Note
di Ninnj Di Stefano Busà
su
Olimpia di
Luigia Sorrentino,
prefazione
di Milo De Angelis, Interlinea Edizioni, 2013
Ninnj Di Stefano Busà
Non è più al suo esordio l’autrice in questione, lo si evince dalla
maturità delle sue varianti linguistiche, dai suoi moduli espressivi assai
maturi che affondano nelle grandi domande della vita, e toccano con sguardo
ampio e penetrante le inquietudini attraversate dal passato e dal presente in
atmosfere che scandagliano i crinali e le vette con un’accensione lirica che
presenta larghe visuali, difficili intrecci d’anima, a volte surreali, a volte
marcatamente struggenti che si fanno segnali onirici per altre postazioni di
dolore e disagio. Nella poetica di Luigia Sorrentino a prevalere è una
cosmicità quasi panica che, quasi sempre, lascia intravedere una celebrazione
del senso della vita, un tempo di promesse e di inganni, un luogo dove
s’intrecciano e si scontrano le lontananze e le assenze, dove il dolore si
ricompone in una sorta di pacatezza magico-surreale che si effonde in canto
sublime, ne sa cogliere le stagioni, le analogie, i ritmi, le varianti, le
metafore che prefiggono una testimonianza limpida di bellezza: “ con gioia
pensiamo al giorno/ quando nella luce potremo/ uscire per abbandonare/ ciò che
la nostra primavera/vincola/ / ecco di cosa moriamo// l’animale umano
costretto/ si ritrae/ nella rupe di marmo/ della sepoltura (pag.75).
Un altro testo in cui lo spaccato della storia si alimenta di perenne
sofferenza è: “il sole alle spalle cancella /i nostri volti/ veniamo da troppa
lontananza/ lungo quella discesa / nel porticato/ altre colombe ci avvolsero/
con le loro braccia/.../ all’ampiezza/ offriamo il soffio qui adagiato/
la bellezza che ci fu tolta/ nella luce inesorabile/ dello spegnersi” (pag. 25)
E continua Luigia Sorrentino, tenta di
mitigare nei suoi versi “la carne che si avventa”, “il cuore orfano del nulla”
come accenna in altro testo. Sono temi di vasta portata che mettono in
evidenza implicazioni esistenziali, attraverso i non facili attraversamenti e
le non sempre agevoli capacità in itinere, che costituiscono la sua dialettica
in un percorso ricco di metafore. Vi è un impressionismo che travalica la
simbologia raffigurativa del quotidiano e si realizza essenziale,
efficace e icastico.
La morte e la vita sono
esorcizzate da angolazioni diverse, da qui il trasalimento, la resa evocativa
della memoria, che sanno realizzare un modulo perfettamente fruibile e
felicemente raggiunto. Versi quelli di Luigia Sorrentino che rivelano una
sensibilità molto raffinata, entro un rigore e una tenuta linguistica tendenti
a concentrare un risultato sorprendente, attraverso l’efficacia descrittiva,
prosciugante dell’immagine, ma persuasiva nella resa linguistica e umana. Da
qui il simultaneo derimere di due fondamentali “motivi” quello di una
trasparente e serrata progettazione di forme che offrono la coscienza
gnoseologica e quello di un motivo, mai transeunte, che interferisce nella
storia di ognuno in perfetta fusione tra natura e avventura che è dimensione
metafisica, garbata e vigile indagine di se stessi e del mondo che ci circonda:
“Lo sguardo nostro entrò in quel suo essere/ infinitamente mortale” espressione
centrale, apocalittica che spinge all’ignoto, lo immobilizza e lo trasfigura.
Vi è infine quella sorta di “forte”
impressione che ebbi al primo incontro con la sua poesia, da cui credo prendano
le mosse le sue emozioni, le suggestioni.
Le sue liriche stanno in un’atmosfera irreale che pure sa caricare la
creatura che è in lei e renderla inconfondibile sul lato dello stile e del
movente della sua scrittura, qualcosa di rilevante nelle sue pratiche culturali
che la distinguono nettamente dal coro di tanta poesia “indifferente”.
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