sabato 30 settembre 2023

FRANCO DONATINI; "SOTTO IL SENSO DEL VIVERE"

 

 Dalla prefazione di Nazario Pardini:

Iniziare dalla poesia incipitaria significa andare da subito a fondo nella poetica di Franco Donatini, dove pathos e logos si caricano a vicenda per dare spazio alla poesia: natura, intimità, riflessione, amore, esistenza, vita. Una silloge compatta musicalmente fluente, armonica, dove la filosofia del vivere si reifica nel dettato poetico, in cui amore e natura convivono per amore del canto. Una silloge plurale, complessa, polivalente, dove la vita con i suoi marchingegni si reifica in suoni e voci di profonda eleganza. Il linguismo si altera, varia a seconda dell’impiego dei lessemi: fonemi, ritmi linguistici, si accavallano per dare un senso a questa nostra vicenda esistenziale. Il linguaggio si amplia, si scorcia, si modifica, si fa ora breve e contratto, ora narrativo, per accompagnare gli input emotivi. La natura segue con pazienza i dettami della vita e li reifica in sostanza emotiva. A volte il verso si fa breve, a volte quasi narrativo, per articolare il variare dei nessi interpretativi, il tutto è immancabilmente armonico e fluente, come un ruscello alle sue origini.I lemmi presenti più frequenti: vuoto, vita, esistenza, amore. Il vuoto che avvolge l’esistenza e caratterizza la condizione esistenziale della società di oggi, rappresenta una sorta di prigione; il poeta non accetta questa sorte che lo relega in uno stato emotivamente circoscritto, chiuso, quasi senza scampo. Il vuoto fa paura, come un’assenza del tutto, da cui l’aspirazione a uscirne indenne, umanamente più completo, interiormente più ricco, verso una dimensione più umana in accordo con la natura. Un viaggio in un mare pieno di turbolenze, dove gli elementi naturali e insieme i demoni interiori ostacolano la navigazione. Un viaggio che comunque il poeta percorre senza mollare, per giungere a un porto di pace, di serenità dove recuperare, attraverso il rapporto con sé stesso, la propria identità. Così le esperienze della vita contribuiscono a comporre un patrimonio esistenziale, da cui scaturiscono stati d’animo profondi che si tramutano in poesia.Un linguaggio ricco di sonorità, assonanze, sinestesie, emistichi, fa da contorno a una poesia fortemente intimistica e filosofica. Ibi omnia sunt: nostalgia, ricordi, saudade, verità nascoste, emozioni rivelate e sopite che danno forza e significante e questa silloge, ai suoi componimenti di rara bellezza contenutistica e verbale.

 

Nazario Pardini


 




Analisi critica

 

L’autore, Franco Donatini, uomo di rigorosa formazione scientifica, ma pur fornito di vasta cultura umanistica, intende e ama la poesia quale frutto di riflessione critico-intellettuale e di confronto ideale sistematico con le opere e con la lezione morale di tanti altri scrittori, soprattutto contemporanei.È d’altronde da tempo tramontato quel presupposto teorico caro all’estetica del Romanticismo, secondo il quale l’arte sarebbe sinonimo di immediatezza sentimentale, di schiettezza psicologica e di spontaneità fantastica e risulterebbe tanto maggiormente riuscita e stimolante quanto meno complicata e appesantita da costruzioni intellettualistiche. Pertanto, l’autore di Sotto il senso del vivere dedica significativamente la terza sezione del libro all’ascolto “ravvicinato” di alcuni poeti sul fondamento della comune vocazione testimoniale della solitudine, di quella disposizione mentale ed etica così intensamente rappresentativa della modernità.I riferimenti costituiscono altrettante note di commento. Particolarmente interessanti mi sembrano quelle relative alla sofferenza disperata, al “viaggio visionario senza uscita” di Dino Campana:“Tu poeta vagabondo/ nel tuo straniero mondo/ segno di profonda indifferenza/ di poeti e artisti del tuo tempo/ oggetto di violenza dello stato/ e di mancata comprensione del tuo male oscuro/ di chi doveva amarti” (A Dino Campana) e alla amarezza profonda, “coperta” da superiore, sublimante ironia, di Guido Gozzano, in una rete di stringenti richiami linguistico-letterari: “E già i capelli si son fatti radi/ e il mal sottile disegna nei polmoni/ un bosco folto di intricati rami/ e la signora vestita di nulla/ già si appropinqua lesta alla soglia” (A Guido Gozzano). Tuttavia, il discorso intertestuale non è limitato alla sola parte programmaticamente designata; altrove la strategia “allusiva” consta di spunti meno dichiarati eppur palesi, come in una strofa della lirica Incastro perfetto, compresa nella prima sezione: “Tendono all’oscurità tutte le cose/ lo fanno con estranea indifferenza/ non chiedono né scusa né permesso/ si limitano a seguire il noto ignoto/ irresponsabile percorso del destino”. È ovvio il rinvio alla nota poesia montaliana Portami il girasole di Ossi di seppia (“Tendono alla chiarità le cose oscure, / si esauriscono i corpi in un fluire / di tinte: queste in musiche. Svanire / è dunque la ventura delle venture”), con un’implicazione comparativa e interpretativa invero feconda: la concezione di Donatini appare più cupa, l’accento si è fatto più duramente pessimistico, anche rispetto alla sua raccolta poetica precedente, La solitudine del poeta (2021). Ai suoi occhi la realtà naturale e la vicenda umana, sovente strettamente connesse attraverso la figura della similitudine, si contraddistinguono per un intimo, incalzante dinamismo, per un’inarrestabile mobilità, che condanna le esperienze della vita a rapida consunzione:

