A colloquio con il padre
Baluginò il
suo volto. Che lucore!
Era simile
il cielo a quei mattini
in cui
andavamo ad erpicare
il profumo
di terra. Era mio padre.
Mi prese
per la mano trepidante
e mi portò
a mirare i
suoi spazi. Io non sapevo,
nella nuova
coscienza, ch’era morto.
Mi apparve
certamente perché stessi
sereno.
Stava insieme - in un salone
immenso e somigliante vagamente
a quelli riportati negli affreschi
dei rinascenti artisti pontifici -
con persone
serafiche. Una peluria
gli
fluitava cadente ed abbondante
sugli
omeri. Brillavano i suoi occhi
di un’altra
dimensione. Stranamente
il soffitto
sforava aperto un cielo
di luce
biancicante: “Vorrei tanto
rivedere
con gli occhi di un terreno
i nostri
monti simili a puledri
rincorrersi
tra i lecci ed i castagni
rutilanti
ai tramonti. Vorrei tanto
trascorrere
con te un tempo, pur breve,
per le cose
del giorno e anche di più
vegliare
una nottata tra i sentori
d’erbale
umore estivo. Per esempio
nel campo
dei covoni.” “Che ti prende?
Perché non
puoi? Domattina farò
ch’io possa
liberarmi dagli impegni
e andremo
insieme,
tutto un
giorno sul Serchio e poi sul piano
dei fulvi
girasoli. Anch’io lo sento
questo
bisogno in anima di vivere
di nuovo
sprazzi e guazzi giovanili”.
“Guarda,
figliolo, ch’io ti sono in sogno.
Quello che
vivi è fumo ed io son qui
vicino
solamente con lo spirito,
non col
corpo. Son morto. Ti ricordi
quella
brutta giornata di dicembre?
Io spiravo
e tenevo la tua mano
nella mia
tremolante. Dentro il cavo
ho sempre
il tuo calore.” “Come faccio
a sapere che
è tale?” “Puoi provare!”
“L’unico
mezzo è quello di destarmi
per
saperlo. Perché dovrei distruggere
l’occasione
di un sogno veritiero.
Di un sogno
che è realtà più di un reale
che non
arriva a tanto. Che momento!
O sogno o
realtà che importa, padre,
io ti
rivedo, bello, fra quei marmi
così
lucidi, vasti senza dubbio
ben di più
degli scrimoli a cui noi
eravamo
abituati. Con gli amici
a dissertare sui concetti astrusi
dei misteri
del cielo e della terra.
Così importante
mai ti vidi padre.
Che
piacere.” “Figliolo tu hai ragione.
E’ rara
l’occasione che in un sogno
si sappia
di sognare e che per questo
si viva ben
più a fondo un segmento
coscienti
di un prosieguo del reale.
Sogniamo! E
tutto sarà vero: tu
mi parli ed
io ti corrispondo. Manca
una magia
estrema. è in mio potere.
Ricostruirò
quel tempo del passato,
e forse il
più felice,
di quando
dodicenne tu passavi
(tornando
di città schivo e scorbutico)
all’ora di
mangiare dalla vigna.”
“Rivedo
tutto! Che magia! Sono
laggiù
sotto il mio pioppo a rovistare
nella borsa
del pranzo. Ecco ti chiamo.
Tu accorri
trepidante poi mi abbracci.
Tre cose
sulla scuola. E la tovaglia
sui crini
di gramigna. Che bel pane!
Tu stacchi
i pomodori e li zuppiamo
in
picchiata nel sale.” “Vedi bene
come si
mischia a volte col reale
l’immaginario.”
“Sì! Però per me
questo
momento dice che tu esisti.
In quanto
alla tua morte non ricordo;
perché
dovrei svegliarmi?
Continuiamo
a vivere così.
Nella magia
di un sogno. Per domani,
quando
torno da scuola, nella borsa
voglio
trovare - diglielo a mia madre -
il pane
fritto. Sai quanto mi piace!”
Nazario Pardini
Quanta tenerezza, che bellezza in questa realistica rievocazione di un contesto affettivo in cui trovano degnissima collocazione persone e natura, sentimento e visione! Ai bordi del sogno, ma dentro i suoi confini, un'intensa e potente colloquialità avvince e quasi tramortisce il lettore, chiudendosi con una "pointe" di rara efficacia: "Per domani,/ quando torno da scuola, nella borsa/ voglio trovare - diglielo a mia madre -/il pane fritto. Sai quanto mi piace!”
RispondiEliminaBravo Nazario!
Pasquale Balestriere
Grande Pasquale Balestriere,
Eliminaamico dei poeti, e, lo dico con orgoglio, mio grandissimo amico. I suoi apprezzamenti, puntuali e decisi, obiettivi, e, se necessario, tranchants, arrivano immancabili sul blog. E con acribia intellettiva, e con sensibilità estrema, e con grande gusto estetico, delineano tracciati poetici, usi metrici, combinazioni significanti con sintesi che ti sanno disorientare l'anima; come nel mio caso. Ed io ti ringrazio, mio caro e generoso amico. Ti ringrazio per quella "tenerezza" che hai scovato in questi versi che ho dedicato a mio padre. Forse la stessa che io rimarcai leggendo il tuo "Del padre e del vino": "Ma forse i versi di maggiore intensità lirica sono proprio quelli dedicati al padre alla fine dell’opera; il poeta gli vorrebbe parlare dopo prove di approdi, di conati falliti, mentre gli occhi rivedono il mare verde del grano, viti appese a sinuose colline, e il suo volto giocondo alla fatica: “Ed ora, d’oltre il cielo, sappi, padre, / che questo tumido lacerto detto / cuore serba anche il pianto del distacco / celato per pudore dai tuoi occhi, / quando partii, nel vento della vigna: / perenne graffio, padre, acre dolore.”. (Ultimo canto per il padre). Ti abbraccio, amico.
Nazario
A colloquio col padre. Il sogno di N. Pardini
RispondiEliminaChe forza evocativa ha la poesia! Che bellezza la forza pacata e pacificata dell’Autore che sa parlare con chi non c’è più!
Sogniamo! E tutto sarà vero: tu mi parli ed io ti corrispondo. Manca una magia estrema…
Mi ricorda la capacità unica di memoria (per lui mai pacificata) del grande V.Sereni.:
“Con non altri che te
è il colloquio.
…E qui t’aspetto”….
Sappi – disse ieri lasciandomi qualcuno –
sappilo che non finisce qui,
di momento in momento credici a quell’altra vita,
di costa in costa aspettala e verrà
come di là dal valico un ritorno d’estate….”
Poesia racconto, sogno pregno di quotidianità e suggestioni liriche quello di N. Pardini: di relazioni affettive vive, consolidate nel tempo, incontro colloquiale, emozionante, che apre a vertigini di sentimenti autentici, di affetti che si stemperano, si nascondono nella serenità della distanza, nella forza della lontananza.
Un eco si fa strada alla soglia della mia memoria emozionata, verso un ‘affinità elettiva che viene dal cuore, mi stupisce, mi cattura: è quella della voce del grande Virgilio, là nel VI canto dell’Eneide, dove Enea incontra il vecchio padre, in una dimensione di semplicità, dolcezza e tenerezza senza tempo e senza mediazioni, cercata, sognata oltre che vissuta, che pur si confronta con la realtà: la distanza tra il vissuto e il ricordo che non muore.
O sogno o realtà che importa, padre, io ti rivedo, bello, fra quei marmi così lucidi,…
Un rapporto d’amore rinnovato che si realizza in modo nuovo in età matura.
A colloquio con il padre emerge la fedeltà di una vita fedele a se stessa e alle proprie scelte affettive,- questo ci guadagna il ricordo, la conferma, in se stessi, della misura del padre.
Si stabilisce nella rievocazione, nel ricordo un circolo di relazione e comunicazione che è di identificazione. Ricordo intenso, natura trepidante, terra e cielo, incontro e lavoro, pudore, emozione e quotidianità … :
vegliare una nottata tra i sentori d’erbale umore estivo,… sul piano dei fulvi girasoli …realtà più di un reale che non arriva a tanto …
E la tovaglia sui crini di gramigna. Che bel pane! Tu stacchi i pomodori e li zuppiamo in picchiata nel sale…
Ai bordi del sogno più avvincente: dove la realtà è più vera. La voce più dolce e profonda.
… Vienmi vicino, parlami, tenerezza,
- dico voltandomi a una
vita fino a ieri a me prossima
oggi così lontana - scaccia
da me questo spino molesto,
la memoria:
non si sfama mai…
Non
dubitare - m'investe della sua forza il mare -
parleranno. ……(V.Sereni)
M. Grazia Ferraris
Ho letto la bella e coinvolgente poesia di Nazario Pardini. E sinceramente una grande miscellanea fra impulsi emotivi e caratura linguistica. Il poeta con spontaneità dialogica rappresenta uno scenario in cui gli attori, tutti principali (autore, padre, natura), concretizzano sentimenti universalmente validi e di grande portata poetica. Considerevole l'apporto verbale che mai rinuncia al suo ruolo di sostegno incisivo al flusso emozionale.
RispondiEliminaMa devo dire che la nota recensiva di M. Grazia Ferraris è veramente azzeccata e zeppa di motivazioni umane e acribia esegetica. Segno di competenza e di sensibilità critica gli accostamenti dei grandi poeti Sereni e Virgilio. Il valore della memoria fa da trait d'union, ma soprattutto, come afferma Zanzotto, si fa motivo essenziale di poesia. Dacché la vera vita è quella che ricordiamo. E' quella scampata alle aggressioni del tempo.
Brava! Veramente brava! M. Grazia Ferraris
Prof A. Bozzi (PI)
Un sogno che diventa poesia e si riempie di vita con la memoria di un padre che trasmette la sua presenza. Un sogno delicato, complimenti.
