Maria, come scrittrice, ha
compiuto il suo primo omicidio in età adulta, circa una dozzina di anni fa. La
vittima, una ragazza di età indefinibile, fu trovata in posizione fetale, accanto
a un cassonetto della spazzatura. Da allora non si è più fermata e qui, su uno
scaffale della libreria alle mie spalle, i successivi omicidi sono tutti
allineati, in sequenza, uno dopo l’altro. Ma l’autrice è anche donna di legge e
ha sempre disegnato investigatori dediti al lavoro, talvolta condizionati da problemi
personali o famigliari, da umane insicurezze, ma sempre carichi di una profonda
umanità. Poi, in una nuova elaborazione creativa, Maria ha aperto il cassetto dell’anima,
trovando appunti, note, bozze lasciate incompiute, ricordi e odori nostalgici.
Dall’unione di questi
elementi nascono due storie, una di testa con il suo intreccio, il suo ritmo, i
suoi colpi di scena; l’altra, interiore, che parte dalla dolcezza e dalle
suggestioni dei ricordi, fa da
contrappunto alla prima. Dal loro incontro nasce il romanzo L’arcobaleno
nella pozzanghera. La protagonista, Miriam, alter ego di Maria, in seguito a una
promozione si trasferisce nel commissariato di polizia del luogo di provincia
che l’ha vista crescere, prima bambina, poi adolescente e, infine, diventare
giovane donna. La gioiosa opportunità di un ritorno alle sue radici, con la promessa di un viaggio tra i luoghi
dell’anima e i vecchi amici che li hanno abitati, viene condizionata dal
ritrovamento, sulla banchina della stazione, del cadavere di una giovane
ragazza immigrata. Miriam, a questo punto, deve fronteggiare una doppia sfida,
sia professionale che privata: portare avanti le sue prime indagini nella
cittadina della sua vita precedente e metabolizzare la profanazione del luogo,
affacciato sul mare, che ha visto nascere il rapporto con Gianni, l’amore della sua vita.
Il delitto, compiuto con particolare
efferatezza, metterà a dura prova le capacità investigative e l’equilibrio
della commissaria e della sua squadra, che l’autrice tratteggia con efficace
abilità descrittiva, tanto che è difficile non simpatizzare per il sanguigno ispettore
Ferragni, o per l’apparente fredda ispettrice Girotti o, ancora, per l’impulsivo
agente Scotti. Le indagini, quasi una insonne ricerca, porteranno i
protagonisti ad affrontare una dolorosa discesa verso gli abissi del degrado
umano, tanto da intaccare la corazza dei tutori dell’ordine, in uno scenario
figlio dei tempi e della società in cui viviamo. Ad alleviare le fatiche
dell’indagine ci saranno i vecchi amici – tra cui Giulia, a rappresentare il
periodo adolescenziale, e Guido, a ricordare gli anni della fanciullezza - con
la loro consolatoria capacità di ricomporre gli antichi legami e di richiamare
ricordi non sopiti. E qui è la storia - l’altra - che viaggia tra sentieri pieni di ricordi nostalgici
e ha come baricentro la Villa, con le sue due querce, luogo evocativo di mille
ricordi famigliari, tra vecchi racconti di guerra, voglia di essere un ragazzo,
prati, ginocchia sbucciate, cinema all’aperto e, soprattutto, testimone del
tempo dell’innocenza della protagonista.
Alla fine del lacerante
percorso investigativo Miriam si troverà davanti a un bivio esistenziale:
godere della crescita professionale o ritornare dagli affetti famigliari. Una
scelta che la condurrà verso un più maturo rapporto con il passato, attraverso lo
sguardo attonito davanti a un edificio diroccato e rinato in forma diversa, ma che
è solo la rappresentazione esteriore di una realtà fatta di ricordi e relazioni
da portare dentro di sé come una radice.
Il romanzo si snoda, nella
narrazione e anche nei dialoghi, in un
linguaggio, tipico della scrittura di Maria, poetessa che non scrive più
poesie, punteggiato di similitudini,
metafore visive, immagini, per far esprimere ai personaggi i propri stati
emozionali.
Come scrittrice, Maria
continuerà a commettere crimini e, contemporaneamente a combatterli, in un contesto
- quello della polizia - dove si muove
con naturalezza e conoscenza ambientale, ma in quest’ultimo romanzo si avverte,
forse nascosto alla stessa autrice, il germoglio di un cambiamento, di un
cambio di passo, il bisogno della ricerca di nuovi orizzonti narrativi dove
esplorare storie e paesaggi nuovi, magari più intimisti. Sembra di avvertire
questo bisogno in una più matura narrazione dei rapporti affettivi, nella
ricerca del registro nostalgico, e nella capacità di mettere a nudo le
fragilità emotive di una donna forte come la protagonista. O, più probabilmente, sono solo fantasie di
un vecchio amico recensore, quasi un personaggio di un suo romanzo.
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