“Voglio coprirti di perle / luccicanti / come gocce di rugiada / scoprire / il tuo corpo / come il sole del mattino sull’erba / sublima / il gelo della notte / ascoltare il silenzio / dei nostri pensieri / che parlano / di sogni vissuti / svaniti al risveglio” (Coprirti di perle);  

“C’è una cosa per ogni stagione / il bisbiglio d’un’umida rosa / lo sguardo fugace che imprime / l’affanno d’una emozione / Migliaia di sorrisi svaniti / attimi intensi dissolti / ricordi nel vuoto riposti / rancidi fiori appassiti / L’ultimo sogno d’amore / svanisce nel tempo tiranno / si perde tra gli altri l’inganno / d’un’assenza che sa d’impotenza” (L’amore fugge in silenzio).La tirannide del tempo è nel suo trascorrere inesorabile, obiettivazione emblematica del principio del πάντα ῥεῖ caro a Eraclito e ai filosofi antichi: “Eppure eri tu/ quella che rompe il tempo / quella che gioca con me / che si lascia prendere / solo un momento / e poi fugge / in un’altalena senza fine” (Ho spento il pc).In un’altra strofa di un testo già menzionato, Incastro perfetto, si legge un’ulteriore riflessione di rilievo filosofico, questa volta di matrice moderna ed esistenzialistica e specificamente heideggeriana:“Ci perderemo anche restando insieme / non basta esserci per essere presenti/ L’assenza è la realtà dell’esistenza / la molla del desiderio e del ricordo / è ciò che resta vivo e non degrada”.Nella catena indifferente e impietosa del divenire, produttore di incertezza, di labilità etico-sociale e di grande precarietà sentimentale, ognuno dovrà cogliere e, se possibile, godere di fuggenti attimalità: “Portami (…) dove il vento / sussurra messaggi d’amore / e il tempo / rallenta la sua corsa / per dilatare la nostra attesa / Stasera un raggio di sole / è entrato furtivo nella mia stanza /…e ti ha cercato” (Portami), di momentanee situazioni positive, sempre comunque in bilico, costantemente suscettibili dell’erosione e dell’annullamento indotti da un ordine delle cose in continuo movimento, “in fuga”: “Col corpo avvolgente / trattiene la donna / il fluire del mare / Esausta l’onda si placa / Scioglie i corpi / la materia matrigna / perversa e assente / chiude il sipario / Il mare continua / indifferente / il suo moto perenne” (Come il mare).

 C’è pertanto di che rivalutare l’errore tragico di Orfeo, del quale lo scrittore moderno rivisita con intelligente coerenza il mito, considerandone il significato in forma nuova:

“Ti sei voltato Orfeo / per un attimo di felicità / solo un attimo / in cambio d’una vita / Hai colto quel fiore / tornato / di nuovo a sorridere al cielo / rigenerato / dalla profondità della terra / Solo un attimo / per consumare una breve illusione / per carpire / il fallace richiamo dei sensi / per fruire / un istante di avara emozione” (Orfeo. Il senso sotteso del mito).

