Ai diseredati del duemila
Puoi abbracciarli forse,
regalare loro una minestra calda,
un gratta e vinci per l’eternità
distante, incompleta,
quella che non sanno, non
riconoscono,
vivono alla giornata,
raccattando,
o quella che non hanno avuto mai.
Ascoltano parole moderne che non
sanno:
spread, disavanzo, debito pubblico,
tasse, scontrini, bollette,
parlano al guardiano
notturno che fa la ronda
senza temere le rondini domani.
è un giorno che non ha fine
o forse troppo e tradisce
senza soluzione di continuità,
sempre, un tempo d’inedia,
un fiuto di lepre, quando stana
la preda quasi d’istinto.
Si perdono nei disperati androni,
nelle misere spelonche del metrò,
senza neppure immaginare il
romanticismo
che pure li coglie, quando:
“tradito il bersaglio”, il povero
cristo
si dimette.
Lascia un giorno in forse, una
cena in meno,
nel dizionario dell’ultima
spartizione
cancella per sempre il suo nome.
Ninnj Di Stefano Busà
Quella
“eternità distante incompleta” tiene il senso
magico di chi ci sa avvicinare, con anima feconda di motivazioni umane,
a sofferte ascese emotive. A sofferte vicende di “diseredati” che possono
soltanto raccattare le briciole di quelle speranze che l’umana sorte ci invita
di solito a covare. Anche nei momenti di maggior disperazione. Ma qui la stessa
speranza non trova posto. Ci sono parole difficili, anglicanismi, latinismi,
ingarbugli lessicali a nascondere verità deprimenti, mancate realizzazioni
ontologico-sociali, intrighi di potere che quelle persone distrutte, impotenti
non sono all’altezza di recepire, per assenza di volontà, per debolezza, per sottrazioni subite; perché distrutti da
una classe che ha rubato loro la giacca e
il cuore. E:
“Si perdono nei disperati androni,/
nelle misere spelonche del metrò,/ senza neppure immaginare il romanticismo/ che
pure li coglie, quando:/ “tradito il bersaglio”, il povero cristo/ si dimette”,
chiudendo la scena con una cena in meno che cancella per sempre il suo nome nel
dizionario dell’ultima spartizione. Poesia piena, zeppa; poggiata su un
realismo lirico di grande impatto ossimoricamente dolce-aggressivo, dove il verbo, coi suoi vissuti
nessi, riesce a metaforizzare gran parte del dettato universalizzando gli
abbrivi soggettivi. Grande realizzazione poematica, dove la storia si fa immagine,
dove l’immagine si fa dolore, e dove il dolore si sa addolcire in una irruenza
levigata dalla pialla della meditazione. E qui è facile per una grande artista, che ha fatto della vita un canto, dribblare il sentimentalismo incanalando
getti
di pura sorgente
fra
argini arroccati
su
storie di povera gente .
Nazario Pardini
Nazario, sei grande, hai saputo interpretare i miei versi come se li avessi scritti tu stesso. Che senso della misura! Che misura dei sensi! La tua penna sa estrapolare da qualunque testo, la carica più umana, più congeniale al cuore. La tua critica è anch'essa "Poesia" sia che ti sia congeniale sia che il testo t'ispiri, sei un perfetto esegeta, di quelli con la E maiuscola. Grazie di cuore.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà