sabato 1 aprile 2023

Adriana Assini : "ROSSO DI TIRO, BLU D'OLTREMARE"




Descrizione


È una luce abbagliante quella che attraversa i cieli grigi di Bruges, andando poi a planare sulle acque dei suoi cento canali, lungo le cui rive s'addensano le botteghe di eterni rivali: i tintori di robbia e quelli di guado. Il rosso e il blu. Su quel finire del Trecento, tra le incertezze provocate dal Grande Scisma d'Occidente, sono le continue rivalità tra i mestieri unite alle lotte sociali contro il potere dominante a tenere sempre alta la tensione nella ricca e melanconica città fiamminga. Mentre gli uomini si cimentano in proteste e guerre vere, alcune donne combattono in silenzio e senza armi ben altre battaglie: sono le dame della Compagnia della Conocchia che, in spregio dei pericoli e delle norme, s'incontrano di nascosto nelle fredde notti tra Natale e la Candelora. Si scambiano segreti e saperi, consigli e rimedi per la vita e sulla morte, ma soprattutto coltivano un grande sogno comune a tutte.
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Una poesia densa di vita, di recondite armonie direbbe il mio maestro Puccini; una poesia attiva, fattiva, coerente e plurale, in cui il poeta racconta sé stesso, allontanandosi da ogni tentativo sperimentale di positura prosastica. Qui il verso si amplia e si rattiene per seguire i movimenti di un cuore che palpita, che sente, che ama, pensa, e freme. E sa anche conoscere quando è il momento di andare a capo, di interrompere una misura per crearne una nuova che continui l’armonia della poetica. Ed è così che la natura si fa compagna inscindibile di un’anima che lo segue e lo rivela. Sì, è essa che lo prende e lo trascina nei meandri più nascosti del suo panorama. Gli dà il sintagma, il lessema; gli dà il verbo, la parola, tramite cui il poeta rivela il fatto di esistere; rivela la matassa dei sentimenti che covano da tempo nel suo crogiuolo esistenziale: «Ho visto / i miei pini scomparire / sotto il calore di un cielo ingrato / il sole snidare ombre / e scolpire di crepe aride terre / Ho visto fuggire / e perire sotto il fuoco / voli d’uccelli e strisciar di serpi / e morire con loro / il mio passato» (Alberi miei).Il poeta fa dei simboli naturali (tramonto, alba, meriggio, mare, cielo, alberi…) il linguaggio del suo poema. Non è di certo vano tirare in ballo Albio Tibullo (54 a.C. – 19 a.C) col suo apologo della natura: «Non ego divitias patrum fructusque requiro / quos tulit antiquo condìta messis avo: / parva seges satis est, satis est requiscere lecto / si licet et solìto membra levare toro. / Quam iuvat immites ventos audire cubantem /aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster, / securum sommos imbre iuvante sequi! / Hoc mihi contingat!». («Io non voglio per me le ricchezze e i guadagni dei padri che i raccolti procuravano agli avi antichi; un modesto raccolto mi basta e, se mi è lecito, mi basta riposare nel mio letto e rinfrancare le membra nel consueto giaciglio. Com’è bello starsene a letto e ascoltare il soffiare impetuoso del vento stringendo dolcemente al petto la donna amata, oppure, quando l’Austro invernale rovescia gelide acque, addormentarsi al sicuro, consolati dal rumore della pioggia che batte! Questo mi tocchi in sorte!»).

Così si conclude il b bel romanzo tirato avanti con rispetto e amore  della nostra cara

ADRIANA ASSINI. Una narrazione loquace che abbraccia con animo lesto i momenti salienti di una storia che parla di economia, di storia, di vita e di amore. Un libro  di  ben 260 pp. in cui si moltiplica l'animo di Adriana, la sua verve narrativa,  il su suo acume inintelletivo e la sua potenza esplorativa

nazario

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