GIANFRANCO MENGHINI è stato definito da alcuni autorevoli critici come uno scrittore di getto, cioè un narratore tout court che dà il meglio di sé nella presa diretta secondo la formula felice di trame e di suspence, con una scrittura leggibile e godibile, che lo rivela come un sicuro talento della narrativa che sa raccontare con i fatti il senso della vita.Menghini vive e inventa le sue storie nella sua amatissima Isola d'Elba. Dopo aver lavorato e scorrazzato per tutto il mondo negli anni d'oro del boom mondiale per conto di una grossa compagnia americana, ha creato e diretto un Tour Operator a livello internazionale per quasi trentanni. Ritiratosi a vita privata, ricapitola le sue innumerevoli esperienze in romanzi che vanno da quelli storici (è uno specialista del periodo napoleonico) a quelli della vita contemporanea. Ha al suo attivo una ventina di romanzi, di cui tre in lingua francese, di cui uno pubblicato in Francia ed uno in inglese. Vessato da qualche editore, rivolge la sua attenzione verso un pubblico vasto e qualificato che gli potrebbe riconoscere i meriti che, considerata la disorientata situazione editoriale italiana, nessun editore potrà mai dargli.
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IRINA
Irina Demiorovna, dopo lo
smantellamento di tutte le centrali spionistiche nell’isola di Cuba e il
rimpatrio dei militari russi seguito dalla drastica riduzione del personale
dell’ambasciata de L’Avana, fu invitata a preparare i bagagli per imbarcarsi
sull’ultimo volo per Mosca.
Non le dissero altro. Avrebbe ricevuto
istruzioni solo all’arrivo nella capitale russa.
Non fu un viaggio disagevole dato che
era stata invitata a occupare una delle
poltrone da dirigente, rimaste libere proprio dietro il cockpit e l’aereo era
un modernissimo Tupolev, sicuro e veloce, tanto che si posò leggero come un
airone sull’aeroporto Sheremetjevo dieci ore dopo il decollo.
Tuttavia la lieve apprensione di venire
rimproverata per qualcosa, visto che non le era stato anticipato nulla circa lo
scopo del viaggio, non l’aveva abbandonata un istante durante il lungo volo.
Per quanto fosse stata istruita a non chiedere spiegazioni sugli ordini
ricevuti, c’era sempre stato qualcuno che, seppure non palesemente, gliene aveva
fatto capire la ragione. Di solito il dottor Gradinov, suo diretto superiore,
la informava su tutto, salvo i segreti che poi, a dire il vero, tanto segreti
non erano, poiché lei aveva capito che gli uomini li rendevano tali come fosse
un loro divertimento esclusivo. Secondo le sue impressioni e conseguenti
riflessioni logiche grazie all’intelligenza superiore di cui era dotata, aveva
tratto le sue personalissime conclusioni. Tutti quei movimenti di uomini
armati, l’installazione di rampe missilistiche, il via vai di navi spia
mascherate malamente da mercantili e le navi da guerra, inclusi i sommergibili
nucleari che giravano intorno alla grande isola caraibica, altro non erano che pedine di un gioco alla
guerra del tipo di quello da tavolo, gli pareva si chiamasse Risiko. Ma c’era
davvero bisogno che gli Stati Uniti e l’URSS si spiassero in continuazione,
sempre pronti a premere il bottone per scatenare una guerra termonucleare per
poi, alla fine, annientarsi a vicenda? E le ragioni? Non le pareva fossero ideologiche
né dettate dalla voglia di conquista di territori, visto che ne avevano da
amministrare di immensi e, tantomeno per riservarsi ricchi mercati commerciali.
Sarebbe stato troppo assurdo mettere in scena tutte quelle costosissime
manfrine solo per assicurarsi la vendita di armi e incutere la propria influenza sui paesi emergenti, abitati da
popoli disorientati e pericolosamente impoveriti da certi satrapi che vi
avevano cruentemente preso il potere, il cui unico interesse era di impinguare
i loro conti nelle banche svizzere. Ma al suo Paese, alla Grande Madre Russia,
a cos’era servito tutto ciò? Spreco di risorse umane e naturali, l’abbandono di
intere popolazioni obbligate a vivere di stenti in territori inospitali. Quindi
nient’altro che autodisgregazione, com'era stata informata anche se in maniera
non troppo esauriente. Il Soviet non esisteva più. Gorbaciov, malgrado le sue
aperture al mondo occidentale, era stato incruentemente defenestrato e il suo
principale collaboratore in politica estera, colui che più di tutti lo aveva
aiutato a mettere in pratica la
Perestrojka , ora era alla presidenza della Georgia, già
separatasi come l’Ucraina escluso, ma come ardentemente sperava accadesse
presto, il Turkestan con la bella Taskhent dove vivevano i suoi genitori.
