(Presentazione
- Libreria Odradek - 31/1/2014)
L'esperienza poetica
di Andrea Mariotti nasce nella cultura postmoderna in modi antagonistici,
direi, a quella visione liquida della
società (per dirla con Bauman), che è tipica del postmodernismo e che fagocita
ogni identità, ogni colore ed entusiasmo, ogni passione civile, ogni felicità
privata o collettiva. La poesia di Mariotti nasce dall'interno di questa
cultura, ma in termini antitetici ad essa, pur condividendone il tema centrale
del disincanto, vissuto però non come crollo definitivo di ogni valore ideale.
Il titolo del libro
è emblematico: scolpire questa pace.
E' un invito a lavorare, perché la pace non è raggiungibile semplicemente
mescolando, omogeneizzando gli individui, le culture e i popoli tra di loro,
come sta avvenendo, tra l'altro senza alcun esito pacificatore. Bisogna scolpire nell'informe masso sociale per
tirar fuori l'essenza, l'anima, ovvero la sostanza etica del sano vivere
civile. C'è un'impellente ricerca da fare e non possiamo permetterci di
vivacchiare, di galleggiare nella melma, come purtroppo oggi accade. Poesia
dunque di forte impegno civile, quella di Mariotti, non nel senso retorico ed
oratorio del termine (carducciano-dannunziano per intenderci), bensì in quello
sobrio, crepuscolare (leopardiano e pascoliano nello stesso tempo). Né ciò gli
impedisce in rari casi, come nella poesia intitolata Open space, i toni dell'irosa invettiva.
Erede del modernismo
più accreditato, di quella cultura del disincanto, appunto, che rifugge da ogni
pregiudizio e da ogni esagitazione, direi che in Mariotti questa visione del
mondo è divenuta più matura e guardinga, prudente, dando prova di sapersi
guardare anche dagli agguati di quella esasperazione del disincanto che giunge
alla disillusione radicale, non meno eccessiva e pericolosa degli ingenui e
tronfi incanti, minando e annichilendo ogni sano slancio umano. Ed è un
ampliamento degli stessi orizzonti problematici, perché, se è vero che il problematico
non può nutrire certezze assolute, non può neppure bearsi di un'incertezza
altrettanto assoluta e letale. C'è il rischio che il disincanto diventi esso
stesso un incanto, un miraggio ossessivo.
Ripudiando le
situazioni di stallo, Mariotti risulta impegnato in una macerazione interiore
costante, epicamente sospeso tra luci e tenebre, agli antipodi di qualsiasi
univocità di pensiero. L’atteggiamento è di chi sembra voler dire: Piantiamola con le astruserie, con le
illusioni, con gli inutili orpelli! Stiamo con i piedi per terra, vediamo in
faccia la realtà! Ne vien fuori un invito alla misura, al buon senso, a
metà strada tra pessimismo ed ottimismo. Un realismo problematico, direi, che
risulta refrattario verso ogni moto eccessivo dell'animo e che, se incline, per
indole, alla malinconia, sa tuttavia essere vigile e combattivo nei confronti
della prostrazione e dello sconforto totale.
E' sempre vivo, in
questa poesia, il sussulto del cuore: un fuoco che cova sotto la cenere e non
l’incendio che divampa lasciando il nulla intorno a sé. Ci sono momenti di
desolazione tragica, è vero, ma il poeta sa concedersi all'occorrenza delle
pause balsamiche, refrigeranti, delle oasi di pace, degli spiragli di luce.
Amante della musica, egli pone queste altalenanti metamorfosi, questa mutatio animi, come lui la definisce,
sotto i numi tutelari di Beethoven e di Mozart: esuberante il primo,
disincantato il secondo. Così, dopo avere esposto le ragioni del suo malumore e
della sua dissidenza, mettendo alla berlina atteggiamenti e vizi piccolo
borghesi della nostra gallinacea
società incollata allo schermo, può concedersi momenti di autentica e non
sdolcinata tenerezza, di sorprendenti moti aurorali.