Il linguaggio dell’autore è essenziale e diretto, con una prevalente organizzazione paratattica:

“Fuggo/ il mistero dei tuoi occhi / hanno il colore del cielo / dei bagliori della neve / al sole appena sfiorito / cadono / frammenti di luce sul tuo viso / pallido” (Il mistero dei tuoi occhi) e la complessiva medietà lessicale, pur in presenza di un’accurata elaborazione formale-stilistica, come dimostrano, ad esempio, in una versificazione generalmente caratterizzata dal verso libero, l’uso della rima:

“Mi difendo tra le ferite / che l’esistenza ha segnato nel cuore / Da lì oso sbirciare / percepire il tuo splendore” (Proteso al sole)

 “Le ferite ti rendono viva / sono le cicatrici di un combattente / Sfidano il volto spettinato dal tempo / i raggi del sole invadente / da cui vorresti nascondere negli occhi / i pezzi del tempo trascorso/ Occhi ancora capaci di intensi bagliori / di languidi amori / di sogni negati / di prezzi pagati” (Guardando il cielo), 

o l’impiego dell’anafora:

 “Da sempre t’ho sognato…Da sempre t’ho cercato…Da sempre ho sofferto” (Eri sempre con me),

dell’enjambement: “Scende la notte sopra la città/ deserta piena d’ombre (…) Forme senza volto e corpi / esangui / nel buio un bagliore / di lame un tintinnio / sinistro di catene” (Fuori),

della metafora:

“Ti ho immaginato / fragile cristallo di ghiaccio / sul ramo d’un albero / rara stella cadente / in una notte d’agosto / gemma fluttuante d’estate / in un campo di grano / fugace favilla / danzante su una candela” (Eri sempre con me, cit.), 

nonché dell’antitesi: “ Come il sole calante dietro i monti / rallentò il mio passo / per fermare il tempo solo un momento / di questa vita avida di luce (…) E mentre la sera si avvicina il cielo / pian piano si scolora / l’anima fugge e una nuova stella / s’aggiunge schiva alla volta scura (Dolce amara compagna); “E la sera cala / umida di tiepida rugiada / sul nido che protegge i nostri corpi (…) Ma il nido si apre / e accoglie / smarriti sensi fiumi di parole (…) apre cancelli chiusi / e scioglie i petali carnosi / del trepido bocciolo d’una rosa” (Il nido).

La correlazione antitetica “chiuso / aperto”, scandita spesso dalla congiunzione avversativa “ma”, assume nei testi una decisiva funzione strutturante, idealmente ordinativa, giacché esplicita il tratto contraddittorio peculiare della vision du monde di Franco Donatini, il quale talvolta manifesta un moto di reazione al doloroso ripiegamento pessimistico: “Non piegarti agli eventi/ non vivere tra foto ingiallite / Continua a osare / Cammina sull’orlo del precipizio / senza cadere / Guardando il cielo…” (Guardando il cielo) ;

“Vuoto il labirinto mentale/ niente trattiene il corpo che sale / Ma l’anima resta giù nella caverna/ incatenata cerca un punto / da dove ripartire / dalle ombre fluttuanti / dai simulacri di pietra/ dalla luce accecante che viene da fuori” (Ricordi); 

“Eppure il tuo sguardo eloquente / mi parla di tenere rose / di voglie segrete dischiuse / fermate in un tempo già assente / Ma la bellezza non riesce a svanire / nel corpo che vuole morire / nel liquido vuoto dei sensi / ti porto in dono il mio niente” (Il mio niente). In conclusione, prevalgono nello scrittore la coscienza infelice di un insuperabile, pervadente senso del nulla, la consapevolezza di “muoversi in una scatola di vetro / che non traspare e non riflette niente / solo la sua non esistenza”. Sono versi del componimento Son forse un poeta?!, ove la ripresa del celebre luogo meta poetico del “saltimbanco dell’anima” Aldo Palazzeschi si risolve nella convinzione sconfortante della sostanziale negatività dell’esistenza e della poesia, sottolineando il carattere velleitario e sempre irrealizzato dei propositi, delle aspirazioni, dei desideri, che di questi sono stati nel tempo ricorrente espressione:

“Il vuoto è sceso finalmente / a invadere la dimora del poeta / a dimostrar che esiste veramente / Fugge il poeta tra specchi senza luce / invano sogna di trovar sé stesso / Ma sui vetri opachi della sua prigione / avverte che fu inganno…l’illusione”

 

Floriano Romboli


 


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