Il gelido alito dell’incipiente inverno
russo le sferzò la pelle ambrata del viso. Irina Demiorovna con un gesto
istintivo se lo riparò con la mano libera, affrettandosi a entrare
nell’aerostazione. Là dentro, un’atmosfera ormai solo vagamente familiare, che
sapeva ancora di tè e di biscotti al burro, la fece ritornare alla realtà meno
ovattata dell’esclusiva zona dell’aereo dove aveva trascorso le ultime ore. Il
viso tetro e ambiguo di un uomo in uniforme che teneva un cartello con su
scritto il suo nome, quasi la spaventò facendole credere che quell’improvvisa
convocazione a Mosca avesse a che fare con il microfilm da lei fatto pervenire
a Santo Domingo.
Non poteva essere. Sapeva che in quel
caso avrebbero usato altre maniere. E infatti così non fu, per quanto il
tenente Bikov ebbe a spiegarle nient’altro che DI avere ricevuto l’incarico di accompagnarla
alla direzione degli Affari Esteri. Il soldato che gli faceva da attendente si
occupò di portarle il bagaglio.
Fintantoché il tenente Bikov non l’ebbe
accompagnata nella sala di attesa dell’ufficio del dottor Vladimir
Tulaevshenko, capo ripartizione agli affari esteri e che una segretaria dai
modi accattivanti l'avesse fatta accomodare su di un vecchio divano in pelle,
Irina Demiorovna non aveva fatto altro che pensare al peggio. Che cioé
quell’ufficio fosse l’ultimo che avrebbe visto in vista sua, prima di essere
spedita in qualche sperduta cittadina affogata nell’immensa steppa siberiana,
nel gelo quasi eterno. Lei, che amava tanto il caldo e le comodità! Non era
neppure immaginabile che avessero scoperto la sua azione a L’Avana, ma chi la
stava spaventando in quel momento era la sua coscienza, di cui teneva talmente
conto da credere fosse un’entità così concreta da accusarla implacabilmente di
un grave crimine. Mentre invece, in un URRS in disfacimento dove non si usava
neppure più tanto chiamare il prossimo compagno e compagna, pareva che ciascuno
pensasse al proprio incerto futuro.
Quando venne introdotta nell’immenso
ufficio del dottor Tulaevshenko, un signore gentile, seppure la divisa di
colonnello delle forze speciali dell’esercito la mettesse in soggezione, le
andò incontro. Le strinse energicamente la mano e l'accompagnò fin davanti alla
scrivania, facendola sedere su una delle poltroncine destinate agli ospiti.
“Signorina Demiorovna,” incominciò a
dire sorridendo e Irina, per il solo fatto che avesse usato l’appellativo di
signorina anziché compagna, ebbe subito l’impressione di trovarsi di fronte a
un bonario superiore che non aveva niente da rimproverarle, anzi forse…
“Signorina Demiorovna,” ripetè il
colonnello, guardandola fissamente negli occhi. “Posso farle i complimenti per
la splendida abbronzatura? Purtroppo, come lei ben sa, abbiamo dovuto ridurre
gli effettivi del nostro corpo diplomatico a Cuba ed io ho lo sgradevole
compito di…”
“Io veramente, dottor Tulaev…”
“La prego, compagna Irina, sia così
cortese da farmi terminare. Dunque, dicevo che, seppure abbia l’ingrato compito
di destinare ad altro incarico il personale in esubero proveniente da Cuba, non
è detto che chi si è comportato in maniera irreprensibile non possa scegliere
una destinazione tra quelle che ho a disposizione.”
“Ah, grazie, dottore!” esclamò d’un
fiato Irina, che si aspettava ben altro.
“Non le ho detto tutto, però,
signorina!”