RispondiEliminaSimona
Dimenticavo di dire che leggendo questa bella poesia, di Nazario Pardini, mi ricordo di lord Byron che descriveva il sogno appunto come facoltà straordinaria capace di condensare un'intera vita, in pochi istanti. Leggendo questo colloquio con il padre del poeta Pardini viene proprio da dire che tante cose arrivano con un breve attimo o sogno poetico. Ciao
"Io non sapevo, / nella nuova coscienza, ch'era morto": è contenuta in questo lacerto - a mio modo di vedere - la chiave di lettura di una lirica (un colloquio) che travalica l'onirico per approdare ad una dimensione inedita ma esistente, concretamente esistente.
RispondiEliminaMa perché "distruggere", perdere un'occasione unica e, forse, irripetibile come questa, destarsi per sapere? Sapere cosa, e per quale ragione poi?
Qui non c'è posto per il raziocinio, ce n'è - infinito - per la poesia, per la vita e il suo mistero: "Sogniamo - allora - E tutto sarà vero...".
Queste parole paterne non provengono dal genitore del poeta: sono la voce di un tempo immortale che continua a vivere dentro di lui ("questo momento - e soltanto questo momento - dice che tu esisti").
Cosa fa, dunque, Nazario? Rifiuta di svegliarsi, edifica anziché abbattere il muro: un muro che, invece di dividere, permette di salire più in alto possibile, lassù dove la vista è più ampia e accoglie nel suo abbraccio i ricordi tuffandoli, come quei pomodori appena colti, "in picchiata nel sale".
E tutto acquista sapore, e si dimentica la morte, e si aspetta una fetta di "pane fritto" per il domani.
Sandro Angelucci
Molti, ne sono certo, leggendo questi versi struggenti, penseranno che Nazario Pardini si sia voluto cullare in una dolce speranza, in un sogno assurdo e meraviglioso, ben sapendo che trattasi di zuccherosa illusione. Io certamente non so che cosa sia passato nella testa dell’esimio poeta e professore, ma non posso fare a meno di adirarmi di fronte al pregiudizio di chi esclude a priori il mistero e comodamente pensa di poter ritagliare una mattonella nell’immenso mosaico, sostenendo che quella, e non altra, è la vita reale. E invece non c’è nulla di più sfuggente del reale, legato con fili invisibili, ma robustissimi, al Tutto che noi non conosciamo. Non lo conosciamo, certamente, ma, santo dio, in esso e di esso viviamo! E’ una questione di equilibrio, a parer mio. E l’equilibrio è sempre bilanciamento di pesi contrastanti. Un conto è il dualismo conflittuale e schizofrenico, un altro la dualità fonte di armonia. Se c’è il nero, c’è il bianco; se c’è il giorno, c’è la notte; se c’è l’inverno, c’è l’estate, e via dicendo. Se c’è la materia, c’è lo spirito; se c’è la vita mortale, c’è la vita immortale. E’ anche una questione di logica, in definitiva, e non soltanto di fede. Sempre che la logica stia nel principio di contraddizione, come sopra specificato, anziché in quello di non-contraddizione, che vorrebbe catturare la complessità del vivente entro risibili formule unilaterali. Ma è soprattutto, indubbiamente, questione di fede. Non fede nella Befana, bensì nell’equilibrio, nella serenità, come dice Pardini a proposito del babbo: “Mi apparve certamente perché stessi / sereno”. Ovviamente si è liberi di credere o non credere nell’equilibrio, ma se non si crede si deve onestamente ammettere di essere degli squilibrati.
EliminaFranco Campegiani
Grazie, veramente grazie, agli amici Sandro e Franco, a Simona Strada, e a Bozzi, per le stupende note critiche che impreziosiscono non poco la mia poesia.
RispondiEliminaUn caloroso abbraccio a tutti e
un grande augurio di Buon Ferragosto.
Nazario
Ninnj Di Stefano Busà
RispondiEliminaLa memoria è intatta, in questo testo a colloquio col padre! Vi è dentro tutto: la commozione, il sogno, il rammarico di non poter più colloquiare col padre, ma anche la commozione di percepirlo soltanto con i sensi metafisici. Una grande apertura verso il mondo dei defunti che permea di grandezza e di orgoglio il sereno rinnovellare, come se l'anima fosse ancora lì, presente dentro la bianca materia dell'immortalità che rivitalizza il ricordo dentro un dualismo che sempre consente un prezioso afflato materico e insieme spirituale. Quella di Nazario Pardini non è attesa disperante di illusioni, è certezza che dentro di noi nasce, vive e si rinnova la speranza di un equilibrio ontologico che non ci annulla del tutto, ma ci fa partecipi di un piano superiore che solo la fede può sfiorare...Il mistero persiste, ma vi è dentro questi versi l'apertura al trascendente che si fa "altra" forma di vita, pietas, speranza, complessa eppur portentosa materia dell'essere (si fa per dire), ma di un essere tendenzialmente volto verso l'alto, verso un sogno immortale di vita oltre noi... Nazario Pardini in questo testo esemplare ci insegna a guardare oltre la barriera della materica nullificazione verso un eterno destino che rappresenti per noi, e al di là di noi, lo scenario aurorale di un credo superiore, sempre in crescendo che ci salva.