martedì 18 luglio 2017

FRANCO CAMPEGIANI LEGGE: "DI MARE E DI VITA" DI N. PARDINI



Di mare e di vita, di Nazario Pardini

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

E' una terra di mezzo la bàttima di Nazario Pardini. Qualcosa di più della battigia, linea d'incontro e di separazione tra la terra e il mare. E' il luogo-non-luogo dove il respiro dell'immenso s'incrocia con l'affanno di un cuore che batte nel piccolo giro di quattro ossa mortali. "Di mare e di vita", il recente testo del poeta pisano, acutamente prefato da Sandro Angelucci, è fortemente intriso di tale problematica. In bilico tra voli metafisici e delusioni esistenziali, un essere dotato di un'ala e una gruccia, si aggira volando-franando sull'arenile. E' l'uomo di sempre, con un piede nella storia ed un altro nel mito, sospeso tra l'enigma dell'essere e la realtà del  divenire spazio-temporale.
Egli parla con il mare come con un vecchio amico. E gli risponde, il mare: "i miei pensieri, uomo, sono eguali / a quelli che tu provi quando tenti / di misurarti a Dio. Anch'io / vado da un mondo a un altro senza pace". Poesia della crisi. Poesia dell'equilibrio, presa nel dilemma dell'Essere e del Tempo. Poesia problematica, paradossale, dove l'essenza immortale è sensibile ai richiami della coscienza razionale, e viceversa. C'è l'uomo storico, orizzontale, e c'è l'essere dell'uomo, verticale, con "un senso di distacco dalla vita". Immerso nella realtà esistenziale, quell'uomo si sente calamitato altrove: "Davanti a me c'è un guado, / un guado che riporta, / quest'uomo ormai attempato / all'altra sponda".
Egli è qua e là nello stesso tempo. Sembra non avere fissa dimora, ma è proprio in quel nomadismo la sua più vera e fissa dimora. Un piede nel contingente e un altro nell'eterno, è questa la sua condizione. Ed è la dualità dell'armonia dei contrari, del bifrontismo tipico dei miti. Il che affiora particolarmente nel sentimento delle fluide stagioni, alimentando l'idea della ciclicità del tempo, di un ritorno perenne all'inizio venendo dalla fine. Tutto, in questa visione del mondo, torna sempre a capo: "Questo novembre pregno di marina / mi avvolge e mi trascina in ricordanze / evase dall'oblio". Come le onde della risacca che perennemente il mare si riprende per restituirle ancora e sempre alla riva.
L'autunno, e ancor più l'inverno, sono le stagioni preferite da Pardini. Per analogia, esse rappresentano il finire della vita, la consapevolezza che "presto l'oscuro mangerà il cammino / e il verde dei colli e le memorie". I ricordi verranno cancellati miseramente, ma è proprio l'oblio la condizione necessaria al risveglio in questa visione ciclica del tempo e della vita. Niente si estingue, nella stagione invernale, ma tutto sparisce dentro se stesso per prepararsi a nuove feste e a nuove esplosioni di vita. Dopo il lungo letargo nell'Ade, Core si trasformerà in Persefone e tornerà da sua madre Demetra facendo rifiorire la terra al suo passaggio.
Mnemosyne (la Memoria) deve purificarsi nel Lete, il fiume della Dimenticanza: a quel punto è pronta per rinnovarsi, e poco importa che sia un ritorno nella materia, oppure un approdo prettamente spirituale. Sarà comunque un altro inizio, l'avvio di un'avventura inedita, di una nuova esperienza vitale:
"E' febbraio. Non vedi per i campi / traccia di paesani, tutto è fermo. / Persino lo svolare / attende l'ora calda... / ... / ma è il mese che si avvia / a prometterci speranze... / ... / seppur la mia speranza / non cova rami in fiore. / Ora è voglia d'altro / che mi riporta a un fiume / e mi trascina ignoto verso il mare". Il nostos è molto forte nella poesia di Pardini, ma è sentimento mai disperato o tragico, bensì ricordo di stagioni continuamente perdute e continuamente ritrovate. Emblematica l'immagine del poeta sul bagnasciuga, d'inverno, sorpreso a contemplare "l'immenso piano tagliato dall'onde", il subbuglio provocato dal vento sulla superficie del mare. Una violenza che rudemente rinnova l'armonia.
E se è vero che tutto scorre e che, come dice Eraclito, "non è possibile scendere due volte nella stessa acqua del fiume" (motto riportato ad esergo di una bella poesia), è altresì vero che il senso della scomparsa non è tragico, bensì rigenerante e ciclico, visto che "il suo futuro è là col suo passato: / e il divenire continua nel vasto / mistero che torna sorgente". La corsa del tempo non impedisce di vivere appieno la vita, se si conserva integra la capacità di immergersi nei silenzi interiori, cancellando le parentesi in cui li poniamo. Ed ecco il poeta rivolgersi al padre per "parlare, parlare / di un'ora che sfuggì" e chiedergli perdono "di non avergli detto mille / e ancora mille volte del suo bene".
Ed ecco ancora i Canti per Delia: undici tempi per evocare amori giovanili trascorsi in struggente unione con il mare e con la terra, con la selva e con l'orto, con la pineta e l'arenile. Il sogno è più vero della vita reale: "Non ho tempo di vivere, / voglio solo rivivere con te / nei miei pensieri". Perché "Rinati / andremo contro il tempo. Torneremo / sul colle delle acacie, quando l'astro / fermerà la caduta all'orizzonte / per noi che tradurremo quell'immagine / in nuova realtà... / ... / e il sole furibondo di colori / a esplodere per noi dopo l'attesa". Purtroppo noi ci poniamo fuori dalla comunione universale e perdiamo i sapori delle armonie edeniche:
"... Che silenzio! / Che silenzio sul mare! Lo interrompono /  il fruscìo della bàttima ed il grido / del gabbiano irrequieto. Ma è silenzio. / Sulla strada c’è guerra. Si ritorna; / e un botto deflagrante irrompe attorno: / dei ragazzi violentano la vita / per qualcuno in dormiveglia con in mano / l’immagine di un Cristo Salvatore". Tutto è violenza tra gli uomini, tutto è detrazione e perdita, furto di cose che sarebbero a portata di mano, mentre in natura tutto è vivo e presente, nulla è assente e tutto è sempre al primo vagito. Così l'assenza si trasforma in presenza, il distacco in unione. Delia scompare, come scompare Euridice, ma in questo caso il poeta è consapevole che il sole che s'inabissa all'occaso risorgerà domani più radioso che mai.
Delia non è più nella storia, vive nell'hic et nunc, in quel Presente al di fuori dello spazio e del tempo, senza il quale né lo spazio né il tempo esisterebbero e neppure potrebbero essere pensati. Solo nel Presente, infatti,  possono vivere il Passato e il Futuro. Ma il Presente cos'è? non certamente un tempo, se è vero che il tempo è in divenire. L'abbiamo già detto: il poeta non possiede alcuna certezza. Neppure, però, quella dell'incertezza. Egli è semplicemente immerso nel mistero, nel dilemma dell'Essere e del Tempo, nell'enigma di ciò che muore e non muore, nell'equilibrio e nello squilibrio. Nell'armonia. Dolorosamente consapevole del panta rei, sa che la vita vera è quella che freme dentro, non quella che fuori fugge e scompare.
E giungiamo alla parte finale del libro, Era un giorno di luce, dove la riflessione poetico-filosofica si fa sempre più ardita: "A volte / l'inganno dell'azzurro che tracima / o una qualunque bellezza che s'impenna / ... / hanno la forza di darci l'oblio, / di azzerare quel senso dei limiti umani / ... / Ma poi ritorna il fiume, il maestrale, / l'onda rumorosa, lo stormire / ... / allora l'anima quasi dimentica / di questo suo momento d'ebrietudine / ritorna alla coscienza del suo esistere". La riflessione amara sul liquefarsi di tutte le cose, sullo "scorrere caduco di stagioni / che sembravano eterne" prende il sopravvento. Ma improvvisamente l'inverno - proprio lui, con il suo volto funereo - irrompe per chiamare in causa la vita: "E' dicembre eppure la natura / contraddice la morte con lo sforzo / del caco che si ammanta di Natale".


