Angela Ambrosini, collaboratrice di Lèucade |
ANGELA AMBROSINI: L’INCANTO DELLA MEMORIA IN MAURIZIO ZANON E FRACISCO BRINES in Maurizio Zanon, I messaggi del tempo, Guido Miano Editore, Milano 2016, Collana Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio, pp. 7-10
“In questo tempo che tutto uccide / unica a
custodirci –pare- la memoria” (La memoria da Liriche scelte, 2010). È nella memoria, tra i tasselli luminosi di
un passato estinto solo a livello cronologico, che Maurizio Zanon recupera il
senso stesso dell’esistenza, non indulgendo a riecheggiamenti di programmatica
intenzione lirica, ma permeando il poetare stesso di un incancellabile timore
di perdita del passato. Emerge la sottile smorfia di un dolore mal trattenuto,
di una vita che fluisce quasi ignara tra sgualcite
attese, nel ritmo di un limpido linguaggio conversazionale d’improvviso
trafitto da profondo lirismo: “quando da ragazzini ci si arrampicava / sugli
alberi del bosco nella calda estate / quando si aspettavano i giorni d’inverno
al Luna Park / quando v’era tutta una vita da sognare per amore”. Tali versi, conclusivi
di una lirica tratta da Come il sole
d’autunno (2011), suffragano la sottile osservazione di Flavio Andreoli che
“spesso nelle poesie di Maurizio Zanon l’epilogo è nell’ultimo verso, logica
conseguenza di chiara premessa” (da AA.VV., Storia
della letteratura italiana, Il
secondo novecento, vol. IV, 2015, Guido Miano Editore, p. 279).
Se, come abbiamo anticipato, elemento
distintivo della sua poesia è un versificare terso e aperto, ne consegue che altrettanto
terso e aperto sia il messaggio, non a caso riottoso al ricorso alle figure
retoriche. Tuttavia, non è raro incorrere (e, come dicevamo, sovente nell’ultimo
verso) in un colpo di coda, sorprendente e magnifico, a sovvertire l’andamento della
lirica, come questa doppia personificazione di paesaggio e oggetto: “Qui l’aria
è buona ancora primitiva / sa di resina, ma non solo: / dalla finestra il bosco
entra nella pace del sofà” (Il paese,
da A ogni prima luce, 2012). E non sfugga
la rima tronca fortemente ritmata con lessemi monosillabici di tre precedenti
versi, quasi a voler ricostruire la cadenza scherzosa di una filastrocca, non a
caso trattandosi di una lirica che in apertura reca una chiara allusione
all’infanzia (“Quando posso mi riparo
nei bei monti / nel paese che mi vide bambino”). Altrove, il ricordo del padre
innesca un conversare immaginario in seconda persona, disinvolto e
d’immediatezza quotidiana che nel verso scandito dai due punti scinde
nettamente la poesia in due parti divergenti nel tono, quasi una cesura
stilistica: “Son fatto così / come già sai. / Oggi per esempio / con questo
sole / anche se fa caldo / pagherei chissà cosa / averti qui / parlarti un poco
/ iniziare insieme una passeggiata: papà, preparami lassù / una strada fiorita
che salga la collina / da dove in cima si possa scrutare il mare / sentire quel
suo canto annunciare / l’arrivo d’una bianca alba”. (Prigioniero di un pensiero,
da Sonoro,2009). D’improvviso il parlato
si ammorbidisce nel tono elegiaco, lento e solenne, dilatato dalla felice
allitterazione delle vocali a ed e.
Profonda enucleazione di un passato che
sovente sfuma nel leit-motiv della cenere o dell’ombra, è la poesia di uno dei
più grandi lirici spagnoli viventi, Francisco Brines, a proporci un presente che
costantemente declina nello ieri. “Il tempo passa e va, non ritorna / nulla del
vissuto: / il dolore, l’allegria, si confondono / nella debole memoria” (Accoglienza in terrazza, da Parole all’oscurità, 1966). Similmente canta Zanon: “…non trovo più / il
ricordo del passato. Vivo l’ansia del futuro, / ignaro del presente che mi
sfugge. / Non hanno più faccia i luoghi / della mia infanzia” (In
questo giorno la notte, da Liriche
scelte). E gli fa eco Brines: “Tutti i volti del passato, sfumati, belli,
sono venuti / con la loro purezza o malvagità” (Tutti i volti del passato
da op. cit). La consapevolezza del
falso ritorno del tempo accomuna i due poeti: “Che luce traspare se il cielo è
cupo / se il giorno non dona cose nuove / ma soltanto irrequietezza o
depressione?” Chiede Zanon (Non ho che mani per la vita, 2015),
mantenendo un atteggiamento scevro da facili crepuscolarismi di maniera. Ombre
cupe avvolgono i giorni del poeta valenzano: “È l’ora del ritorno delle cose, /
quando i campi e il mare si coprono di un’ombra lenta” (Amore ad Agrigento, da op. cit). Per entrambi, la parola è
motivo di ancoraggio alla vita, alla memoria. “Ricordo e scrivo, senza
pentimento, si confessa il nostro poeta” (La
memoria da Liriche scelte, 2010)
pur presentendo che ineluttabilmente il ricordo “s’affievolirà / piano piano,
di generazione in generazione. / Si spegnerà così con amarezza ciò che fu
nostro: / tutto il vissuto, tutto l’immaginato, la storia” (Ibidem). È per questo che con rabbia Brines si
domanda: “Cancellata gioventù, perduta vita, in quale / spelonca d’ombre
scagliare le parole?” (Successione di me stesso, da Insistenze su Lucifero, 1977). Rari
momenti di gioia innescano una trattenuta contemplazione che il poeta spagnolo
esprime in tempo verbale presente: “Gli aranci ardono fuori / di luce, e, di
vele bianche il mare, salgono / accesi i pini su per il monte” (da Le
braci). Commosso balena il ricordo in Zanon, sospeso in un’atemporalità
felicemente scandita dai modi indefiniti e alla quale fanno da eco una vibrante
rima interna e un rincorrersi di consonanti geminate: “Ricordo allora quelle bianche vele al sole / quel caldo mare
infrangersi sul molo, le voci dei ragazzi / appena sussurrate nell’azzurra
fuggevole estate” (da Non ho che mani per la vita).
La bellezza della vita è sortilegio, avaro ed effimero, e pur se disilluso, Brines proclama: “Sappiate con quanto gioia vi dico / che è bello vivere” (All’oscurare del bosco, da Parole all’oscurità). Consapevole riconoscenza verso la vita professa Maurizio Zanon nella rievocazione memoriale dell’infanzia, non rinunciando, pur nella gravità della tematica, al tono solennemente giocoso con cui i bambini si fanno promesse: “Dichiaro e giuro di aver goduto appieno / in ogni suo istante questo bel dono” (da Come il sole d’autunno). Ancora una volta senza complicazioni, con trasparente ironia, il poeta coglie il sapore agrodolce della vita.
Angela Ambrosini
Traduzione
italiana dei versi di Francisco Brines a cura di Angela Ambrosini
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