mercoledì 19 aprile 2023

Maria Rizzi sulle liriche di Maria Luisa Daniele Toffanin

 

 

Maria Luisa Toffanin, dalla voce che dischiude, potente, profetica, sonora, dedica quasi tutte le sue undici liriche al tempo insospettato e terribile della pandemia, al “mistero del vento virale - terzo conflitto globale”. La guerra è un conflitto tra Stati, tra paesi che trascinano i popoli gli uni contro gli altri. C’è un nemico fisico. In questo caso l’avversario è esogeno, non lo si può combattere con le armi di distruzione della guerra. Contro il virus le armi sono cura e prevenzione, il contrario della guerra. E la Poetessa, sempre attenta al sociale, risponde con versi ispirati dalla universalità della preghiera, della compassione. Risponde invocando “pietà dei morti, pietà dei vivi”. Se è vero che la musica può toccare direttamente il corpo e sconvolgerlo, provocare danza e canto, strappare magicamente l'uomo a se stesso, le odi della Nostra, che richiamano in più occasioni le tematiche leopardiane - la siepe, la ginestra, - chiedono alla “vita di avanzare pure sui fili del telefono”. E l’Autrice, tesa ad arco verso il prossimo, volge lo sguardo ai bambini, che in tempo di pandemia patiscono la sindrome da deprivazione sensoriale, e inventa per loro giochi simili al carnevale “con guanti e mascherine / che si può anche cantare tutti in coro / come a Natale”. La lirica – filastrocca dedicata ai piccini ci consente di visitare il realismo magico, caro al grande Gianni Rodari. La Toffanin è artista poliedrica, che visita i territori della poesia con rara disinvoltura e conosce la resilienza, il coraggio, la creatività delle persone in apparenza più deboli. Il cantico è volto a “questo presente – effimera sosta / di una bianca farfalla tra il suo verde / perenne. / Ma lei già palpita vibra le ali subito tese / in un nuovo progetto di volo”, ai miracoli della Natura, nella consapevolezza che “Le cose sono unite da legami invisibili: non si può cogliere un fiore senza turbare una stella.” (A. Einstein) Nel maggio 2020, in pieno tempo di Coronavirus, si spense il grande pianista Ezio Bosso e la poetessa non può esimersi dal dedicare alla sua musica una lirica che tocca vette impensabili. L’artista conviveva con un cancro, eppure era solito dire che la malattia non era la sua identità, rappresentava più una questione estetica. Aveva cambiato i suoi ritmi, ogni tanto lo spingeva a “evaporare”, ma non temeva che gli togliesse la vita. La Toffanin gli attribuisce giustamente la scintilla dell’eternità: “Così nel tempo eterno permani / bellezza intima / che si fa armonia – canto di vita”. Nella lirica “Naufraga” l’Autrice si rivolge a Robinson Crusoe per esprimere il suo dolore sulla “landa / desertificata dalla furia virale”. Versi originalissimi, che mettono in luce la differenza tra il marinaio che vive per ventotto anni su un’isola deserta presso la costa del Venezuela e l’esistenza riempita solo “dall’empietà dei media”. La poesia, come spesso avviene nelle opere della straordinaria Poetessa padovana, ci sorprende e ci accarezza con una chiusa in levare, presagio di giorni nuovi che diano senso al nostro percorso terreno. Il rossetto, “raggio di sole stampato sulle labbra”, lungi dall’essere un semplice cosmetico diviene il simbolo del sorriso negato, dell’impossibilità di far affacciare l’anima alla finestra del viso attraverso l’arcobaleno delle labbra. La mascherina costringe a rispolverare un’espressione tenera, sorridere con gli occhi, nell’attesa che torni “quella luce quella parte di me”, come recita la Toffanin, che consente di comunicare il saluto, la gioia, l’affermazione, la vicinanza. Mi è sembrato significativo che l’Autrice non citasse l’abbraccio o il bacio come messaggi d’amore banditi. La mascherina l’ha ferita nel profondo, l’ha resa fantasma di se stessa, l’ha espropriata della sua natura. E in effetti la mascherina riveste un ruolo determinante per coloro che sono soliti dare senso e verità al sorriso, eludendo il concetto di maschera sociale. La Nostra è donna e artista profondamente vera. La lirica “Per una nascita”, che ha fatto vibrare le corde del mio cuore, lo dimostra. La Toffanin commuove e rompe gli stampi. Celebra con il suo canto melodioso la vita che va avanti attraverso versi lievi come incantesimi: “No, non può morire il mondo / se anche una sola madre / arde di fede immensa nella vita / che in lei fiorita avanza”. Le nascite sono relative anche al rinnovarsi della primavera, al tappeto di stelle nel quale ‘brilla il sorriso di Dio’. Il controcanto della Nostra si palesa in questi versi e nella lirica “Emozioni”, che vede la Poesia divenire il linguaggio che le è proprio e le consente di esprimere l’esperienza mistica, i moti della grazia, l’estasi al di là del ‘limbo’ nel quale si trova a vivere. I versi sono caratterizzati da un andamento armonico del flusso sonoro dei termini adottati e nasce il volo. Nel volo sul proprio spartito interiore la Toffanin insegue Gelsomina, il meraviglioso ingenuo personaggio interpretato da Giulietta Masina nel film “La strada” di Federico Fellini, creatura di poesia pura, venduta a un rozzo girovago che si esibisce nel paese con giochi di forza e abusa di lei. Il film scorre sulle note della poetica del candore di Nino Rota, caro al cuore dell’Autrice. Le ali spalancate sulla musica tentano di abbracciare anche l’amico Andrea Zanzotto, poeta senza tempo di Pieve di Soligo, e in questi voli pindarici la Poetessa ci coinvolge nella vertigine della bellezza assoluta. “Fragile l’oggi alla pulsione dei numeri / oscuro cammino il domani eterna / voce la bellezza / promessa che dolore e morte vince e / sublima”. Le undici liriche terminano nel maggio del 2022 con un tuffo nei colori del giardino, luogo quasi di culto per l’Autrice, che è solita rivolgersi ai fiori con rispetto e con atteggiamento amicale, e in quest’occasione celebra la clematide, “risorsa a noi etica estetica / riflessa nei tuoi occhi pervinca / riaperti al mattino / come all’infanzia del mondo”. L’azione dei fiori rafforza la qualità opposta allo squilibrio esistente, essi insegnano ad attendere, a non disperare, a non dare per scontata ogni piccola cura, ci allenano alla pazienza e alla meraviglia. La Toffanin, pur lontana da Teocrito, come spirito può senz’altro definirsi ‘musa bucolica’ dotata del lirismo appassionato, della consapevolezza che “Cantare in verità è un / altro respiro, / Un respiro sul nulla. Un soffiare nel Dio. Un vento.” (Rainer Maria Rilker)  

 

Maria Rizzi

 

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