Franco Campegiani


11 commenti:

  1. Non ho letto Di MARE DI Di VITA, l’ultimo lavoro di N. Pardini, ma la presentazione-recensione che ne fa F. Campegiani è così intensamente vissuta e a dir poco “commuovente”, tanto riesce ad individuare nell’itinerario delle poesie che si succedono la presenza unificante della personalità poetica originalissima dell’Autore poeta.
    C’è una scansione nella presentazione-logica e unitaria (caratteristica del filosofo recensore) che si articola in modo armonico e sicuro: l’individuazione della “terra ideale”: “E' una terra di mezzo la bàttima di Nazario Pardini. Qualcosa di più della battigia, linea d'incontro e di separazione tra la terra e il mare. E' il luogo-non-luogo dove il respiro dell'immenso s'incrocia con l'affanno di un cuore che batte nel piccolo giro di quattro ossa mortali…”. Segue la presa in carico della personalità dell’Autore:” E' l'uomo di sempre, con un piede nella storia ed un altro nel mito, sospeso tra l'enigma dell'essere e la realtà del divenire spazio-temporale …C'è l'uomo storico, orizzontale, e c'è l'essere dell'uomo, verticale, con "un senso di distacco dalla vita".
    Il tema del divenire ciclico delle stagioni è caratterizzante: “Niente si estingue, nella stagione invernale, ma tutto sparisce dentro se stesso per prepararsi a nuove feste e a nuove esplosioni di vita. Dopo il lungo letargo nell'Ade, Core si trasformerà in Persefone e tornerà da sua madre Demetra facendo rifiorire la terra al suo passaggio...”, consapevole che “La corsa del tempo non impedisce di vivere appieno la vita, se si conserva integra la capacità di immergersi nei silenzi interiori, cancellando le parentesi in cui li poniamo.”
    E poi il tema dell’Amore: “Delia non è più nella storia, vive nell'hic et nunc, in quel Presente al di fuori dello spazio e del tempo, senza il quale né lo spazio né il tempo esisterebbero e neppure potrebbero essere pensati.”. Accanto a tutto ciò, e turba nella sua ampiezza e nella sua forza evocativa, una certezza critica così intrigante che non sai chi dei due ammirare di più: “ …il poeta non possiede alcuna certezza. Neppure, però, quella dell'incertezza. Egli è semplicemente immerso nel mistero…”
    Non posso dire che GRAZIE a N. Pardini e a F. Campegiani.