Come quando due suoi
amici si sposano, e suonano a festa le campane del cuore per questo amore
semplice, che rammenta al poeta la capacità di incontrarsi degli umani. O come
quando il ricordo di Tiziana, la nipotina di tre anni che vive in Ecuador, gli
intenerisce il cuore: “il mio piccolo giardino per l’inverno, sei”. O come
quando è preso da amicizia, da condivisione ideale, per l’amico Silvio
Parrello, er Pecetto nei Ragazzi di vita di Pasolini. O ancora
quando, in nome dell'amore universale, fa aperta autocritica: “… Chi sono stato
io fino / a ieri l’altro, diciamo da una vita? / Un Robespierre, amici, con una
/ lunga lista di teste da tagliare”. Ed ora, invece: “Sapete? Sorridervi
vorrei, scintillar / vedere il ghiaccio nei volti / che indossiamo, vorrei dare
/ senza sperperare, il cuore / aperto come ragion di vita”.
Ma l’apice di questa
mutazione è raggiunto in Melodia,
laddove il cuore si scioglie per una dolce figura di donna: “Canto quest’oggi
una fanciulla / ebbra d’amore per la vita”. Certo, è un rapporto anche qui
problematico quello che Mariotti instaura con la figura femminile. In altre
poesie, come in Madrigale, il poeta
torna al tema (trobadorico) dell’amore presente ed assente, della donna vicina
e lontana, che attrae l’uomo presso di sé e lo respinge nello stesso tempo. Fin
quando, in Deja vu, un sonetto in cui
rivisita il mito di Dafne e Apollo, egli torna a tratteggiare una figura
femminile inquietante e impenetrabile, di fronte alla quale è destinata a
chiudersi per sempre la saracinesca del cuore, con un boato terribile, simile a
quello del sisma abruzzese.
Tuttavia, come già
detto, in Melodia, un arioso e
luminoso incontro con l’altra metà del cielo, la problematicità del rapporto
con la figura femminile raggiunge la sua acme, lasciando affiorare il contrario
dell'inconciliabilità fra i sessi e dell'impossibilità di amare. Non c'è mai
univocità di pensiero in questo canto problematico, ossimorico, profondamente
radicato nel reale. Quelli che il poeta ci dona non sono che fotogrammi - ora
dolorosi, ora gioiosi - di quella straordinaria varietà di sentimenti che
suggerisce la vita. Ho parlato prima dell'amore di Mariotti per Beethoven.
Eppure sentite quale amara ironia lo afferra, a proposito di quel genio
musicale, in Ascoltando la grande fuga:
“Quale arditissima bellezza! / ardua, di sublime conforto, / sentendomi di
nuovo come morto… / fuggir dove, Maestro? / … / Oh, Beethoven, insegnami a
provarla / l’intima Gioia che non è una ciarla!”.
Il registro
sardonico serpeggia sornione e strisciante, difficilmente riconoscibile, in
molte poesie. A volte si maschera, ma non appena individuato diviene
irresistibile, contribuendo a rendere assai frizzante questa poesia. Prendiamo Quella notte d’aprile, ad esempio: una
subdola e sottile ironia finisce per sopraffare le nebbie arcadiche generate da
una prima, superficiale lettura: “O fontanile di Campitello, / zampilla ancora
l’acqua tua? / e tu, agrifoglio dei Lucrètili / monti, sempreverde barbaglio, /
come parli al mio cuore! / ma ecco, all’orizzonte, bianche / del Gran Sasso le cime: zanne / d’un elefante
acceso d’ira / per l’umana miopia”. La problematicità sempre e comunque. Basti
pensare al rapporto altalenante fra natura e tecnologia, che mi limito ad
accennare, visto che in una breve disamina non si possono seguire tutti i
tracciati di questa complessa scrittura.