“Oh, Santa Madre Russia, non vorrà
dirmi che…”
“Ma no, no signorina. Solo che la
pregherei si essere meno irruente. Mi faccia terminare, la prego… compagna
seconda segretaria d’ambasciata.”
“Colonnello Tulaevshenko, davvero? Non
ho capito male? Seconda segretaria d’ambasciata?”
“Come al solito, cara dottoressa
Demiorovna, ha capito benissimo,” rispose compiaciuto, sottolineando il titolo
accademico di Irina. “Non solo, ma le lascio l’insolita scelta tra due
destinazioni: Londra e Madrid. La prima tra un mese e la seconda dopo che avrà
goduto di tutte le ferie. Dal suo dossier vedo che ne ha per quasi tre mesi.”
Il cervello di Irina si mise a
elaborare quei dati come un computer. Si immaginava che la situazione in Russia
dovesse deteriorarsi da un giorno all’altro e chissà se tra tre mesi i suoi
superiori non cambiassero idea, se non addirittura rimossi dall’attuale incarico. L’impiego a
Madrid sarebbe stato ideale. L’ambasciata russa nella capitale spagnola
disponeva di personale ridotto, con conseguenti controlli meno pignoli. Sapeva
quanto a Londra invece, il più importante centro nevralgico del
controspionaggio russo in Europa occidentale, gli agenti segreti, anche se
sotto strane qualifiche diplomatiche, fossero numerosi. Ma era pronta ad
accettare il rischio, appunto perché in un solo mese sarebbe cambiato poco ai
vertici del governo e quel lasso di tempo le era più che sufficiente per
organizzarsi affinché i genitori la
raggiungessero, magari con il pretesto di una gita turistica.
“Allora, compagna Irina, ha deciso? La
vedo un po’ troppo titubante di fronte a un’offerta così vantaggiosa. Come si
sarà resa conto, i tempi si sono fatti abbastanza difficili…”
“No, no, mi scusi compagno colonnello.
Ho deciso. Stavo solo valutando quale destinazione scegliere. Opterei per
Londra. Il mio inglese si è un po’ arrugginito dopo due anni passati a Cuba a
parlare quasi sempre spagnolo.”
“Bene. Si ricordi però che la vita
nella capitale inglese è molto più cara che in Spagna, per quanto per il suo
nuovo incarico sia prevista la corresponsione di uno stipendio adeguato, ivi
incluse le spese di alloggio.”
Irina avrebbe voluto chiedergli che
tipo di alloggio e quale fosse l’ammontare del suo assegno mensile, ma non
voleva dare l’impressione di essere troppo entusiasta, per cui si limitò a
ringraziare il colonnello che, forse per il piacere di conversare con lei,
volle scendere nei particolari, iniziando prima dai complimenti.
“Lei è proprio una bella ragazza, se mi
concede questo apprezzamento, compagna Demiorovna, o posso chiamarla Irina?”
“Certo compagno colonnello e… grazie
per il gentile complimento.”
“Quell’abbronzatura le dona molto.
Peccato che a Londra, specie in questa
stagione, debba perderla in poco tempo, ma se lo desidera, entro un anno vedrò
di trasferirla in qualche destinazione tropicale. Le andrebbero bene il
Venezuela o il Brasile?”
“Sono certa che mi troverò bene a
Londra, compagno colonnello,” rispose asciutta Irina, per dare l’impressione di
non gradire certe interferenze.
Ma Tulaevschenko sorvolò sulla lieve
sfumatura e, facendosi più insistente, proseguì: “Strano che non mi chieda
dello stipendio che le verrà corrisposto né del tipo di alloggio
riservatole. Potrei migliorarli, lo
sapeva?”
“Certo compagno colonnello, ma vorrei
tranquillizzarla nel dichiararle che sono al servizio della Patria e il
compenso per l’opera da me svolta, come pure i privilegi che ne derivano, sono
solo secondari al conseguimento degli alti ideali…”
“Irina Demiorovna...” replicò con un
sorriso ironico il colonnello, “tutti siamo al servizio del nostro grande
Paese, ma bisogna pure campare e poi, come lei avrà bene appreso, specie
all’estero dove le esigenze di vita sono ben diverse dalle nostre, non bisogna
dare l’impressione di condurre un train de vie troppo modesto.”
“Questione di rappresentanza, no?”
