“L’evoluzione delle forme
poetiche” (Kairòs Editore)
Roma, Libreria Ready Cavour – 13/05/2013
Dare
risalto alla poesia, adoperarsi affinché abbia visibilità e diffusione, è
davvero eroico nei tempi attuali. Per questo merita encomio chi vi dedica
particolari attenzioni, come ha fatto la Kairòs Edizioni ,
pubblicando lo studio congiunto di due tra gli esponenti della letteratura più significativi
del nostro tempo: la poetessa Ninnj Di Stefano Busà ed il poeta Antonio Spagnuolo,
entrambi impegnati anche sul fronte della critica letteraria. Costoro hanno
dato vita ad un prezioso inventario della migliore poesia italiana dell’ultimo
ventennio, un documento storico che si spera tra l’altro possa diventare
almanacco, una sorta di annuario, e sarebbe il primo di una lunga serie.
Trovandomi
anch’io tra i selezionati autori, capisco bene la discrezione che spinge la Busà a dire che “questo
consuntivo non ha la pretesa di essere il vangelo”. Tuttavia esso rappresenta
uno spaccato davvero significativo dell’ultimo ventennio poetico italiano: un
censimento, un’indicazione di percorsi che, come la stessa Busà scrive, possono
stare al livello della storia. Sono presenti, in questo florilegio, firme di grande
prestigio unitamente a nomi nuovi, comunque qualificati. Un’operazione di
grande spessore culturale, dunque, che entusiasma gli amanti di questa Musa, anche
se rattrista sapere da Spagnuolo, in postfazione, che “il panorama non risulta
completo perché diversi autori (bontà loro!) hanno declinato l’invito,
adducendo scuse a volte puerilmente banali, a volte prive di quella necessaria
cultura umanistica che distingue lo scrittore autentico”.
Duecentoottantasette
autori, tutti di levatura, con moltissime punte decisamente eccellenti, non
sono comunque pochi e testimoniano il grande valore letterario e storico del documento
in oggetto, che sfiora le ottocento pagine: un vero e proprio specchio del
nostro tempo e non una delle tante, consuete raccolte culturalmente
inconsistenti, giustificate da moventi prettamente commerciali. “L’evoluzione
delle forme poetiche” (questo il titolo del testo) è un archivio storico della
poesia a cavallo di due secoli, ed anche di due millenni. Il volume, rivolto in
particolare ai giovani e alle scuole, risulta suddiviso in due sezioni: quella Bio-bibliografica e quella Antologica, con l’inserimento di
poetiche tra le più disparate, per dare conto della varietà delle proposte
esistenti, ma seguendo comunque un criterio selettivo e non pletorico, come
cercheremo ora di evidenziare e di comprendere.
La
pluralità delle voci presenti è testimone senz’altro di un desiderio documentaristico,
di oggettività storica pertanto, più che di tendenza artistico-culturale.
Tuttavia un’indicazione critica emerge per il fatto che i direttori d’orchestra
riescono a fare della pluralità una polifonia, un coro a più voci intorno al leitmotiv della ricerca dell’umano in un
mondo vieppiù dominato dalle macchine e dalle tecniche, come quello attuale; in
una situazione di “crescente isolamento e depauperamento della poesia, quando
invece più forte se ne avverte il bisogno”, come è detto nella nota divulgata
dalla Kairòs. In questa nota si specifica che “scopo dell’opera è affiancare e
stimolare a vari livelli una più ampia conoscenza dei fenomeni linguistici
sollecitando la voglia di aprirsi al sogno
che, sempre, da un’epoca all’altra, rimane immutato e risulta vincolato al
desiderio di proporsi alla Poesia”.
Mi è
capitato recentemente di intervistare la Ninnj
Di Stefano Busà sul ruolo della poesia nella società odierna
e ritengo illuminante riassumere il suo pensiero al riguardo: lo stesso, in
fondo, che sta alla base di questa proposta antologica. Ebbene, nell’intervista,
che compare nell’ultimo numero, il 54, della rivista I fiori del male, diretta da Antonio Coppola, la nota poetessa e
scrittrice, parlando della impoeticità dei tempi attuali, rammenta che
paradossalmente in Italia, secondo sondaggi Data-Media, esistono dai 13 ai 15
milioni di scrittori di poesia. Non è assolutamente vero, pertanto, che la
poesia non interessi nessuno, come si vorrebbe far credere. Certamente, il
fatto che si scriva poesia non
implica che la poesia venga letta in maniera così imponente. Dice scherzosamente
la Busà , nell’intervista,
che, per pareggiare i conti con i quattro lettori di manzoniana memoria, il
numero dei fruitori di poesia dovrebbe salire a sessanta milioni, il che è
assurdo.