La poesia di
Mariotti possiede un timbro fortemente realistico, che rifugge da ogni
univocità di pensiero, pur essendo incline, come già detto alla malinconia. Al
di là della visionarietà fantastica e del sogno onirico, della rêverie e delle aspirazioni utopiche, è
tuttavia una poesia piena d'anima. Capisco che può sembrare un controsenso,
abituati come siamo a considerare i poeti dei sognatori con la testa tra le
nuvole, ma non è così. La poesia vive di simboli, anche laddove punta i fari
sulla vita reale. E i simboli non sono fantasiosi, ma sono profondamente veri,
perché illuminano le zone profonde dell'animo umano. La poesia non guarda
l'uomo con lo sguardo deviato e di comodo dell'idealista-ideologo. Lo guarda
così com'è, l'uomo, e non come dovrebbe essere, o come si vorrebbe che fosse.
Ovviamente nell'uomo com'è va inserito anche il suo
archetipo, la sua anima, appunto, perché un conto è l'idea astratta, di comodo,
che dell'uomo ci possiamo fare, un altro conto è la sua anima reale, impastata con
il sangue, con la carne, con la vita materiale. Il mondo delle idee non è il
mondo dell'anima. Intendo dire che l'idealismo dogmatico è bandito da questa
poesia, ma non certo lo sono le aspirazioni ideali verso un mondo più giusto,
vivibile e umano. Il poeta ci indica un sogno per il quale vale la pena vivere
e lottare. Un sogno da coltivare ad occhi aperti, fuori da ogni illusione e da
ogni onirico incanto. Scolpire la pace,
ovvero la convivenza, la fratellanza, l'amore, l'armonia.
Asciutta e decisamente
contemporanea, questa poesia si presenta con un richiamo costante alle cose,
con un desiderio di distanziarsi da tutto ciò che è aulico, incline alla
tronfiezza, alla celebrazione, alla solennità. Una poesia corrosiva, pertanto,
radicata nelle regioni del malumore e del disincanto, e tuttavia capace di
slanci, di slarghi e tenerezze sentimentali. Antilirica nei contenuti,
anticlassica ed antiromantica, si presenta in forme metriche spesso allineate
con la tradizione melica, ma rovesciandone ogni prospettiva. Un cavallo di
Troia. C'è un ritorno al sonetto, addirittura: un vezzo citazionistico, si
potrebbe pensare, in linea con le poetiche postmoderne (Tansavanguardia in
prima fila).
L'aria tuttavia è
nuova: non manieristica, non retorica, a volte rabbiosa e mordace; a volte, si,
idilliaca, ma altre volte ironica, con sfottò micidiali. Poesia realistica,
priva di accensioni metafisiche, con un eloquio attento ai dettagli analitici e
con versi nervosi che ne accentuano le valenze oggettuali. Irrequieta e dimessa
nello stesso tempo, sempre colloquiale, questa poesia è ricca di trouvailles, di pastiches coltissimi, di satire pungenti, ed è sorvegliatissima,
priva di banalità. Lo stile è ricercato e scabro; raffinato, ma non affettato;
studiato, ma niente affatto arido o tecnicistico.
Franco Campegiani
Ringrazio sentitamente Nazario Pardini per la pubblicazione, nel suo prestigioso blog, della relazione di Franco Campegiani letta al pubblico presente alla presentazione della mia silloge poetica.
RispondiEliminaAndrea Mariotti
Ringrazio anch'io il Prof. Nazario Pardini, amico vero dei poeti e maestro insostituibile, per lo spazio e l'attenzione riservati a questa mia relazione . "Scolpire questa pace" è un testo importante, cui non a caso ha voluto prestare attenzione, con una lusinghiera postfazione, anche Ninnj Di Stefano Busà,prestigiosa firma dell'attuale pagina letteraria, ben nota ai lettori del presente blog.
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