sabato 20 gennaio 2018

N. PARDINI LEGGE: "VERTIGINE E IL SEME DEL SOGNO..." DI IGNAZIO GAUDIOSI




Ignazio Gaudiosi, Vertigine, Edizioni Dante Alighieri, La Spezia, 2016;
Ignazio Gaudiosi, Il seme del sogno. Poesie d’amore, Helicon Edizioni, Arezzo, 2016


Mi sono giunti stamani 13 gennaio 2018 due libri di Ignazio Gaudiosi: Vertigine, Edizioni Dante Alighieri, 2016 e  Il seme del sogno, Helicon, 2016. Il primo un testo che mette in evidenza, tramite la parola di autorevoli critici letterari, la versatilità lirica di Gaudiosi, il suo ricco panorama esistenziale, e la sua attinente grammatica poetica. Il libro diviso in varie sezioni fa già da prodromico avvio alla comprensione della poetica dell’autore: un verbo asciutto, solido, empaticamente arrivante, che, con iuncturae di ampio respiro, si adagia su spartiti di eufonica andatura. Alla presentazione del Cav. Pietro Baldi seguono: La parola come vertigine del Prof.  Francesco D’Episcopo; l’Intervento introduttivo di Valerio Cremolini, e gli interventi di Francesco D’Espiscopo, Di Giuseppe Benelli, e dello stesso Valerio P.  Cremolini; in successione Poesie dedicate a Francesco D’Episcopo, a Luigi Camilli, e Il canto del silenzio, dove l’armonia wagneriana del verso si unisce al fulgore delle stelle che fa da reminiscenza di un  qualche noto amore: “Il canto silenzioso delle stelle/ più vivido e più muto/ allo sguardo di lui poté sembrare,/  perduto nel mito commovente/ di qualche noto amore”. Una vera cascata di endecasillabi e settenari che, fusa a panorami di forte interiorità, ci avvicina  a romanze di memoria pucciniana. Seguono altre poesie che sono state lette durante la presentazione del volume Vertigine dall’Avvocato Luigi Camilli: l’eponima, A Renato Cogliolo, Vezzano sui crinali. Il testo si chiude con una rassegna fotografica, di cui è stato fatto cenno a suo tempo sul blog: Alla volta di Lèucade. Ma veniamo alla silloge che maggiormente ci interessa: un libro d’amore; un vero poema erotico, dove l’autore offre il meglio di sé con l’apporto di un abbrivo polivalente dell’animo umano. Sì, umano, dacché l’input scatenante del messaggio è eros, in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue angolature che lo rendono messaggio trasversale e orizzontale, dove ognuno di noi trova una buona parte del suo ontologico cammino. E cosa meglio dell’amore può rappresentare l’umanità in tutta quanta la sua polisemica esistenza? L’amore come vita, come saudade, come legame, come empatia, come nostalgia, come memoriale, come nostos, come vicissitudine, come fuga o ritorno ad antiche primavere; amore come distacco, dolore; amore come unità inscindibile di sogni e di speranze.  È l’amore il sentimento più complesso dell’animo umano; il motore scatenante di tutte le azioni e le manifestazioni dell’ego:  per esso si vola in sfere di sublime levatura, si toccano azzurrità debordanti di luce, si chiede pietà, perdono, ci si avvilisce o ci si ritrova liberi, finalmente liberi in vertigini di sogno e di candore. Tutto questo troviamo nel volume di Gaudiosi; egli riesce, da vero analizzatore della psiche umana, a scandagliare meandri di epigrammatica fattura per ricavarne note di ardua e acuta sensibilità: un crogiolo di sfumature che dal celeste  volgono al rosso attraverso tutti i gradi delle tonalità cromatiche. IL SEME DEL SOGNO. POESIE D’AMORE, il titolo che già di per sé ci introduce nella varietà complessa del tema. Fanno da antiporta due splendide liriche: Il filo ed il belletto, Sfibrata vena, dove l’autore apre il discorso toccando gli ambiti dell’empatia, della comunicazione,  del verbo, “E nel silenzio fra due lontane voci/ il navigare d’ipotesi disperse./ Fra tante: amore che soffre e che non dice,/  o storia della lodola e lo specchio?/ Potrà parlare il tempo… forse, chissà”, “Lui vi sperava per via degli occhi tuoi/ smarriti dentro i tuoi,/  nel vuoto poi vaniti/ in cerca di un appiglio./ Nell’ore di un meriggio ormai lontano/ l’avevi detto già quel che volevi”: sospiri, occhiate, sottintesi, allusioni, sentimenti ascosi, tocchi di parole, lontane voci, amore che soffre; tensione, occasioni amiche, soffi buffi, sospiri, alitar di semi, germogli, appigli, meriggi lontani… La prima parte (Perizia del pensiero) ci immette in maniera soffice e delicata nella purezza diamantina del canto: “… Leggeva lei col filo d’una voce/ le note del messaggio appassionato/ di lui, che la guardava/ e dalle labbra uscivano parole/ come suono dalle corde di un violino/…./ Vale più di un astro la sua voce/ più di un diamante, luminosa e viva”.  