Questo,
però, significa una cosa soltanto: che l’organizzazione commerciale non
funziona come potrebbe o dovrebbe. E allora ben vengano editori di rottura,
come la Kairòs
che supporta la presente operazione antologica e sceglie di fare fino in fondo
il proprio ruolo di editore, finalizzando l’aspetto commerciale con quello
prettamente culturale e artistico. Occorre scardinare il pregiudizio che i
cosiddetti bisogni dello spirito possano, o addirittura debbano, essere
trascurati sul piano della vita pratica. Così facendo, non si fa un buon
servigio, né all’una né agli altri. E’ certamente vero che la poesia è inutile,
ma lo è perché si ha un concetto molto pedestre dell’utilitarismo. Intendo dire
che c’è un’utilità dell’inutilità su cui sarebbe opportuno meditare.
Se da un
lato è vero che i tempi attuali non sono favorevoli alla poesia, dall’altro è
vero esattamente il contrario, perché è proprio il disagio sociale a fungere da
potente stimolatore per la vita dello spirito. Una cosa la si cerca e la si
trova quando manca. Quando c’è, neppure ci si rende conto della sua presenza. Lo
dimostrano quei 13/15 milioni di scrittori di poesia che segretamente coltivano
la Musa proprio
negli impoetici tempi attuali. C’è bisogno di sognare per poter vivere, e
viceversa di vivere per poter sognare. I sogni e la realtà sono piani diversi
dell’esistenza, ma hanno bisogno gli uni dell’altra. Nessuno dei due può essere
eliminato, se ci teniamo ad essere integralmente e concretamente umani. La vita
pratica, senza i sogni, è destinata a inaridire miseramente. Viceversa i sogni,
per non divenire fumose illusioni, chimere irraggiungibili, hanno bisogno di
immergersi nella vita reale.
Nella
poesia selezionata, i due curatori intendono mostrare una chiara controtendenza
rispetto alla standardizzazione linguistica imposta dai linguaggi televisivi e
tecnologici. La Busà ,
tuttavia, bolla in modo esplicito la reazione eccessivamente anarcoide ed
individualista di alcune tendenze insofferenti nei confronti della
massificazione e dell’omologazione in atto, con il risultato di contribuire
pesantemente all’imbarbarimento letterario e linguistico. Spagnuolo, da parte
sua, sostiene che questo libro sta ad indicare, da parte dei poeti, una chiara
volontà di “riappropriazione del linguaggio”. In quanto, rincalza la Busà : “non esistono due
linguaggi: uno surreale, magico, ermetico, inaccessibile ai molti, e uno feriale,
per i comuni mortali”. “La poesia, conclude, può vibrare ovunque in maniera del
tutto naturale”.
Sarebbe pertanto un errore relegarla alla sfera del sublime, come
si credeva un tempo. Dante, poeta del Paradiso, l’ha colta felicemente anche
nell’Inferno. Dovunque può nascere la poesia, anche nell’aridità e nel degrado
dei nostri tempi, se c’è il poeta capace di cogliere i lati sottili della vita.
Intendo dire capace di nominare per la
prima volta il mondo, perché è questo che fa il poeta, tornando ogni volta
misteriosamente a capo, alle vertigini del primo giorno. Alle origini non originarie (le origini che furono), ma
alle origini originanti (che sono
sempre vive e attuali). Non occorre trovare a tutti i costi un linguaggio
astruso, alternativo, controcorrente. Scrive Spagnuolo: “Il punto di partenza
di questo percorso è il verso che dà libera metafora e che evoca una visione
apocalittica del destino e del degrado della civiltà contemporanea”. Ma subito
aggiunge che il riscatto deve venire sostenuto da un impianto formale e ritmico
di forte musicalità e sonorità espressive, secondo le modalità tipiche della
poesia.