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    1. Sono a mia volta stupefatto dalla capacità empatica di Maria Grazia Ferraris. Lei riesce a penetrare nei testi letterari, di qualunque genere, con sensibilità e competenza analitica straordinarie. Non è la prima volta che mi accade, di fronte al suo abbraccio critico, di sentirmi davvero compreso. Grazie
      Franco Campegiani
      19 luglio 2017 07:29

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  2. Ringrazio l'amico Franco per la sua acuta esegesi. E credo di non essere eccessivo se affermo che questa analisi è fatta con saggezza tecnica, padronanza verbale, ma soprattutto con un grande impiego di battiti cardiaci che la rendono unica. Un dono di cui terrò di conto per la oculata scelta di sprazzi lirici a cui sono particolarmente legato. Sono proprio quei versi che Franco ha ripreso a farmi pensare ad una simbiotica fusione d'intenti e di emozioni.
    Nazario

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    1. "Un grande impiego di battiti cardiaci". E' vero, Nazario: ho visto me stesso, dipingendo quell'essere dotato di un'ala e una gruccia che si aggira volando-franando sull'arenile. Leggendoti mi è sembrato di leggere me stesso. E' un miracolo che accade solo in presenza di grande poesia.
      Franco

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  3. Bellissima analisi, limpida, acuta, che mette in risalto anche i versi più suggestivi del nostro grande poeta. Complimenti.
    Carla Baroni

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    1. Grazie di cuore, Carla, per la tua sentita condivisione. Non è poco meritare questo elogio di fronte a un gigante come Nazario Pardini.
      Franco Campegiani

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  4. Franco Campegiani ci ha portato, con grande maestria, nei versi del grande poeta che ci tiene stretti in questo scoglio "Di mare e di vita"... mi emoziono con "l'uomo di sempre, con un piede nella storia ed un altro nel mito, sospeso tra l'enigma dell'essere e la realtà del divenire spazio-temporale". Auguri vivissimi e complimenti, carissimo Nazario.
    Sonia Giovannetti

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    1. Ti ringrazio, Sonia. Sono lusingato da quello che dici. Parlare dell"uomo di sempre", che è anche l'uomo storico, immerso nel tempo in cui vive, è il vero obiettivo - da sempre - della vera poesia.
      Franco Campegiani

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  5. "E' una terra di mezzo la bàttima di Nazario Pardini. Qualcosa di più della battigia, linea d'incontro e di separazione tra la terra e il mare. E' il luogo-non-luogo dove il respiro dell'immenso s'incrocia con l'affanno di un cuore che batte nel piccolo giro di quattro ossa mortali.". Ancora: "Egli parla con il mare come con un vecchio amico". E ancora: "Tutto è violenza tra gli uomini, tutto è detrazione e perdita, furto di cose che sarebbero a portata di mano, mentre in natura tutto è vivo e presente, nulla è assente e tutto è sempre al primo vagito".
    Ebbene si, ho voluto citare Franco, ho voluto estrapolare dalla sua lettura di "Di mare e di vita" gli aspetti che mi colpirono di più quando ne stilai la prefazione.
    Complimenti all'amico, dunque, che aggiunge un altro autorevole contributo all'opera di Nazario.

    Sandro Angelucci

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    1. Grazie, fratello, per le tue immense parole sul mio conto.
      Nazario

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  6. Devo dire che anch'io rimasi colpito, a mia volta, dalla prefazione di Sandro, quando comparve, non molto tempo fa, sulle colonne di questo stesso blog letterario. Fui attratto in particolare dalla bella similitudine, da lui svolta, tra il gioco poetico dell'anziano scrittore e il gioco del bambino all'aria aperta, arrampicato a piedi nudi sugli alberi, o sulla "battima" a costruire castelli con il secchiello in mano: le due stagioni, quella della maturità e quella dell'infanzia, appaiate tra di loro e fuse l'una nell'altra, come la notte e il giorno, il tramonto e l'aurora. Come il finito e l'infinito, come la terra e il mare... La simbiotica unità dei contrari che ha travolto anche me quando mi sono accinto alla lettura di questo straordinario testo letterario.
    Franco Campegiani

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