mercoledì 22 maggio 2013

MIRIAM BINDA SU POMEZIA



Miriam Luigia Binda: ARGENTO 47 e altre poesie. Edizioni Helicon. Arezzo. 2010. Pp. 110.
Miriam Luigia Binda: IMPROVVISO PROFONDO…. Edizioni Helicon. Arezzo. 2007. Pp. 128

La precarietà di un tempo che secca ogni ricordo


M’amerai così
d’ora in poi
resterai di pietra.

Come nuvola
troverai
un giorno felice
se così ti penso
fioriranno le pietre.

La poesia di Miriam Binda è tutta nella parola; sì!, nel suono che accompagna, alleato e fedele, le modulazioni di un’anima sempre alla ricerca di se stessa e del mondo, nuovo un mondo, che vada oltre la parola stessa.  Perché il sintagma e la cifra verbale della Nostra non sono solo malizia tecnica, ma  anche, e soprattutto, spontaneità, che con una maturità sconcertante riesce ad amalgamare suoni, voci e spiriti in una icasticità poetico-rappresentativa di grande impatto umano e dis/umano, di grande impatto lirico-speculativo. La realtà viene macerata da un sentire così irrazionalmente razionale, così impossibilmente possibile che si coniuga con estrema facilità al sogno, all’immaginifico, all’unicità del personale. E di grande aiuto è la natura con la sua vigoria, con la sua presenza tenue e sfuggevole, ma efficace: una natura disposta e disponibile ad accompagnare il gioco poetico, a volte drammatico, a volte ironico, a volte anche umilmente felice: “Oggi è domenica e sono felice”. E tanti i tocchi naturali: “Io e te stasera/ sappiamo di latte/ nel giardino dell’infanzia…”, “ricordo la tua rana / e la mia lumaca bianca…”, “In viuzze di lordure/ schegge di cemento…”. L’uva della luna, Angela, L’usciere, la domenica: sono tutte rappresentazioni che concretizzano stati d’animo disposti a farsi vivi per esistere: “il giardino”, “la rana”, “la lumaca”, “le viuzze”, o “le schegge di cemento”. Un animo cosciente della precarietà del tempo, della sua inaffidabilità, di un’ora  che secca ogni ricordo. Ed è pregna questa vèrve poetica di innesti filosofici, di concetti profondamente metabolizzati e tuffati nel dipanarsi dei sentimenti (d’altronde la poetessa è un filosofo, e i suoi studi hanno influenzato in qualche maniera e l’organicità e la linearità del suo pensiero che, anche se personale e perspicacemente razionale, è ben innervato di fatti vissuti e rivissuti, pensati e decantati da tradursi agevolmente in poesia). Ma anche se un senso eracliteo dell’esistere pervade la poetica della Nostra, non meno efficace è il proposito di slargare lo sguardo oltre le cose, per ricavarne una verità che si regge, poi, sulle incertezze dell’essere e dell’esistere.  E d’altronde quale terriccio più fertile per la poesia del dubbio; di quel dubbio che l’alimenta e la spinge all’azzardo dei confini. Ed è proprio l’azzardo, quello della parola, del verbo, è proprio lo sforzare i termini e la sintassi oltre la cifra verbale a fare del racconto di Binda un’aspirazione continua all’oltre; sì!, all’oltre, pur tenendo di conto della quotidianità, di quella che serve all’autrice, sfoltita, per il suo messaggio di vita e di pensiero: “Una parola, non te l’ho mai detta/ forse ti bastava t’amo/ senza fine/ ora te la direi/ luminosi raggi/ l’artificio nelle vetrine/ è quasi Natale/ non c’è attenzione per dolore”.       Siamo nomadi e non riusciamo a superare i limiti della nostra stanchezza. Riprendiamo il viaggio ma non sappiamo dove andare (l’incertezza del vivere). Ma sono sufficienti pochi tratti di una visione superlativa per slanciare l’anima oltre quella realtà che ci rende labili nello spazio ristretto di un soggiorno.

   
Nazario Pardini  





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