“Esattamente, ma anche, vorrei dire, di
non rifuggire una certa agiatezza. Non starebbe a me dirlo, ma i cambiamenti
avvenuti sono talmente evidenti che chissà se questo stato cose non vada
peggiorando, di conseguenza…”
“Vorrebbe dire che ne dovrei
approfittare?”
“Del tutto legittimamente, cara Irina,”
rispose, dando alle sue parole un’inflessione un po’ troppo familiare per i
gusti della ragazza che, paventando un'insinuante richiesta, non alimentò la
conversazione, standosene zitta.
Rimasto a bocca aperta in attesa che
Irina gli rispondesse, Vladimir Tulaevchenko, indugiò qualche secondo a leggere
nei due fogli che aveva dispiegati davanti a sé, le note caratteristiche della
ragazza, nella speranza di attingervi quelle informazioni che gli dessero lo
sprone ad avanzare la proposta che stava escogitando.
“”Non ha
legato con i nostri giovani agenti dell’ambasciata, preferendo la compagnia di
qualche amico che si è fatta nella capitale cubana. Niente di compromettente
per gli affari della nostra legazione, dato che si è sempre limitata a farsi
accompagnare nei luoghi turistici della città, a frequentare con una certa
assiduità l’Hotel Habana Libre dove qualche volta vi ha pernottato, certamente
in compagnia di qualche giovane.””
Ah, dunque!’ esultò tra sè il colonnello, ‘non dovrebbe
essere difficile.’ Poi rivolgendosi alla ragazza: ”Che ne direbbe, compagna
Irina di pranzare assieme questa sera? Dato che le è stata riservata una camera
al Mezhdunarodnaya Hotel sul romantico porto canale di Krasnopzesnenskaya,
potrei venirla a prendere alle otto per recarci insieme al Babochka, uno dei
migliori ristoranti della città che, trovandosi in Bolshaya Ordynka, non è
molto distante dal suo albergo. Là potremmo gustare le tipiche specialità
moscovite o, se lei non le gradisse, tradizionali piatti della cucina francese.
Quello che aveva temuto, si stava
avverando. Cosa rispondere a colui che aveva in mano il suo futuro? Non le
rimaneva altro che accettare e ci sarebbe pure andata a letto, purché il
compagno Vladimir l’autorizzasse a farsi seguire dai genitori nella nuova
destinazione e, forse, anche qualcos’altro.
“Grazie, colonnello, lei è molto
gentile. Accetto il suo cortese invito.”
Irina aveva ottenuto più di quello che
si era prefissato di avere. La prima volta aveva dovuto superare un lieve
ribrezzo, ma quando si spogliò dell’uniforme, Valdimir Tulaevshenko
le mostrò un corpo asciutto e, nei limiti della sua età, una muscolatura
abbastanza su di tono. Nel fare all’amore, poi, era stato sensuale e delicato.
Non le era saltato subito addosso.
Sarebbe stata una reazione normale, giacché quei pochi uomini che erano andati
a letto con lei, avevano avuto quando appariva loro nuda nelle sue bellissime
forme. Lo sapeva, ne godeva e in più ne approfittava, presentandosi in quella
postura per sbigottirli e prendere lei il comando delle operazioni. Che erano
sempre appaganti per il partner.
La prima volta che lo fece con Vladimir
- da quella notte lo chiamava soltanto per nome dandogli del tu - colui che le
era dapprima apparso un rigido militare, la fece godere. Prima esplorandola con
gli occhi per mettere a fuoco le zone più erogene del suo corpo, poi accarezzandola
con mani abili fino ad arrivare al punto cruciale della piccola escrescenza
clitoridea che, quando iniziò a lappargliela, prima con una lingua guizzante e
dopo strofinandogliela lievemente tra il
pollice e l’indice inumiditi di saliva, la fece impazzire di desiderio.
Donna di grande intelligenza, seppure
avesse mancato d’ingegno nell’applicarla per una carriera che non poteva che
essere sfolgorante, sapendo però che per la sua condizione femminile in Russia
quel culmine le sarebbe stato precluso, fredda e calcolatrice ormai per i
radicali insegnamenti ricevuti, possedeva pure il raro dono di ammaliare gli
uomini. Se fosse nata in un’epoca antecedente in un paese del corrotto occidente, sarebbe
diventata una cortigiana che avrebbe lasciato segni tangibili nella Storia.
