto di vile e di ignobile sta accadendo nei gangli vitali della nostra società, non hanno altro da dire e probabilmente non sanno cosa sia veramente la poesia. Lontano da ogni moralismo, ritengo che ormai il segno è superato, come dimostrano gli oscuri eventi di questi ultimi tempi. Qualche anno fa ho assistito ad un intervista televisiva alla Merini, in cui si parlava pochissimo della poesia, ma molto delle cose cui Carla Baroni si riferisce e di cui si lamenta, soprattutto nella prima delle sue due note. Un’intervista che ho trovato assurda becera e del tutto fuori luogo. Non è così che si rende utile servizio alla poesia. Grazie a Carla Baroni per la sua sincera critica.
    Umberto Cerio

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  2. Non un semplice grazie a Carla Baroni ma un plauso convinto da parte mia perchè ha osato mettere i puntini sugli i sull'operato poetico della Merini grande poetessa che per me ( scusate la schiettezza ) tale non lo è mai stata. Non sono mai riuscito a leggere per intero un suo libro perchè dopo le prime 4 - 5 poesie istintivamente respingevo il resto. So che è poco signorile ed etico parlare male degli assenti specie se questi sono passati a miglior vita; ma quella poesia espressa in prosa versificata non entrava mai in sintonia col mio mondo poetico; per dirla alla maniera ungarettiana " non mi sentivo colpito dentro". Sono stato, sono e credo di restare sempre convinto che la poesia ha i propri canoni da rispettare perchè possa definirsi tale: un proprio linguaggio, musicalità, sintesi estrema. ( Scusate non voglio mettermi in cattedra, non ne ho la minima volontà); ma sentire o leggere che la Merini ( con tutto il rispetto dovuto ) sia stata un vate della poesia contemporanea ho i miei dubbi. Leggendomi, qualcuno può asserire liberamente e anche forse giustamente di non essere stato all'altezza di recepire la grandezza poetica dell'autrice. Ciò è possibilissimo, ma resto comunque del mio parere. Pasqualino Cinnirella. Colgo l'occasione per formulare alla Baroni gli auguri per LA GORGONE D'ORO

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