Un viaggio di amorosi sensi, che, vòlto  all’isola di Orfeo, si smarrisce spesso in mari senza confini, dove gli scogli e le onde burrascose  impediscono il prosieguo della navigazione. E si sa che l’uomo ambisce ad approdare all’isola felice ma esiste quest’isola? O è solamente un miraggio? D’altronde è umano incontrare trabucchi dacché siamo tutti nostoi in cerca di qualcosa che ci appaghi. E i dubbi, i perché irrisolti, senza risposte, sono gli inceppi della vita, quelli che la rendono umana, terrena, futile e passeggera. D’altronde Gaudiosi fa della sua navigazione un andare senza riposo, raccogliendone i profumi e momenti vitali da asserbare per la poesia. Il fatto sta che li vive e li rivive in un empito di erotico trascinamento umano. E si crea un’isola tutta sua dove hanno accesso solo visioni partorite dal logorio del tempo. Una vera alcova, che poco ha a che vedere con la realtà, insomma: tutto si è tradotto  in immagine, in ricordanza, in sogno, anche. Ed è proprio dell’uomo  mischiare spesso la quotidianità con l’onirico. È tuffandoci in tale dimensione che riusciamo a ovviare alle tante aporie della vita. Ma nell’amore e indispensabile che le anime paiono toccarsi: “Mai ebbe l’ora più forte intensità,/ mai fu tanto vissuto/ quel mondo, quel momento,/ che, nella brevità del suo passare,/ pareva non finire./…./ Le anime parevano toccarsi…”. Momenti di alto lirismo dove il verbo si adegua a tanta pulsione emotiva; si fa dolce, quieto, abbondante, spinto dalla forza che dal dentro detta. Attimi che sembrano infiniti, che non possano terminare tanto sono elevati, ma che ci dicono anche della futilità del tempo, della vita e del suo fuggire senza tenere di conto dei nostri sacri altari. E il viaggio continua fra sentieri dentro l’anima che soffre, fra l’agrodolce gusto d’un ardore, lo sguardo ad un passato, un bisbiglio, un soffio; fra il tempo che va; fra la fissità di due pupille; fra la danza di sillabe; fra opposti siti di un sentire; fra merletti di orizzonti indefiniti; azzardi di castelli; l’atto misterioso della vita;  fino ad Un’ombra, una parvenza: ¨Da dove quel messaggio?/ Dal fulgido riflesso di uno sguardo…”.
Nòstoi. Ritorni è il titolo della seconda sezione, dove il Poeta con sinestetici giochi di metaforica intrusione continua il cammino  di un’anima tutta protesa, nella lettura degli andirivieni erotici, alla scopetta di se stessa. Il verso si fa più libero, spigliato, a volte nutrito di brevi accenni, dove la parola è tutto nella grammatica significante: “I tuoi occhi:/ giuochi svelati,/ ombre colorate./ I tuoi occhi:/ mutevole scenario,/ palpito d’ali,/ brezza carezzevole…”. Assemblaggi lessicali, accentuazioni aggettivate, intensificazione verbali: limpidezza formale e disciplina della versificazione: sinestesie e azzardi  iperbolici di classica positura piuttosto che di riforma prosastica del verso naufragata negli sperimentalismi del secolo passato e di tutt’oggi;  poco o niente hanno a che vedere, questi versi, con il correlativo oggettivo di stampo eliotiano. Ritorni. Quante volte si ritorna su pensieri e luoghi che abbiamo lasciati per un nostos di improbabile ancoraggio? Ci accorgiamo allora che la verità che cercavamo è in quelle terre lasciate alla  partenza. Il poeta ritorna sui suoi passi; misura, confronta, cerca conferme con l’apporto di una memoria che spesso lo àncora al ritmo di un ricordo: “Può essere però che un imperioso/ gesto si fermi al ritmo di un ricordo”, o a amori di antiche primavere dove una prima Eva rievoca tocchi di leopardiana memoria: “Ti ricordo, amica lontana;/ fosti la prima Eva. /…/  Il morbo ti prese all’improvviso,/  ti spense” con una chiusura secca e lapidaria. I ritorni di Gaudiosi sono controllati da un linguismo maturato da un percorso di esperienze attive e fattive. Mai cade in becera lamentatio, né si smarrisce nella palude soffocante e melmosa dello sfogo intimistico. Ed è così che le sue emozioni corrono sul filo di un racconto quasi disincantato; come se narrasse in terza persona le vicende di un romanzo appassionato: Silfide vagabonda, Naliugia (Arabesco arcano/ di una foglia morta,/ che ha donato/ la sua anima al metallo), I tuoi passi (Guardo la porta socchiusa./ Lì davanti, fra un attimo,/ comparirai), Figura (La chiudeva  di solito un vestito/ voluttuoso.), La tua voce (La tua voce chiara, modulata,/ l’orma ravvivava.),… Desideri di Monique,…, Ricordo (Triste è lo svanire di un amore),… Insospettati segni ( Gli occhi le roteavano lentissimi/ nell’ansa del discorso.),… Eri al telefono (Eri al telefono/ e mi parlavi piano, sottovoce/ udivo anche il silenzio della   stanza/ e i palpiti leggeri del tuo cuore),… , Perduto amore (Ora c’è pure un’ansia/ per le perdute cose)…, fino a Aspirazioni dove il Nostro, al volgere del tempo, rivive la preziosità di quelle emozioni “che tanto ci cullarono nei sogni”. Bastava che comparisse un fiore sul petto di una donna a rischiarare, all’improvviso, l’alta oscurità:

(…)
Se solamente compariva un  fiore
sul petto di una donna,
o si schiudeva un labbro
a qualche compiacenza,
a qualche assenso,
al cenno malizioso di un sorriso.

Una collana  di preziosi tempi all’imperfetto che trascina il Poeta in ricordi piacevoli ma rivestiti di una tenera e sottile saudade; une ensemble che ci dà la dolorosa scansione del tempo che passa e che lascia vestigia  di ombre trascorse; forse è là l’anima di Gaudiosi; nelle grinze di un cuore che palpita e parla di un’isola che ha lasciata alle intemperie del mare.

Nazario Pardini


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