Ma come il tallone di Achille, anche
Irina aveva il suo punto debole. Non che gli uomini non lo sapessero, poiché in
genere tutte le donne sono sensibilissime in quella delicata parte del corpo,
ma nessuno era ancora riuscito a titillarlo come fece Vladimir quella notte,
per cui non fu lei a dirigere l’amplesso, ma l’attempato uomo che, dopo averla
fatta godere in quel modo, la penetrò con insospettata energia. Il suo pene
sembrava una trivella a espansione. Quando arrivava nel più profondo si
enfiava, riempiendo completamente il cavo vaginale e trasmettendole una
sensazione così orgasmica che i muscoli del collo uterino si contraevano per
non lasciarlo uscire. E ciò ogni qualvolta si ritirava, per ridiscendere più
baldanzoso che mai, impedendo lo scoccare della scintilla che le avrebbe fatto
esplodere il godimento. Allora, per fermarlo quell’attimo di più nel suo più
profondo, si avvinghiò con le gambe attorno alle scarne natiche dell’uomo e gli
serrò la schiena con le braccia. In quella posizione gli impedì il continuo
beccheggio per cui, presa nel turbine del godimento parossistico, fu lei a
dimenare i fianchi con frenesia come volesse fuggire da quel vortice profondo
che la privò per brevi attimi di ogni facoltà raziocinante, facendola urlare di
piacere. Dopo, entrambi ansimanti, si
divisero e rimasero quieti qualche minuto per riprendere fiato.
“Vladimir, posso chiederti di farmi
ottenere una cosa?” disse.
“Tutto quello che vuoi,” rispose
Tualevshenko, ancora ebbro di piacere.
“Non credo tu possa concedermi tutto
quello che vorrei. Anche tu, compagno colonnello, hai limiti che non puoi
travalicare.”
Vladimir si mise sulla difensiva. Ora
il piacere provato stava annebbiandosi. Si mantenne prudente. “Bè, allora
chiedi e, se potrò, lo farò volentieri.”
“Bravo. Niente di impossibile. Le mie
sono esigenze molto modeste. Ma prima chiariscimi bene una cosa: l’incarico di
seconda segretaria d’ambasciata comporta il compito di fare da assistente
all’ambasciatore, vero?”
“Certo, Irina. Si tratta di una
promozione e, nella tua carriera, è un bel passo avanti. Nel giro di un anno,
se sarai in gamba come non dubito, ascenderai al posto di primo segretario.”
Irina prese al volo le due parole indicanti la qualifica
maschile, per ribattergli: “Che, nella gerarchia diplomatica, sarebbe il
massimo livello per una donna.”
“Solo per il momento. Le cose stanno
cambiando, Irina.”
“Ed io anticipo quei cambiamenti, caro
Vladimir,” rispose guardandolo negli occhi. “Non desidero quel posto.”
“Noo… nooo! E a quale ambiresti?”
chiese l’uomo, con un’inflessione nella voce che tradiva il timore di ricevere
una richiesta che lo mettesse in difficoltà.
“Quello di livello inferiore che, a
quanto mi hai riferito, è disponibile a Madrid tra un mese. Il tuo intervento
dovrebbe far sì che io lo occupi al più presto e…”
“E…?” Vladimir si erse a sedere sul
letto, guardandola con gli occhi sgranati dalla meraviglia, “e quale altra
stranezza, Irina Demiorovna?”
“L’autorizzazione di trasferirmici, con
al seguito i miei genitori.”
“Dove vuoi arrivare, compagna, con
queste strane richieste?”
“Lontano, compagno Vladimir. Molto
lontano. Dall’altra parte.”
“Quale altra parte? Non mi dirai che…”
nella mente selettiva del colonnello si era aperta la strada giusta. “Non vorrai,
per caso, tradire?”
“Ci mancherebbe altro, compagno
colonnello. Amo la mia Patria più di me stessa e non la tradirei mai per
nessuna cosa al mondo. Per questo ti chiedo di concedermi lo stesso incarico
che ricoprivo a Cuba. Semplice segretaria con nessuna conoscenza di segreti o
di cose riservate. Impiegata d’ordine. Così quando ti chiederò di lasciare il
servizio per emigrare negli Stati Uniti, non sarò un soggetto a rischio. Non ti
pare?”
“Emigrare, Irina Demiorovna? Ma non
otterrai mai un permesso del genere!”
