martedì 23 gennaio 2018

MARIA RIZZI SU: "BIRKENAU" DI G. CECCAROSSI

                            BIRKENAU
                              (memoria)

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

La plaquette di Giannicola Ceccarossi “Birkenau”, magistralmente introdotta da Antonio Bonchino e da una
serie di citazioni, tra cui quella di Primo Levi, suicida dopo essere sopravvissuto al campo di sterminio, sembra voler
essere un ‘un debito da estinguere’, come asserisce l’Autore, in realtà è molto di più.
Con uno stile caratterizzato da incessanti anafore, che mettono in risalto i concetti e danno una sensazione filmica ai versi:
“Campi campi
  Senza fiori senza fiori
  Ciminiere
  Betulle betulle”

Ceccarossi trasmette immediata l’idea dell’assenza di umanità. Di ogni forma di umanità. Volano lontano gli stormi di uccelli, non crescono fiori, non esistono uomini, né donne, né bambini. E’ una vertigine. Si entra nella spirale dell’odio, che come olio s’addensa e sfrigola.
Senza nome quello sfrigolìo. Anche gli elementi della natura sembrano andare in esilio:
“Si attarda la luna
  Fugge
  Si nasconde
  Non ci sono stelle
  Non fioriscono stagioni”

Si vive soltanto lo strazio dei drammi, delle separazioni, delle morti. Cattedrale tonante il lirismo quasi tipografico del nostro Autore. L’eco violenta stordisce.
Si vede la fila, la selezione; si sente il tanfo del gas e si avverte il rumore assordante dei silenzi. Terrificanti scorrono le parole. Immaginifiche, nonostante la brevità di ogni verso. Le lega un filo nero, le rende romanzo in versi.
Si è dentro il lager, il terrore accappona la pelle. Brividi brividi… per dirla con Ceccarossi.
Tutto si proietta dentro di noi. La puzza del gas, gli spari, le botte. Il silenzio. Respiriamo l’orrore:
“Randelli
  Randelli
  Capestro
  Urla
  Angoscia
  Terrore
  Morte
Uno sparo”
Il racconto si snoda come le isole dell’inferno, si coagula il dolore, diviene un grumo di panico incistato nell’anima. E la rabbia sembra estinguersi. Non sa più esistere. Non può capire. Non esistono ragioni.
“Mai più” il verso che chiude la penultima lirica è un grido che non sale dalla voce, ma dalle viscere.
Primo Levi sembra affiancare il Poeta. E il Poeta sembra sopravvissuto al lager. Non scrive di un luogo. Lo abita.
Ci invia versi di sangue da Birkenau.
                                                
Maria Rizzi
  


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