sabato 20 gennaio 2018

N. PARDINI LEGGE: "L'UOMO DEGLI OROLOGI E DI FEBBRI E DI PAROLE" DI DOMENICO LUISO




Domenico Luiso, Di febbri e di parole, Bastogi Libri,  Roma, 2013.
Domenico Luiso, L’omino degli orologi, Bastogi Libri, Roma, 2017

La forza della parola nell’armonia del canto

Mi sono giunte stamani giovedi 11 gennaio 2018 due opere dell’amico scomparso Domenico Luiso per dono di sua moglie Caterina Zaza. Tutte e due editate per i caratteri di Bastogi Libri, Roma: Di febbri e di parole, del 2013 e L’omino degli orologi, del 2017. Due plaquette diametralmente distinte non solo per format, ma soprattutto per contenuto: la prima più vicina all’ars inveniendi del nostro Domenico, dove spesso l’endecasillabo gioca un ruolo determinante nell’economia versificatoria:

Galleggia basso il cielo all’orizzonte

un’altra sera crepita sui palchi
in mezzo a corni d’oro e ceri stanchi

è tempo, amico, di serrare il velo
sul tuo corpo piagato di ferite
la notte è senza uscita  ai tuoi occhi
né ha sentieri al tuo discernimento.
(…)

 Citare alcuni versi di una delle poesie più conturbanti della voce di Luiso, significa andare da subito a fondo nel modo di sentire e di dire di uno dei più completi poeti che io abbia conosciuto nei nostri tempi. Connessione di verbi e creazioni di duttile sonorità. Tutto si fa armonico, tutto umano su palpiti di sinestetiche invenzioni. Un processo sinfonico, di euritmica vicinanza, che accompagna le inquietudini esistenziali di un poeta, spesso combattuto fra terrenità e slanci verso l’azzurrità di un  cielo debordante; verso orizzonti che sanno tanto di infinito e di ancoraggi di ultra umana natura; un gioco di rimandi fra elementi di impellente quotidianità e azzardi verso lidi nuovi: tante le poesie che ci avvicinano ad un uomo in cerca di soluzioni a questioni spesso senza risposta; a invenzioni emotive di rara forza epigrammatica: lo stupore delle pietre, il tacere del tempo, un bacio che non muore, la mano sul mio cielo, il sole giallo addosso ad un muretto, la luna che verdeggia,  torbidi ottobri su rami stanchi, il peccato delle labbra; La mia bonaccia, Noi, Dedica, Occhi, … Cio’ che sta scritto, Filosofi e sapienti: “… Noi sempre li sentiamo lungo il giorno/ sberciato dalle ombre della notte/ E raccattiamo i loro cocci alla rinfusa/ per farne ricche ciotole d’unguenti/ o tazze di cicuta”. Un linguismo articolato, maturato su esperienze di vita e di poesia, dove le intrusioni sinestetico-metaforiche dànno un sapore di energica creatività al tessuto verbale; all’insieme del poema. Ma quello che domina e che si presenta con tutti i suoi vertiginosi slanci è il dono erotico della vita: un amore totale, plurale, polisemico che il poeta tratta in tutte le salse chiedendo aiuto alla natura per dare corpo alle sue sensazioni: e fummo un rigagnolo sfumato, Dietro il tuo volto m’inventai il tuo volto, Muti seduti a un tavolo di pietra, Mi tocchi la tua mano/ mi lambisca, E ci trovammo addosso ad un muretto, sarà il tuo cielo terra e terra il cielo. La grammatica poetica si allarga verso campi di semantica originalità. Si crea, si inventa, si allunga il tiro verso orizzonti lontani a cui poter approdare per la quietezza dell’arte. La parola tradizionale, le iuncturae canoniche non sono sufficienti per concretizzare tanto sentire; da ciò gli iperbolici allunghi, le  intricanti assonanze che marcano l’individualità dell’arte di Luiso.
         L’altra opera risente di uno stato d’animo particolare del poeta. Una certa inquietudine si era impossessata di lui. La poesia si fa meno musicale, più narrativa; ampi spazi verbali si impadroniscono del poema; Domenico si sente deluso da un mondo in balia dell’amoralità, della irrazionalità. E dove muore la ragione la società è destinata a naufragare in un burrone di vuoto; già la poesia eponima fa da antiporta ad un‘opera di carattere poematico  per organicità; mantenuta compatta dal filo rosso dell’agire umano duro e cinico:
(…)
Seduti al mio tavolo siete i miei nemici
estranei e morti nelle risate inconsce,
polveroso magma di cuori ignari e deboli.
Sono storie oscene quelle che traboccano
dalle annerite bottiglie che si spezzano
tra i ragli impastati dei discorsi senza fiumi.
(…)
* * *
Gettati nel mare che ha onde di tragedia,
si fermeranno tutti gli orologi e sarà solo
l’ora segnata dalla violenza di Caino.
(…)

L’oracolare messaggio di un poeta, che, pur mantenendo la sua schietta originalità espressiva, sembra accedere ad una visione  opposta  della vita e dell’amore; ad un mondo di tematiche nuove, di aggressive convulsioni, scatenate da impulsi di mero negativismo. Certi segni di impegno sociale e di condanna di una società ingiusta votata al male e all’indifferenza erano già emersi in parte nelle sue raccolte; tali ispirazioni qui assumono carattere eccessivo, di estremo rifiuto.
Resta comunque la grandezza di un autore che ha dato tutto se stesso al mondo di Calliope: quella di un  maestro che con gli equilibri di classica memoria, di plasticità formale, e con una poesia di umana sostanza esistenziale deve servire da insegnamento per tante deviazioni improvvisate, di moda, destinate nel tempo a finire. Il futuro ha bisogno della storia, e senza il terriccio fertile del passato è destinato a sfiorire miseramente. E Domenico Luiso resta veramente un esempio di arte poetica dove la parola e il significante costituiscono quel sacrosanto equilibrio desanctisiano (il vivente) che è e resterà sempre l’anima del canto.


Nazario Pardini

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