“Per questo, compagno colonnello, ti
chiedo di inviarmi presso la nostra ambasciata a Madrid dove lavorerei per
qualche mese…” ma si corresse subito, “anche un annetto se ciò dovesse metterti
in difficoltà e poi…”
“E poi? Cazzo, ragazza, sono già in
difficoltà, io!”
“E dopo, amico mio, presenterò le
dimissioni. Che tu accetterai,” rispose serafica, niente affatto impressionata
dall’ira nascente del suo superiore. “E sarò libera di andare dove voglio.
Niente mi legherà a questo paese in disfacimento nel quale non vedo alcun
futuro per me e la mia famiglia.Allora, sei sicuro che verranno accettate?”
“Certo! Forse è meglio così. Se tu le
avessi presentate con il tuo nuovo incarico, avresti dato adito a sospetti.
Approfitta delle ferie che ti rimangono e fatti un viaggio turistico in Italia
con i tuoi. Ti assicuro che nessuno ti controllerà. Come premio, ti farò
concedere i passaggi aerei con Aeroflot per Roma. Ma, mi raccomando, non
restare nella capitale italiana, ma prendi il treno e raggiungi Firenze dove ti
fermerai fino al giorno prima della partenza e nella notte antecedente,
raggiungerai Malpensa e da là volerai negli Stati Uniti.”
“Senza pericolo? I miei genitori sono
persone semplici, che non sono mai uscite dalla Russia. Non vorrei che
rischiassero qualche grave incriminazione.”
“Senza alcun pericolo, stai tranquilla
ma, mi raccomando, prima di partire da Firenze invia la lettera di dimissioni
alla nostra Ambasciata a Roma, dicendo che hai trovato lavoro in un’industria
italiana.”
“E se dovessero cercarmi?”
“Perché dovrebbero fare una cosa del
genere, Irina? Con tutti i guai finanziari che abbiamo, figùrati se sprecano
denaro per cercare una semplice segretaria. Sarai né più né meno una dei tanti
che hanno lasciato la Russia
per andarsi a guadagnare uno stipendio dignitoso.”
Il rublo valeva ben poco e fortuna
aveva voluto che Irina Demiorovna avesse tesaurizzato i dollari guadagnati a
Cuba. Aveva a disposizione quanto le serviva per mantenere lei e i genitori in
Italia, pagare i tre passaggi aerei fino a New York e sopravvivere una
settimana a Newark. Giusto il tempo per venire in possesso dei cinquecentomila
dollari. Dopo, un certo Donald Grey, probabilmente un nome in codice di un
agente della CIA, si sarebbe messo in contatto per istradarla verso la
destinazione definitiva. Si era raccomandata che quella località non si
trovasse in una regione dove l’inverno fosse rigido come in Russia. Se non
clima tropicale, perlomeno temperato.
Era contenta della soluzione
suggeritale dal colonnello Tulaevchenko, il quale era arrivato a quella
determinazione dopo l’ennesimo amplesso. Si erano lasciati una settimana dopo
il suo rientro a Mosca. Era stato gentile a farle da cavalier servente per
tutto quel periodo, portandola a cena nei migliori ristoranti, ma sembrava non
dovesse mai accontentarsi di fare l’amore. Non che a lei dispiacesse, ma alla
fine, nella sua ripetitività, era diventato davvero faticoso. Vladimir si era
fatto perdonare con un bel regalo. Un girocollo in platino con tre brillanti
solitari di tre carati ciascuno, contornato da altri piccoli diamanti a
digradare, probabilmente oggetto di qualche requisizione forzata. Era
impossibile trovare un gioiello del genere nei negozi russi, se non attraverso
un personaggio della nuova mafia che, giorno dopo giorno, diventava sempre più
forte, eccessivamente ricca e troppo arrogante. Si sapeva che molti dei suoi
elementi acquistavano a suon di milioni di dollari prestigiose proprietà in
tutta Europa, in particolare in Italia e in Francia. Che il compagno Vladimir
fosse coinvolto con i loro traffici… o perlomeno tenesse i legami con loro, era
indubitabile. E quel favoloso gioiello, ne era quasi certa, era un compenso per
qualche favore ricevuto o forse l’aveva preteso apposta, in luogo di una mazzetta,
per regalarlo a lei…
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