Tuttavia va notata la grande obiettività del taglio critico
adottato. Nell’antologia figurano, infatti – non poteva essere diversamente – poeti
discussi, ma indubbiamente fecondi, dello sperimentalismo nostrano. Mi
riferisco a Tomaso Binga, a Francesco Muzzioli, a Edoardo Sanguineti, a Mario
Lunetta, a Marco Palladini, ma ad altri ancora. Non sempre lo sperimentalismo
può essere considerato una forzatura. Lo è quando degenera nel manierismo, ma
questo accade in qualunque poetica. In molti casi lo sperimentalismo sgorga
come acqua sorgiva. Chi mi conosce sa che io credo fortemente nell’ispirazione,
ovvero nei processi inconsci che regolano l’atto creativo: la cosiddetta Musa,
anche se questo termine fa oggi arricciare il naso a tanti intellettuali.
Posso assicurarvi che in ciò non c’è nulla di romantico, o di
ingenuo di spontaneistico, per il semplice motivo che l’ispirazione pretende la
verginità dell’intelletto (il cosiddetto “vuoto mentale”), ovvero l’azzeramento
degli schemi e dei pregiudizi da cui lo spontaneismo invece non può non
risultare pesantemente inquinato. A chi non crede che l’ispirazione possa
esistere anche nello sperimentalismo più acceso, consiglio di andare utilmente a
leggersi, o rileggersi, alcune poesie di Marino Piazzolla, tanto per fare il
nome di un autore notoriamente ispirato: poesie scritte in un idioma
inesistente, suggestivo, totalmente inventato. Ecco la Musa , la capacità di tornare
a nominare per la prima volta il mondo.
Comunque nell’antologia c’è di tutto. C’è addirittura un esempio
di poesia dialettale, come quello di Franco Loi. Ci sono maestri dell’ironia,
come Vito Riviello. La poesia femminile è ampiamente rappresentata: Antonella
Anedda, Lina Angioletti, Mariella Bettarini, Biancamaria Frabotta, Giulia
Niccolai, Maria Grazia Calandrone, Gabriella Fantato, Luigia Sorrentino, tanto
per fare qualche illustre esempio.
Ed è
anche forte la presenza di autori conclamati. Citiamo: Giorgio Barberi
Squarotti, Dario Bellezza, Alberto Bevilacqua, Domenico Cara, Giuseppe Conte, Gio
Ferri, Gilberto Finzi, Maurizio Cucchi, Corrado Calabrò, Valerio Magrelli,
Carlo Villa, Giuseppe Conte, Luigi Fontanella, Giuliano Gramigna, Sandro
Gros-Pietro, Mario Luzi, Alda Merini, Renato Minore, Roberto Pazzi, Elio
Pecora, Walter Pedullà, Paolo Ruffilli, Aldo Onorati, Nazario Pardini, Plinio
Perilli, Gianni Rescigno, Davide Rondoni, Venerio Scarselli, Arturo Schwarz,
Maria Luisa Spaziani, Andrea Zanzotto, Sergio Zavoli, Valentino Zeichen, Lucio
Zinna; ed infine gli stessi curatori del volume, Ninnj Di Stefano Busà e
Antonio Spagnuolo, al cui appello molti hanno risposto positivamente. Sono
davvero tanti e non li possiamo citare tutti.
Tra i miei
amici personali, alcuni anche presenti in questa sala, ho avuto il piacere di
incontrare in queste pagine: Franca Alaimo, Sandro Angelucci, Anna Appolloni,
Leopoldo Attolico, Miriam Luigia Binda, Ester Cecere, Carmelo Consoli, Antonio
Coppola, Lida De Polzer, Nicoletta Di Gregorio, Giovanni Dino, Claudio
Fiorentini, Andrea Mariotti, Daniela Quieti, Umberto Vicaretti. Insomma, una
carrellata di autori davvero impressionante, e tutti di ottima levatura,
appartenenti alle aree poetiche più disparate. Un gioiello letterario ed
editoriale, pertanto, che non può mancare nella libreria di famiglia, ma che
soprattutto non può mancare nelle scuole ad uso dei giovani. Né mancare negli
scaffali degli studiosi, come valido strumento di lavoro e di consultazione.
Franco Campegiani
A.Martinelli
RispondiEliminaLa manifestazione ì stata molto interessante, i relatori hanno fatto un' ampia panoramica della poesia di oggi.
Pernanto, Vi ringrazio dell'invito, sono stata felice di stare qualche ora con poeti veri e parlare di poesia. Un sincero grazie